I
PAESAGGIO E INSEDIAMENTI

1.TERRENI BOSCHIVI

Il paesaggio carolingio era per una buona parte, in media per piú del 40% e in alcune aree fino all’80%, un paesaggio naturale, costituito principalmente da boschi. La carta delle foreste europee nel primo Medioevo, messa a punto da Charles Higounet, è ancora la miglior guida per studiarne la distribuzione geografica.1 Higounet ha localizzato e identificato quasi 150 foreste distinte, alcune delle quali possono essere studiate in modo piú dettagliato. La maggior parte di esse si stendeva a est del Reno e lungo il suo corso, e anche nelle adiacenti parti orientali della Francia e del Belgio, una situazione che si protrasse fino alla fine del Medioevo e che persiste tutt’oggi. Verso il 1500 un terzo della Germania e un quarto della Francia erano ancora coperte da boschi. La maggior parte di queste foreste erano terra reale, protetta dal re come riserva di caccia, che è anche il significato originale di “foresta” (lat. forestis, forestum). Alcune di queste aree non consistevano solo di boschi, ma comprendevano anche terre non coltivate, pascoli, lande, brughiere e persino terreni arabili. Nell’Europa centrale la foresta della Turingia, al centro della quale nel 742 fu fondata l’abbazia di Fulda, poteva essere stata abitata, attorno a tale centro, anche prima dell’arrivo dei monaci. La creazione di radure, chiamate capturae, ebbe luogo tutt’attorno a partire dall’inizio del sec. VIII e continuò per buona parte del sec. IX, forse in relazione alle operazioni militari di Carlo Magno contro i vicini sassoni.2 Una serie di foreste lungo la sponda destra del Reno, a ovest della Turingia e ancora piú a sud, si stendeva dal Westerwald e dal Tauno nel nord fino all’Odenwald nel sud. Quest’ultimo territorio era interamente regio, finché non fu ceduto alle abbazie e alle chiese di Fulda, di Amorbach, di Worms e in particolare di Lorsch, che iniziò a disboscarlo nel 772. Nell’Odenwald furono organizzate solo due tenute dotate di arativo, la piú importante delle quali fu Michelstadt. Il biografo di Carlo Magno, Eginardo, che l’aveva ricevuta dall’imperatore alcuni anni prima, la cedette a Lorsch nell’819 insieme a cento contadini non liberi. Non si dispone di altre prove del diboscamento o sfruttamento della foresta, perché le tracce geografiche della colonizzazione interna, che Nitz data al sec. IX, andrebbero posposte ai secc. X e XI, come suggerito da Chris Wickham.3 Restano solo alcuni accenni a della terra bonificata di recente (chiamata bifangum e proprisum) ai margini dell’Odenwald, a Bensheim, tra il 765 e l’850.

A sinistra del Reno, le ampie foreste dell’altopiano di Eifel raggiungevano Bonn e Aachen (Aquisgrana), mentre a ovest di esse le Ardenne, come le conosciamo ancora oggi, facevano parte in età romana e nell’alto Medioevo di una ben piú estesa foresta dallo stesso nome. In prossimità del centro di questa foresta, non lontano dall’abbazia di Stavelot-Malmedy, il termine forestis appare per la prima volta nel 648. Poco piú tardi parecchie forestes risultano situate nella stessa regione, il nord-est delle Ardenne e la parte meno fertile, nei pressi di Aachen. Era il cuore dei domini carolingi, un vasto dominio reale attraversato da strade romane tra Colonia, Treviri e Reims e non spopolato. Vi si trovavano non meno di 25 centri di sfruttamento agricolo (curtes, fisci). Alcuni recenti insediamenti del sec. VIII, come il villaggio di Villance vicino Bastogne, di proprietà dell’abbazia di Prüm, minacciarono i diritti d’uso del fiscus di Theux e dell’abbazia di Stavelot-Malmedy.4 Piú a occidente, nell’attuale Belgio, dalla Schelda presso Tournai al fiume Dyle vicino Leuven, parecchi boschi erano i resti della precedente sylva Carbonaria dei secc. V e VI, che non era stata protetta come forestis. Uno di essi è la Forêt de Soignes, tuttora esistente a sud-est di Bruxelles. Su suoli meno sabbiosi nelle Fiandre settentrionali il nome di una foresta, chiamata Koningsforeest nel sec. XII, allude al suo stato di terra regia in epoca carolingia e alla protezione che la sottrasse alla distruzione. Non si può dire la stessa cosa dello Sceldeholt, un ampio bosco a sud di Gand, tra i fiumi Leie e Schelda giú fino a Kortrijk, che già nel IX secolo apparteneva all’abbazia di San Pietro di Gand. Data la sua mancanza di protezione i terreni sabbiosi della sua metà settentrionale degenerarono in brughiera nei secc. X e XI, a causa dei diritti d’uso degli abitanti dei villaggi che vivevano sulle sponde dei due fiumi.5

