Capitolo 1

Capitolo Uno

Tennessee, 1888

L’inverno era ancora un ricordo piuttosto recente, che sferzava di gelo la brezza del mattino, e il sole non aveva ancora dissolto il grigio fumoso della nebbia. Eppure in quella ostile mattinata Esme Crabb discese giù per la montagna, il cappotto sdrucito ben stretto attorno al corpo. I suoi pensieri, però, non erano rivolti al tempo.

Nella vallata sotto di lei, oltre gli alberi scuri e spogli dell’inverno, intravvide la sua meta: Vader. Il piccolo crocicchio sul fiume Nolichucky era la cosa più somigliante a una città che Esme avesse mai visto. Riusciva a vedere le quattro case, la chiesa, la scuderia e la piccola scuola elementare che aveva frequentato solo mezza dozzina di volte, e vide anche l’edificio verso cui si stava dirigendo.

Una facciata posticcia lo faceva apparire alto due piani, ma dal punto in cui si trovava Esme si vedeva chiaramente che ne aveva solo uno, lungo e stretto. Anche se era ancora troppo lontana per leggerlo, sapeva che l’insegna che decorava la facciata diceva: “Emporio di M. Cleavis Rhy Jr.”

Quando raggiunse i piedi della montagna, Esme fece una breve sosta per sistemarsi. Si sollevò le gonne e tirò su le calze di lana nera piene di rammendi, che ormai le erano calate fino al ginocchio. Dopo aver lisciato per bene il tessuto sulla coscia, lo arrotolò di qualche centimetro; presa un’estremità arrotolata della calza la girò più volte su se stessa fino a che la lana non si tese, conficcandosi dolorosamente nella sua carne, e poi la infilò con attenzione all’interno per tenerla ferma. Era una soluzione un po’ alla buona, non pratica come una giarrettiera, ma a Esme non importava di sciocchezze del genere.

Sistemate le calze e spazzolata la gonna, Esme sollevò il mento orgogliosa. Aveva indosso gli abiti della domenica e si fece coraggio dicendosi che, se il suo comportamento fosse stato all’altezza del suo aspetto, sarebbe andato tutto bene. Si diresse verso il negozio con passo deciso.

Era tutta colpa delle sue sorelle, si disse. Le gemelle adesso avevano diciassette anni, e, secondo Esme, erano le ragazze più belle del paese. I più le ritenevano identiche, ma di certo erano identici i loro difetti!

Al momento entrambe non avevano occhi che per Armon Hightower, il più inutile esemplare di maschio del Tennessee, a eccezione, forse, del padre di Esme.

Sua madre era stata proprio uguale alle gemelle, tutta sospiri per un bel viso e delle spalle larghe. Be’, sua madre si era conquistata quel bel viso e quelle spalle, e poi si era ammazzata di lavoro a causa loro. Esme aveva deciso che le sue sorelle non sarebbero andate incontro allo stesso destino. Ecco perché era lì.

“‘Giorno, Mr. Tyree, Mr. Denny,” disse Esme salendo sul portico del negozio. I due uomini sedevano sulla lunga panca davanti all’emporio a scambiarsi storie e sputare tabacco.

“E tu chi sei?” chiese Tyree, strizzando gli occhi per guardarla mentre la mascella continuava a masticare.

“Esme Crabb,” rispose semplicemente lei.

“Che ha detto?”

“Ha detto ‘Esme Crabb’,” gli urlò in un orecchio Denny. “Una delle figlie di Yo.”

“Una di quelle belle?” chiese Tyree, strizzando di nuovo gli occhi.

“No,” fu la risposta decisa.

Esme si sentì arrossire mentre oltrepassava la porta. Essere paragonata negativamente alle sorelle era normale come il comparire delle lumache in primavera, ma quel giorno avrebbe avuto bisogno di possedere un po’ di più di quella bellezza che Dio aveva donato tanto generosamente alle gemelle.

La campanella sopra la porta tintinnò rumorosamente nel silenzio del negozio quando vi entrò. Lui si trovava dietro il bancone a nord, carte e libri mastri sparsi davanti a sé. Alzò la testa e le rivolse un’occhiata cortese.