In Francia, a nord della Loira, le foreste piú ampie, come il Der (saltus Dervensis), si stendevano a nord-est. Qui l’abbazia di Montiérender spinse i suoi conduttori ad opere di diboscamento, come apprendiamo dettagliatamente dal polittico dell’abbazia risalente a poco prima dell’845.6 La regione di Parigi presentava alcuni boschi sugli altopiani, come la foresta di Yvelines a sud-ovest della città e di Brie a est, ma l’intera regione, con particolare riferimento alle valli, era densamente abitata.7 A ovest di Parigi l’abbazia di St. Germain-des-Prés intorno all’825-829 disponeva di parecchie tenute boschive nella regione del Perche.8 In queste aree occidentali della Francia i boschi erano diffusi in maniera piuttosto frammentata, e nella regione della Loira meno boscosa crescevano foreste di betulla, sugli altopiani della Sologne e dei Gâtinais. A sud della Loira solo il Massiccio Centrale (Alvernia) e la regione immediatamente a nord della Garonna erano fittamente rivestiti di boschi, ma si trattava di foreste in parte degradate. Qui, di fatto, iniziano i “fragili” boschi di tipo mediterraneo, caratterizzati da una rigenerazione naturale assai difficoltosa.

In Italia le aree boschive erano minori e meno fitte, salvo in alcune aree quali i lembi settentrionali della pianura del fiume Po, gli Appennini ligure e toscano, l’Abruzzo e i boschi di pini della Calabria. Nella Sabina, Chris Wickham studiò piú di venti gualdi, un particolare tipo di zona fiscale consistente non solo di bosco (gualdus = ted. Wald), ma anche di altra terra incolta, pascoli e persino arativo, affidato a coloni publici, uomini liberi tenuti a versare tributi al duca di Spoleto, ma degradati a conduttori dell’abbazia di Farfa dopo che molti gualdi furono donati o venduti a quest’ultima. Questi gualdi possono essere paragonati al Bifänge e alle capturae della Germania, e lo stato dei loro abitanti a quello degli aprisionarii che ripopolarono la Linguadoca e la Catalogna nel sec. IX, dopo che queste furono abbandonate in seguito alle invasioni arabe.

Entità come i gualdi sono un esempio dell’economia mista di tipo boschivo-arativa che caratterizzò ampie zone dell’Europa carolingia, dove non c’era opposizione tra natura e coltura «perché il territorio boschivo fu ampiamente sfruttato in tutti i periodi, e nessuno dovrebbe contrapporre lo sfruttamento del bosco alla coltivazione dell’arativo, dato che costituivano entrambi una normale prassi sia del-le strategie contadine di sussistenza, sia dell’esproprio signorile».9

2.CAMPI E VILLAGGI

La configurazione dei boschi nell’Europa carolingia, cosí com’è stata descritta, non ci consente di colmare i vuoti tra l’uno e l’altro di essi semplicemente con le regioni in cui doveva dominare l’arativo. C’erano, comunque, regioni simili nell’VIII e IX secolo e vale effettivamente la pena analizzare la struttura dei loro insediamenti e campi, nella misura in cui sono stati oggetto di studio dettagliato, benché ci si debba guardare dal pericolo delle generalizzazioni. La regione di Parigi, sulla base del polittico di St. German-des-Prés, risalente ai primi del sec. IX, può fungere da modello di riferimento e anche la regione di Gand nelle Fiandre, sulla base del libro delle donazioni (Liber traditionum) elargite nei secc. VIII e IX all’abbazia di San Pietro a Gand. Tali regioni erano tra le piú densamente popolate dell’Europa nord-occidentale, di cui ci è possibile illustrare la distribuzione degli stanziamenti rurali, tanto per cominciare, con l’esempio delle parti del Belgio di lingua tedesca agli inizi del Medioevo.10

Dal sec. V fino a ben addentro il IX questa distribuzione fu caratterizzata da una maggioranza di insediamenti sparsi, consistenti principalmente in agglomerati rurali di recente formazione e in fattorie isolate. Ne sono prova i numerosi nomi terminanti in -inga haim, -haim, -sali e persino -thorp, che ricorrono nei documenti scritti dei secc. VIII, IX e X. Nei secoli successivi, tuttavia, molti di essi (se non la maggioranza) non possono essere identificati con il nome di un villaggio, di un agglomerato rurale o nemmeno di una fattoria. Nei rari casi in cui li troviamo ancora in un documento del XII o XIII secolo, sono spesso meri nomi di campi. Dei quattro tipi citati, i nomi terminanti in -sali designano in maniera assai evidente una fattoria isolata. Questa interpretazione risulta dal loro significato (una casa in cui gli animali trovano rifugio sotto lo stesso tetto della famiglia), dalla loro ubicazione e funzione (si trovano molto spesso in zone boschive e dedicate all’allevamento di bestiame e di greggi, come appare evidente in entrambi i casi dalla parola composta con -sali) e infine sono chiamati mansioniles nei testi latini, un termine che indica il loro stato di appartenenza a un maniero piú piccolo e creato in data piú tarda. Anche dal punto di vista linguistico sono piú recenti dei nomi terminanti in -inga haim, come si può dire anche dei nomi terminanti in -haim. Nelle regioni a parlata neolatina, gli stanziamenti -villare possono essere paragonati alle fattorie -sali sia per motivi linguistici, essendo -villare un diminuitivo di villa, sia sulla base di testi signorili che ne suggeriscono la dipendenza da una villa. Le prove circa i nomi in -sali, e probabilmente anche quelli terminanti in -haim, rafforzano l’ipotesi che dal sec. VII al IX la diffusione degli insediamenti rurali aumentò, il che non significa necessariamente che in quel periodo gli agglomerati rurali non evolvettero in raggruppamenti di fattorie piú ampi a cui possa applicarsi il termine “villaggio”, probabilmente, e ancora per un certo tempo, senza la sua connotazione giuridica, che è un fenomeno dei secc. XI e XII.

Schwind11 ha dimostrato l’esistenza, fra i possedimenti fondiari dell’abbazia di Lorsch nella regione del medio Reno durante il sec. IX, di almeno due raggruppamenti decisamente ampi, comprendenti da trenta a trentacinque fattorie, che egli non esita a chiamare villaggi nel senso geografico. Si trattava, in effetti, come Schwind poté dimostrare sulla base degli inventari e delle immunità, di nuclei di villaggi costituiti da fattorie poste l’una accanto all’altra. Di conseguenza le loro terre dovevano trovarsi fuori dal villaggio, forse in una disposizione a campo aperto, come accade ancora oggi. Non è chiaro fino a che punto la strutturazione di un maniero da parte dell’abbazia, che è evidente dall’accorpamento delle terre ottenute per donazione in unità fiscali (hubae, mansi), favorisse il fenomeno. Né sappiamo se questa strutturazione condusse all’abbandono degli stanziamenti isolati. Lo schema del campo dell’alto Medioevo e la formazione del campo aperto possono forse gettare maggior luce su tali problemi.

Prima di studiare questi aspetti del paesaggio colturale dell’alto Medioevo, si dovrebbero esaminare gli stanziamenti della regione di Parigi, soprattutto quelli che in epoca carolingia costituivano il centro dei manieri di St. Germain-des-Prés, a breve distanza a sud e a sud-est di Parigi.12 A differenza degli insediamenti descritti sopra per le Fiandre, questi erano tutti di origine gallo-romana. I loro antecedenti romani erano nuclei di stanziamenti che costituirono i punti di partenza per l’organizzazione, soprattutto da parte del re merovingio che li possedeva, di manieri che assunsero il nome gallo-romano dello stanziamento stesso. Erano situati lungo i corsi d’acqua, non lontano dalle strade romane, e si espansero grazie a diboscamenti che terminarono un po’ prima della creazione del polittico di Irminone (825-829), dalle valli su fino ai ricchi altopiani argillosi in cui si trovavano i principali lotti di terreno arabile. Questi altopiani erano stati ricoperti di boschi e brughiere, come è attestato da molti nomi di luoghi. Le bonifiche erano state probabilmente effettuate per iniziativa dell’abbazia, dopo che aveva ricevuto la tenuta per donazione regia, mentre in alcuni casi la fondazione di una chiesa al centro dello stanziamento era stata disposta dal re. Le piú vecchie erano dedicate a San Martino e a San Pietro e potevano essere state fondate dal re merovingio, mentre le piú recenti avevano per patrono San Germano ed erano state chiaramente fondate dall’abbazia.