“Buongiorno, miss. Date un’occhiata in giro e fatemi sapere se trovate qualcosa di vostro gradimento.”

La sua attenzione tornò immediatamente ai fogli ed Esme iniziò a passeggiare per il negozio nel modo più naturale possibile. Due lunghi banconi erano allineati lungo entrambe le pareti, e sulle mensole si trovavano barattoli di tabacco, utensili da cucina e cibi in scatola. Vicino all’ingresso c’erano mobili pieni di tessuti e di modelli preconfezionati e cassetti di lozione e tonico per capelli, bretelle e ami da pesca. Dalle travi sopra la testa di Esme dondolavano uncini a cui erano appesi finimenti, ceste, bacinelle e vasi da notte. Nell’angolo più lontano c’erano una serie di scomparti e un bancone con diversi tamponi di inchiostro e una fila di stampi di legno intagliato, che rappresentavano l’Ufficio Postale di Vader, Tennessee.

Per Esme una visita all’emporio era solitamente un’avventura, ma oggi la sua missione le impediva di perdersi in qualsiasi sciocca frivolezza.

Riportò lo sguardo sull’uomo dietro il bancone: era alto e snello, ed era ovvio che non aveva passato la vita a spingere un aratro e guardare il didietro di un mulo. Le sue spalle, però, erano belle ampie, avvolte da una camicia immacolata e divise precisamente da un paio di bretelle grigie. Le braccia lunghe, posate con i gomiti sul bancone, non erano muscolose, ma abbastanza forti da potersi difendere in una rissa, pensò Esme. Aveva i capelli scuri ma non neri, di un bel castano, divisi nel mezzo e con due ricci impomatati rivolti l’uno verso l’altro sulla fronte. Nell’avvicinarsi, notò che teneva la matita tra dita lunghe e aggraziate con le unghie più pulite che avesse mai visto.

“Ecco!” lo sentì sussurrare sottovoce mentre segnava uno dei numeri della lunga colonna di cifre su cui stava lavorando. Sorrise nel fare quella correzione, e solo a vedere quel caldo sorriso qualcosa dentro Esme si irrigidì.

“Cleavis Rhy! Sei impazzita?”

Riusciva ancora a sentire le sue sorelle che ridevano.

La discussione della sera precedente era iniziata, come tutte le discussioni nelle ultime settimane, con il nome di Armon Hightower.


Quell’uomo è un buono a nulla patentato,” Esme disse severamente alle gemelle. “Non è il tipo di uomo che voglio per una di voi due.”

“Armon Hightower è l’uomo più bello tra queste montagne,” protestò Adelaide.

“Ogni benedetta ragazza in questa parte del Tennessee gli fa il filo. Perché non dovremmo farlo anche noi?” chiese Agrippina.

Esme si mise le mani sui fianchi e sospirò forte. “Perché dopo tutti questi anni sotto lo stesso tetto di papà dovreste sapere che parole dolci e un bel viso non mettono il pane sulla tavola.”

Le due si zittirono a quelle parole. A inverno inoltrato il cibo scarseggiava sempre, e la fame non era qualcosa che si poteva prendere alla leggera. Dal momento che era Esme a mantenere la famiglia ed era l’unica con un po’ di cervello, tutti ascoltavano ciò che aveva da dire su qualsiasi argomento, specialmente riguardo al poter mangiare regolarmente.

“Be’, che tipo di uomo avresti in mente?” chiesero in coro le due belle biondine.

La fronte di Esme si aggrottò per un momento mentre rifletteva. “Avevo sperato in Milt Newsome, prima che si sposasse quella Maud Turhell.”

Le due gemelle si scambiarono un’occhiataccia che a Esme sfuggì, poi alzarono uno sguardo grato verso il cielo, ringraziandolo per il fortunato matrimonio di Milt Newsome.

“La fattoria di Milt è la migliore qui nei dintorni e io ci speravo davvero.” Esme scosse tristemente il capo. “E poi deve essere qualcuno con una casa grande. Non ho intenzione di vivere per sempre in questo buco.”