La chiesa costituiva il centro dello stanziamento, come fu dimostrato dagli scavi in alcune villae dell’abbazia di St. Denis nella stessa regione di Parigi.13 A Villers-le-Sec tre raggruppamenti di edifici, che sono stati interpretati come tre mansi, giacevano attorno al cimitero e a un piccolo ambiente aperto vicino alla chiesa, all’incrocio di due strade. I mansi erano separati da stradine o sentieri a 80, 70 e 30 metri di distanza gli uni dagli altri. Vi scorgiamo la prefigurazione della struttura di un villaggio, non ancora molto concentrata, come accadrà in conseguenza della sua evoluzione nei secc. X e XI. Gli edifici dei mansi consistevano in una casa d’abitazione di 12,5 metri di lunghezza, in cui veniva ricoverato il bestiame, e in alcune altre costruzioni, fra le quali alcune capanne “infossate”, che occupavano appezzamenti dalla superficie assai ineguale, oscillante tra le 40 are e i 18 ettari.

I terreni arabili di queste fattorie dovevano trovarsi, probabilmente, fuori dal villaggio vero e proprio, ma se ne sa molto poco. Possiamo, tuttavia, essere certi che le terre dei contadini non erano inframmezzate dagli arativi della corte signorile centrale, il mansus indominicatus del maniero, perché il polittico dell’abate Irminone di St. Germain-des-Prés (ca. 825-829) offre esaurienti informazioni sul dominico, anche se non sugli aspetti materiali del mansus indominicatus di St. Denis a Villers-le-Sec, che non è stato riportato alla luce.

L’arativo dei dominici di St. Germain-des-Prés nei dintorni di Parigi consisteva di campi chiamati culturae.14 Ce n’erano di grandi e di meno grandi, e ogni villa ne aveva dai quattro ai dodici. Le culturae minori misuravano dai 5 ai 16 ettari, mentre le piú estese dagli oltre 66 agli 88 ettari. Esse costituivano differenti esempi di terra dominicale, frequentemente delimitate da siepi non temporanee e ben marcate rispetto alle terre dei contadini. Al loro interno spesso i conduttori, tenuti a prestare servizi di lavoro, elevavano temporanei steccati in legno per proteggere le parti seminate a cereali, quando una parte della cultura era lasciata a riposo e usata come pascolo. Potremmo plausibilmente scorgere in questa prassi una prefigurazione del sistema di rotazione triennale, che raggiunse il suo pieno sviluppo piú tardi, anziché interpretare, come hanno fatto alcuni storici, le culturae nel loro insieme come furlong15 di tale sistema. La spinosa questione verrà affrontata nella parte II, cap. II. Dal punto di vista geografico, che è quello che piú ci interessa al momento, basti dire che ciascuna cultura costituiva un “campo aperto” o piuttosto quello che è stato chiamato un “micro-campo aperto”, senza che l’aspetto di campo aperto riguardasse l’intera regione e certamente senza considerare il sistema agrario carolingio “a campo aperto”, tipico di secoli dopo.