Esme scrutò l’ambiente circostante con un’occhiata insoddisfatta. “Avremo bisogno di spazio per venire ad abitare con la sposa.” Si mise a camminare lentamente da una parte all’altra della stanza, riflettendo. “Sarebbe meglio se avesse qualcosa da parte per i tempi difficili. Visto come gira la nostra fortuna, le difficoltà sono sempre dietro l’angolo.”

Esme si fermò e si mise a guardare un punto imprecisato davanti a sé, esaminando mentalmente ogni uomo della comunità e scartandolo subito dopo. Le sue sorelle le erano molto care, ma il benessere dell’intera famiglia dipendeva da un buon matrimonio di una delle due.

All’improvviso gli occhi le si accesero di entusiasmo. “Ma certo! Avrebbe dovuto venirmi subito in mente!”

“Chi?” chiesero le due all’unisono.

“Il proprietario dell’emporio, Cleavis Rhy!”

“Cleavis Rhy!” La loro reazione fu immediata. “Ma sei impazzita?”

“È perfetto,” dichiarò Esme. “Non è vecchio come Milt Newsome, e che casa che ha! Devono esserci almeno mezza dozzina di stanze. E scendere giù dalla montagna potrebbe fare bene alla salute di Pa’.”

“La salute di Pa’ è perfetta,” disse Adelaide.

“Non vorrai mica che ci sposiamo con uno come lui!” protestò Agrippina.

“E perché no?” chiese Esme.

“Lui non è come noi, Esme,” piagnucolò Adelaide. “Non parla nemmeno come noi. Non saprei neanche cosa dirgli.”

“Non devi dirgli niente, devi solo essere carina. Del resto gli uomini non vogliono altro.”

Le due splendide sorelle rifiutavano di ascoltarla. “Tu non ne sai un bel niente di cosa vogliono gli uomini,” dichiarò una di loro con sincerità. “Non ne hai mai lasciato avvicinare uno a meno di un tiro di schioppo.”

“Non ci ha mai provato qualcuno che valesse un cavolo,” disse Esme, riportando subito l’attenzione sul problema in questione.

“Se una di voi due desse un’altra occhiata al negoziante, tutti noi potremmo vivere in una bella casa grande e bianca e banchettare con pollo fritto per il resto della nostra vita!”

Le due sorelle scossero ostinatamente il capo.

“Io no,” dichiarò Agrippina.

“Neanche io,” la imitò Adelaide.

“Se Cleavis Rhy ti piace tanto, sposatelo tu, allora!”

“Deve avere almeno trent’anni!” dissero incredule le gemelle.


Posso aiutarvi?” Cleavis Rhy aveva alzato il capo dalla pila di carte che richiedevano la sua attenzione per guardare la sua cliente. Aveva ancora in volto quel sorriso angelico, ed Esme si ritrovò osservata dagli occhi azzurri più caldi e più chiari che avesse mai visto.

Si sentiva la gola secca, e il cuore le batteva nel petto come il martello di un fabbro. Sputò la prima cosa che le venne in mente.

“Quanti anni avete?”

Cleavis Rhy rimase interdetto per un momento da quella domanda ma si riprese subito.

“Ventisei,” rispose con espressione interrogativa.

Esme annuì. “Lo sapevo che non eravate tanto vecchio quanto sembrate.”

Cleav sbatté le palpebre nel sentire quello strano commento, poi la guardò meglio.

“Siete una delle ragazze di Yohan Crabb, vero?”

“Sì,” rispose Esme, alzando il mento in un vago cenno di sfida.

Lui sembrava vagamente a disagio. “Capirete che non posso più fare credito a vostro padre. Ma se avete bisogno di qualcosa di vitale…”

“Non mi serve niente,” lo interruppe Esme in fretta, inghiottendo il nodo di vergogna che le si era formato in gola.

Il sorriso tornò sul volto di lui, ma adesso era un’espressione più gentile. “Sui barili ci sono formaggio e crackers, servitevi pure.”

“Non sono venuta perché ho fame,” insistette Esme, instillando l’orgoglio in ogni parola.

“Certo che no,” disse lui. “Ma potete comunque prendere un boccone.”

Imbarazzata, Esme fece un passo indietro e lui riportò subito la propria attenzione alle carte.

Adesso o mai più. Era scesa dalla montagna per dirgli una cosa. Se non l’avesse detta in quel momento non l’avrebbe più fatto, e la sua famiglia avrebbe mangiato rane ed erbe per il resto della vita.

“Volete sposarmi?”

“Cosa?”

Esme era a circa tre metri di distanza da lui, ma i loro sguardi erano fissi l’uno nell’altro. Sul volto dell’uomo era comparsa un’espressione scioccata e terrorizzata. Si sentì avvampare e pregò che i cieli si aprissero e la colpissero con un fulmine.

“Vi ho chiesto se avete della marmellata di mirtilli.”

Seguì un teso attimo di silenzio, finché il cervello di Cleav non recepì la domanda.

“No, niente mirtilli,” rispose piano. “Abbiamo della conserva di pesche e un po’ di burro di prugne.”

Esme fece un piccolo cenno col capo e si affrettò verso il retro del negozio. Pescò un cracker dalla botte con la mano che le tremava e lo cosparse generosamente di burro di prugne, rendendosi conto che non sarebbe mai riuscita a inghiottirlo.

Cleav la guardò allontanarsi, con i pensieri che gli vorticavano in testa. Aveva detto ciò che gli sembrava? Certo che no, si assicurò, ma gli pareva strano che le sue orecchie gli avessero fatto uno scherzetto del genere. L’aveva sentita chiaramente chiedergli se voleva sposarla. No, doveva per forza aver capito male.

La ragazza adesso era in piedi accanto alla botte dei cracker e gli dava la schiena. Aveva i capelli ricci e selvaggi, di un colore biondo scuro, in parte intrecciati sulla nuca e in parte lasciati in disordine lungo la schiena, appena fin sotto le scapole. Il lacero cappotto di lana che indossava le arrivava sotto i fianchi, e la pesante gonna di serge aveva visto giorni migliori. Anche da quella distanza Cleav riusciva a vederne l’orlo sbrindellato, a cui mancavano almeno cinque centimetri per seguire le norme della moda e del buonsenso. La parte peggiore, però, erano le scarpe: quegli stivalacci neri da lavoro erano adatti ai piedi di un contadino, non di una fanciulla.

Gli aveva davvero chiesto… No, si ripeté Cleav. Erano solo le sue orecchie a dargli qualche problema negli ultimi tempi.

Si costrinse a tornare con gli occhi sulla contabilità. Aveva trovato l’errore di tre centesimi che l’aveva tormentato per tutta la mattina. Doveva ancora far quadrare tutti i conti, ma anche mentre lavorava il suo sguardo continuava a distogliersi dalle precise file di numeri a matita e ad appuntarsi addosso alla figura femminile che si scaldava alla stufa e mangiucchiava cracker.

Esme stava cercando di decidere il da farsi. Aveva dato un morso al cracker spalmato di burro ma l’aveva trovato assolutamente privo di sapore. Le sedie di vimini attorno alla stufa sembravano comode, ma lei rimase in piedi: erano tutte rivolte verso l’ingresso del negozio, e lei non riusciva neanche a pensare di dover guardare Cleavis Rhy in faccia.

Avrebbe dovuto elaborare un piano più preciso, invece di sputare la sua offerta come una pazza. Forse non l’aveva sentita. Doveva averla sentita per forza. Pregò che così non fosse.

A dire il vero, la notte precedente non aveva dormito, pensando e ripensando alla sua decisione, cercando di convincersi che era per il meglio. Era disposta a sacrificare se stessa, la sua felicità personale, sull’altare di un matrimonio senza amore per il bene della sua famiglia. Non aveva neanche considerato l’idea che a lui potesse non interessare, ma adesso quel timore iniziava a farsi strada nella sua mente.