Un quadro assai diverso del paesaggio agricolo carolingio emerge dall’analisi delle donazioni registrate nel Liber Traditionum dell’abbazia di San Pietro a Gand.16 Un ampio numero di donazioni ricevute da questa abbazia nel sec. IX si concentra nel territorio del villaggio di Sint-Martens-Latem, situato sulle sponde del fiume Leie a circa 10 chilometri a sud di Gand. Queste donazioni consistevano in appezzamenti rurali di modesta o minima estensione, compresa tra i 2,5 e i 5 ettari, composti da quattro o cinque campi; ognuno di questi appezzamenti recava un nome che terminava con il suffisso -accra: Hostaraccara (var. Ostar), Euinaccar, Hanria accara, Brainna accara, Helsaccra. Solo l’ultimo di questi cinque nomi di campi può essere identificato con quello piú tardo e tuttora esistente di Elsakker, situato vicino ad altri due campi dal nome in -akker di data piú recente, ma tutti e tre significativamente disposti accanto all’arativo principale del villaggio, chiamato Latemkouter nei testi medievali successivi, un nome composto dal nome del villaggio e dalla parola fiamminga kouter. Ci tornerò sopra fra un istante, ma prima di farlo è importante che evidenzi come nella regione di Gand ricorra con regolarità la stessa configurazione, benché in testi medioevali piú tardi: nomi terminanti in -akker per piccoli campi disposti accanto a un campo maggiore chiamato kouter, quest’ultimo recante il nome del villaggio o in parecchi casi quello di un agglomerato rurale. Mentre questi nomi in -kouter tuttora esistenti non si possono trovare nei nostri testi dell’alto Medioevo, questi ultimi mantengono molti altri nomi in -accra (accarom, accarum, accrum, agrum), tutti del IX secolo e tutti situati non troppo lontano (fino a 25 km.) da Gand. Al pari di quelli di Sint-Martens-Latem citati sopra, sono anch’essi difficili da localizzare o identificare con nomi di campi successivi. In questo caso, tuttavia, a differenza di quanto avviene con i nomi terminanti in -accra citati sopra, il primo elemento della maggior parte dei nomi è costituito dal nome di uno stanziamento parentale: -inga; o di un piú esteso stanziamento che elabori l’elemento inga: -inga haim; per esempio Ramaringahemia agrum, Culingahem accra, Eninga accra. Di conseguenza li si può interpretare come il nome del campo principale dello stanziamento. Oltre a questo campo, tali insediamenti ne presentavano altri, alcuni dal nome composto dal suffisso -accra combinato con un punto cardinale (Westeraccra, Sudaccra), con il nome di una persona (Euinaccar) o con altro tipo di nome (Stenaccra). In alcuni casi l’abbinamento era con un nome indicante l’origine del campo come terra disboscata di recente (Heninga rodha presso Eninga, Rodha presso Culingahem), in altri con quello di una terra non bonificata (Ramaringahemia mariscum).

Poiché quasi tutti i nomi di questi stanziamenti e dei loro campi scomparvero nei secoli successivi, è molto difficile fare appello a fonti e paesaggi piú tardi per poter interpretare le attestazioni dell’alto Medioevo. Piú in particolare possiamo dire molto poco circa gli sviluppi avvenuti tra il IX e il XIII secolo, e di conseguenza motivare la scomparsa della maggior parte di questi nomi. È nondimeno sorprendente che nel basso Medioevo, specialmente nella regione di Gand, ma anche piú in generale nel sud delle Fiandre orientali, nelle valli dei fiumi Schelda e Leie, e non lontano dal confine linguistico, la maggioranza dei villaggi, e persino degli agglomerati minori situati nel territorio dello stesso villaggio, abbiano un campo principale recante il nome del villaggio o dell’agglomerato, seguito dal suffisso -kouter. Come ho già detto, gran parte dei nomi in -akker erano già scomparsi a quel tempo, salvo alcuni non combinati con un nome di stanziamento e situati ai margini del kouter principale. Parrebbe quasi, dunque, che i nomi in -accra del IX secolo, con il suffisso abbinato al nome di uno stanziamento, furono sostituiti tra il IX e il XIII secolo da nomi in -kouter, ma spiegare questo fenomeno ci spingerebbe oltre il periodo carolingio.

Le prove sinora ricavate da fonti scritte riguardanti le strutture di campo dell’alto Medioevo hanno dimostrato che culturae, akker e kouter nell’Europa nord-occidentale in genere consistevano di grandi appezzamenti di terra arabile, raramente suddivisa in lotti piú piccoli. Il dato è confermato o da documenti scritti, o da prove archeologiche nel caso di regioni lontane come l’Alvernia o la bassa Linguadoca.17 Nella metà meridionale della Francia è stato rilevato un nesso tra gli appezzamenti dell’alto Medioevo e i campi protostorici e, piú di frequente, con una centuriatio romana.18 Un legame analogo è stato suggerito con i cosiddetti campi “celtici” dell’Europa nord-occidentale19 e persino con strutture simili alla centuriatio presenti nel Belgio nord-orientale20 e centrale e nella Francia settentrionale,21 che sono, tuttavia, difficili da definire come tali, per non dire come prefigurazioni delle forme di campo dell’alto Medioevo.

Gli appezzamenti che compongono le culturae della Francia settentrionale e del Belgio meridionale appartenevano tutti a un solo proprietario, il signore del maniero, come parte della cosiddetta réserve (‘dominico’) in una tenuta bipartita di tipo classico. Lo stesso non si può sempre dire con certezza dei campi del IX secolo il cui nome di insediamento era seguito dal suffisso -accra nella regione di Gand e nelle Fiandre sud-orientali.22 Accadde cosí solo quando furono integrati in blocco in una struttura signorile, come è dimostrato da alcuni esempi a Gand e nei suoi dintorni in un periodo successivo, in cui i nomi in -accra erano già scomparsi ed erano stati sostituiti da nomi in -kouter. Altrove, in grandi campi chiamati con il nome dello stanziamento seguito dal suffisso -accra, gli appezzamenti contadini dovevano giacere inframmezzati alle terre del signore, un esponente della stirpe o della famiglia che aveva dato il nome terminante in -inga allo stanziamento. Nei secoli successivi e nelle mappe catastali della prima età moderna le terre del signore possono essere identificate come grandi complessi dalla forma irregolare, mentre gli appezzamenti contadini in genere costituivano piccole strisce riunite in furlong e disposte nella stessa direzione.

È raro che questi schemi e piú in particolare la suddivisione in porzioni di insiemi o strisce di terreno si possano osservare in coevi documenti scritti dell’alto Medioevo, tuttavia il polittico dell’abate Irminone (825-829) ci offre qualche informazione sulle misure degli appezzamenti appartenenti all’ancinga, cioè a quella parte del dominico suddivisa tra i conduttori e che essi erano tenuti a coltivare per l’intero anno per conto del loro signore. Si trattava di anguste strisce la cui lunghezza poteva essere di 8-10 e fino a 20 volte superiore alla larghezza.23 Alcuni storici francesi hanno analizzato nell’Auvergne e nella Linguadoca rari testi dei secc. X e XI, che forniscono la lunghezza o la larghezza (o entrambe le dimensioni) di appezzamenti o ne indicano i confini o gli appezzamenti confinanti.24 Le loro conclusioni convergono nell’individuare un’evoluzione da complessi di campi a porzioni minori e a volte piú irregolari nei secc. X e XI. Solo in terre disboscate di recente le strisce regolari rappresentano, a partire dal sec. XI in poi, la struttura di campo dominante del successivo Medioevo.

3.CITTÀ

Le città, benché occupassero una parte relativamente piccola del suolo e non fossero molto numerose in età carolingia, costituiscono pur sempre un elemento del paesaggio agrario non molto urbanizzato di quel periodo e pertanto dobbiamo prenderle in considerazione. Ne tratteremo qui gli aspetti geografici, ai quali accenneremo solo rapidamente nella parte III, cap. II, con particolare attenzione a quelle città di origine romana che ancora costituivano la maggioranza nell’impero carolingio, fatta eccezione per le regioni a est del Reno. Quanto alle nuove città, i cosiddetti emporia, verranno trattate per esteso, nei loro aspetti geografici, nello stesso capitolo, come parte delle infrastrutture del commercio carolingio.

Alla fine del sec. III, le città romane si erano rimpicciolite, dato che attorno a esse furono costruite delle nuove mura in pietra che lasciavano fuori i sobborghi, i quartieri artigiani e altri elementi periferici. Non solo all’esterno, ma anche dentro le nuove mura ebbe luogo una certa ruralizzazione. Gli spazi aperti si fecero piú ampi e piú numerosi. Gli edifici pubblici decaddero, divenendo parte del sistema difensivo e venendo occupati a volte da privati, che li suddivisero e li utilizzarono come dimore private. Questo processo andò avanti fino al sec. VII, quando furono edificate chiese e abbazie di nuova fondazione, sulle rovine degli edifici romani, e magari con pietre recuperate dagli stessi, nello stesso luogo o in una zona suburbana piú distante. Il vecchio muro romano perse la sua importanza, cadde in rovina e la transizione dalla città alla campagna si fece piú blanda. Un’altra conseguenza di questi cambiamenti fu che spesso il centro della città si spostò rispetto alla precedente ubicazione.25