Specialmente adesso che l’aveva guardato per bene: non era poi così vecchio, e aveva un aspetto abbastanza piacente. Non era certo come Armon Hightower, ma non era nemmeno brutto come il demonio. E quel sorriso… Esme si sorprese nel sentirsi sospirare. Era maledettamente ingiusto che un uomo fosse bello e pure ricco!

Diede un altro morso al cracker e scosse la testa. Se solo una delle due gemelle avesse dimostrato il benché minimo interesse verso di lui, avrebbero già potuto navigare nell’oro!

Le due formose ma sciocche gemelle Crabb attiravano l’attenzione di ogni uomo, giovane o vecchio, e ognuno di loro sarebbe stato fiero di avere una tale bellezza al fianco.

Esme era diversa. Lo era sempre stata. Fin da quando era diventata abbastanza grande da capire qualcosa, si era accorta che le gemelle non conoscevano la differenza tra “vieni qui” e “pussa via”. Era chiaro che Dio aveva voluto Esme sulla terra per tenere al sicuro quelle due belle e ingenue creature. Le due sorelle maggiori non avrebbero saputo chiudere la bocca per non annegare in un giorno di pioggia, figuriamoci trovare un riparo.

Esme si era assunta da subito quel compito, dedicandovisi con piacere e con amore. Non riusciva quasi a ricordare sua madre. E suo padre… be’, era semplicemente suo padre. Le sue sorelle erano le persone più importanti della sua vita, e solo in rare occasioni si trovava a invidiare la loro carnagione perfetta e i loro stravaganti decolté.

Questa era una di quelle rare occasioni. Se non altro avrebbe avuto un bel seno da offrire a Cleavis Rhy, se fosse stata bella come loro, ma al confronto Esme era decisamente scialba.

Be’, almeno era furba come una volpe, si ricordò, ma a Cleavis Rhy sarebbe interessata una donna intelligente? Esme sapeva che lui era andato fino a Knoxville per studiare ed era sicura che in una città grande come quella avesse trovato decine di persone intelligenti, alcune delle quali avrebbero potuto anche essere donne.

Sapeva che alla morte di suo padre aveva dovuto abbandonare gli studi per tornare a gestire il negozio, ma Pearly Beachum in chiesa le aveva detto che Cleavis era riuscito a ottenere il diploma di scuola superiore per corrispondenza. Non era certo una cosa di cui prendersi gioco.

Secondo gli ultimi pettegolezzi di Pearly, andava spesso in visita da Sophrona Tewksbury, la figlia del pastore. Sophrona suonava il piano in chiesa ed era sempre stata cortese con Esme e con le gemelle, ma Esme non la capiva molto bene. Studiava quasi continuamente la Bibbia e quasi tutto quello che diceva erano citazioni bibliche. Esme pensava che non ci si potesse fidare di una persona che non aveva mai niente da dire con parole sue, ma si chiese se non fosse quello il modo di conquistare Cleavis Rhy. Esme aveva imparato a memoria un bel po’ di versi della Bibbia, ed era in grado di recitare l’intero tredicesimo capitolo della Prima lettera ai Corinzi, o almeno così pensava mentre iniziava a mormorare tra sé e sé.

“Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un…” Aspetta un attimo. Si fermò improvvisamente. Carità. ‘Carità’ non era una delle sue parole preferite. L’aveva sentita più volte di quanto avesse voluto e adesso non era il caso di ricordare a Cleavis Rhy che lo scorso Natale le aveva annullato ben 42,73 dollari di credito che aveva concesso a suo padre negli anni precedenti.

Forse era meglio il capitolo 31 dei Proverbi? Magari quello gli avrebbe fatto una migliore impressione. “Una donna virtuosa chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore.” Oh, merda, pensò Esme, ancora soldi. Non avrebbe mai funzionato.

Non sarebbe mai stata bella come le sue sorelle, e di certo non era Sophrona Tewksbury: era solo l’insignificante Esme Crabb, e le cose che sapeva fare, come scuoiare un opossum e farci mangiare quattro persone per una settimana, non avrebbero certo attirato l’attenzione di un tipo raffinato come Cleavis Rhy.

Come avrebbe fatto una donna come lei a trovarsi un uomo, in ogni caso? Era una domanda che non si era mai preoccupata di porsi in passato, e che adesso era della più assoluta importanza.