Alla fine del sec. VIII si assistette a un’intensa attività costruttiva intorno alle cattedrali in molte città episcopali come Metz, Lione, Vienna, Le Mans e altre, provocata dalle nuove regole canoniche sulla vita in comune, prescritte nel 754 da Crodegango, vescovo di Metz, e imposte da Carlo Magno a tutto il suo regno. La ruralizzazione del paesaggio urbano giunse chiaramente a termine, ma non furono piú costruite nuove mura.26

Le vecchie mura romane di alcune civitates come Tournai furono restaurate nella seconda metà del sec. IX contro possibili attacchi vichinghi. Spesso abbazie come St. Denis, St. Vaast in Arras, St. Bavo a Gand, che nel frattempo, come molte altre (Lorsch, St. Riquier, Fulda), erano state ricostruite secondo il nuovo stile carolingio, furono circondate da mura per la stessa ragione.27 Vicino ad esse, dal tardo sec. VIII in poi, presero a svilupparsi, per poi essere incluse nella loro successiva fortificazione, delle città monastiche a Tours, a St. Riquier (Centula), ad Arras, a Gand e in altri luoghi.28 Essendo al servizio dell’abbazia, non erano autonome, e tuttavia, almeno dal punto di vista geografico, presentavano un carattere urbano, con case, laboratori e botteghe lungo le strade. Alcune, come la città monastica chiamata portus vicino all’abbazia di St. Bavo a Gand (verso l’865), ebbero un ruolo economico nei confronti del mondo esterno e furono abitate da mercanti che, oltre alla loro attività al servizio dell’abbazia, poterono organizzare un commercio indipendente per loro personale profitto.

1. C. HIGOUNET, Les foréts de l’Europe occidentale du Ve au XIe siècle, in Agricoltura e mondo rurale in Occidente nell’alto Medioevo. XII Settimana di studio del CISAM, Spoleto, 22-28 aprile 1965, Spoleto 1966, pp. 343-98.

2. C. WICKHAM, European Forests in the Early Midlle Ages. Landscape and Land Clearance, in ID., Land and Power, cit., pp. 156-61; D. LOHRMANN, La croissance agricole en Allemagne au Haut Moyen Âge, in La croissance agricole, cit., pp. 109-13.

3. WICKHAM, European Forests, cit., pp. 179-83.

4. R. NOËL, Pour une archeologie de la nature dans le nord de la “Francia”, in L’ambiente vegetale nell’alto Medioevo. XXXVII Settimana di studio del CISAM, Spoleto, 30 marzo-5 aprile 1989, Spoleto 1990, pp. 763-820; ID., Moines et nature sauvage: dans l’Ardenne du Haut Moyen Âge, in Villes et campagnes au Moyen Âge. Mélanges Georges Despy, a cura di J.-M. DUVOSQUEL e A. DIERKENS, Liège 1991, pp. 563-97; WICKHAM, European Forests, cit., pp. 175-79.

5. A. VERHULST, Histoire du paysage rural en Flandre, Bruxelles 1966, pp. 87-98.

6. DROSTE, Polyptychon von Montiérender, cit., V exarti.

7. O. TULIPPE, L’habitat rural en Seine-et-Oise. Essai de géographie du peuplement, Paris-Liège 1934; M. ROBLIN, Le terroir de Paris aux époques gallo-romaine et franque, Paris 19712.

8. K. ELMASHÄUSER-A. HEDWIG, Studien zum Polyptychon von Saint-Germain-des-Prés, Köln-Weimar-Wien, 1933, pp. 130-35, 405.

9. WICKHAM, European Forests, cit., pp. 162-70, 198.

10. A. VERHULST, Settlement and Field Structures in Continental North-West Europe from the Ninth to the Thirteenth Centuries, in «Medieval Settlement Research Group. Annual Report», 13 1998, pp. 6-13.

11. F. SCHWIND, Beobachtungen zur inneren Struktur des Dorfes in karolingischer Zeit, in Dorf der Eisenzeit, cit., pp. 444-93.

12. ELMSHÄUSER-HEDWIG, Studien zum Polyptychon Saint-Germain-des-Prés, cit., pp. 35-36, 77-79.

13. Un village au temps de Charlemagne, a cura di J. CUISENIER e R. GUADAGNIN, Paris 1988, pp. 118-21, 142-49.

14. ELMSHÄUSER-HEDWIG, Studien, cit., pp. 348-53.

15. Le parcelle contadine non erano recintate e separate le une dalle altre, ma affiancate come strisce parallele di un unico campo aperto [N.d.T.].