Smarrita nei suoi pensieri, sentì il fastidio della calza che iniziava a calarle nuovamente. Con un sospiro esasperato puntellò il piede contro il bordo della sedia più vicina e si sollevò le gonne. Si irrigidì nel chinarsi per afferrare la calza ribelle. Si sentiva addosso gli occhi di lui. Senza volerlo, ma incapace di fermarsi, volse il capo per guardarlo.

Cleavis Rhy era impettito e silenzioso a sei metri da lei, lo sguardo caldo e azzurro fisso su Esme, come ipnotizzato.

Gli occhi di Esme si sgranarono nel vedersi così esaminata e il suo primo istinto fu di riaggiustarsi le gonne e di andarsene dall’edificio a gambe levate, ma qualcosa la fermò.

Guardandolo mentre lui continuava a fissarla, Esme si sentì avvolgere come da un caldo bagliore color miele. Il suo respiro si fece faticoso e le labbra si schiusero appena. Distolse lo sguardo da lui, spostandolo sulla gamba che aveva scoperto e volle improvvisamente che lui la vedesse.

Per tutta la vita si era fatta domande su quella cosa tra uomo e donna, senza capirla mai del tutto. Era necessario, naturalmente, a mettere al mondo dei bambini, ma le era sempre sembrata una cosa decisamente imbarazzante e un comportamento del tutto stupido.

Adesso, all’improvviso, nel bel mezzo di un martedì mattina nell’Emporio di M. Cleavis Rhy Jr., Esme sentì per la prima volta il dolce, oscuro richiamo del desiderio.

Tornò con gli occhi su Cleavis e notò che il suo sguardo era rimasto fisso su di lei. Osservò con piacere l’alzarsi e abbassarsi del suo petto, come se anche lui tutt’a un tratto avesse trovato l’interno dell’emporio a corto d’aria. Le sue mani grandi e dall’aspetto forte erano posate col palmo sul bancone, apparentemente per sostenersi, e la matita che aveva usato adesso giaceva spezzata tra le sue dita come muto testimone della scena.

Esme riportò la propria attenzione sulla calza e con lentissima attenzione lisciò la lana nera fin sulla coscia. Per sbaglio, assolutamente, sollevò le gonne un po’ troppo, svelando per un momento la gala sull’orlo dei mutandoni di cotone bianco, poi arrotolò la calza, rivelando la pelle bianca e liscia della gamba, ne girò un angolo su se stesso e lo infilò all’interno con nonchalance. Con fare fin troppo teatrale si risistemò le gonne prima di togliere il piede dalla sedia.

Si voltò a guardare Cleavis Rhy e con passo lento e ancheggiante si avvicinò al bancone. Mai nella sua breve e impegnatissima vita Esmeralda Crabb aveva avuto la possibilità di sentirsi in possesso di un potere tanto grande, di tanta sicurezza di sé. In piedi di fronte a lui vide che le mani gli tremavano leggermente e che il labbro superiore gli si era imperlato di sudore. Desiderio. Ah, desiderio. Un’arma inaspettata.

Scoccandogli uno sguardo fintamente innocente, si mise una mano sul fianco e gli disse: “Fatemi sapere se trovate qualcosa di vostro gradimento.”

Sentire quella frase da lui tanto spesso ripetuta uscire con disinvoltura dalle labbra di Esme scosse Cleav dalla sua trance. Drizzò subito le spalle. Si schiarì la voce, trovandosi la gola inspiegabilmente secca e sentendosi torturare dal più che comprensibile fastidio da qualche altra parte, e cercò di scusarsi.

“Miss Crabb, io… non volevo… mi dispiace di… io…”

Lei aveva in volto un sorriso di trionfo. “Vi prego, Mr. Rhy, avete il permesso di chiamarmi Esme.”

Senza aggiungere altro si girò e uscì marciando dalla porta, col fondoschiena che ondeggiava in modo provocante. Per Esme era già tutto deciso: sarebbe diventata la signora Cleavis Rhy prima che germogliassero le rape.