16. A. VERHULST, Le paysage rural en Flandre intérieure: son évolution entre le IXe et le XIIIe siècle, in «Revue du Nord», 62 1980, pp. 11-30 (rist. in ID., Rural and Urban Aspects, cit., n. VIII).

17. G. FOURNIER, Le peuplement rural en Basse Auvergne durant le Haut Moyen Âge, Paris 1962, pp. 322-25; M. BOURIN, Delimitation des parcelles et perception de l’espace en Bas-Languedoc aux Xe et XIe siècles, in Campagnes médiévals: l’homme et son espace. Études offertes à Robert Fossier, Paris 1995, p. 79.

18. G. CHOUQUER, Parcellaires et longue durée, in Les formes du paysage, a cura di G. CHOUQUER, Paris 1996, II. Archéologie des parcellaires, pp. 213-18; J.-L. ABBÉ, Permanences et mutation des parcellaires médiévaux, ivi, pp. 223-33.

19. Questa opinione dell’archeologo olandese H.T. WATERBOLK, Patterns of the Peasant Landscape, in «Proceedings of the Prehistoric Society », 61 1995, pp. 1-36, riguardo alla continuità del paesaggio e dello stanziamento dai tempi preistorici a quelli storici nella provincia olandese di Drenthe non è piú accettata, vd. T. SPEK, Die bodenkundliche und landschaftliche Lage von Siedlungen, Äkkern und Gräberfeldern in Drenthe (nördliche Niederlande), in «Siedlungsforschung », 14 1996, pp. 95-193, alle pp. 142-56, con un sunto in inglese.

20. J.R. MERTENS, Sporen van Romeins kadaster in Limburg?, in «Limburg», 37 1958, pp. 1-7 (rist. in «Acta Archaeologica Lovaniensia», 25 1986, p. XX); L. MELARD, Millen. Van natuurlandschap tot cultuurlandschap, in «Volkskunde », 87 1986, pp. 262-345, alle pp. 282-90.

21. A. QUERRIEN, Parcellaires antiques et médiévaux du Berry, in «Journal des Savants », 1994, pp. 235-366, alle pp. 307-10; R. AGACHE, La Somme pré-romaine et romaine, Amiens 1978, pp. 454-56.

22. VERHULST, Paysage rural en Flandre intérieure, cit.

23. ELMSHÄUSER-HEDWIG, Studien, cit., p. 356.

24. G. FOURNIER, Le peuplement rural en Basse-Auvergne durant le Haut Moyen Âge, Paris 1962; BOURIN, Délimitation des parcelles, cit.; A. GUERREAU, L’évolution du parcellaire en Mâconnais (env. 900-env. 1060), in Le village médiéval et son environnement. Études offertes à Jean-Marie Pesez, a cura di L. FELLER, P. MANE, F. PIPONNNIER, Paris 1998, pp. 509-35.

25. Towns in Transition: Urban Evolution in Late Antiquity and the Early Midlle Ages, a cura di N. CHRISTIE e S.T. LOSEBY, Aldershot 1996; Towns in Decline, AD 100-1600, a cura di T.R. SLATER, Aldershot 2000.

26. J. HUBERT, La renaissance carolingienne et la topographie religieuse des cités épiscopales, in I problemi della civiltà carolingia. I Settimana di studio del CISAM, Spoleto, 26 marzo-1° aprile 1953, Spoleto 1954, pp. 219-25; W. JACOBSEN, Die Renaissance der frühchristlichen Architektur in der Karolingerzeit, in Kunst und Kultur der Karolingerzeit, a cura di C. STIEGEMANN e M. WEMHOFF, Mainz 1999, pp. 623-43.

27. A. VERHULST, The Rise of Cities in North-West Europe, Cambridge 1999, pp. 59-67.

28. F. SCHWIND, Zu karolingerzeitlichen Klöstern als Wirtschaftsorganismen und Stätten handwerklicher Produktion, in Institutionen, Kultur und Gesellschaft im Mittelatter. Festschrift für Josef Fleckenstein, a cura di L. FENSKE, W. RÖSENER, T. ZOTZ, Sigmaringen 1984, pp. 101-23.