“Oh, che uomo meraviglioso!” sospirò beata Adelaide, sporgendosi precariamente dalla finestra che si apriva sulla facciata della casa.
“Sì, è proprio l’uomo perfetto!” assentì Agrippina, unendosi alla sorella per osservare i due gentiluomini che esaminavano i laghetti delle trote con Cleavis.
Cleav era partito all’alba per la stazione di Russellville e aveva avuto a malapena un momento per parlare alla famiglia, e solo dopo le prime presentazioni i tre uomini si erano diretti ansiosamente ai laghetti per esaminare gli esperimenti di Mr. Rhy sulla piscicoltura.
“E gli occhiali aggiungono proprio il tocco speciale,” dichiarò Adelaide in tono teatrale.
“Occhiali?” Agrippina si voltò a fissare la sorella. “Non sto parlando del quattrocchi,” disse. “Sto guardando quello affascinante.”
Adelaide ricambiò lo sguardo della sorella con in volto un’espressione incredula. “Quello con gli occhiali è quello affascinante!”
Sua sorella rise. “Adelaide, penso che anche tu abbia bisogno degli occhiali.”
Le due presero a litigare proprio mentre Esme entrava nella stanza, sconvolta dall’inusuale battibecco delle gemelle. “Che cosa state facendo, voi due?” domandò.
“Questo è il punto migliore per guardare i laghetti,” rispose Agrippina, come se quell’affermazione spiegasse tutto.
“I laghetti?” Esme si posò severa le mani sui fianchi. “Nessuna delle due ha mai dimostrato un briciolo di interesse sui pesci di Cleav. Sono quei due gentiluomini che vi interessano, e non mi sta bene.”
“Che cosa vuol dire che ‘non ti sta bene’?” domandò Agrippina in tono bellicoso.
“Ci hai detto di dimenticarci di Armon,” le ricordò Adelaide. “Quel gentiluomo con gli occhiali è il primo uomo che mi interessa da settimane a questa parte!”
“Per l’amor del cielo, Adelaide,” la interruppe Agrippina in tono implorante. “Ti ho già detto che quello da conquistare è quello biondo.”
Adelaide scosse la testa. “Quello sembra solo un altro contadino bruciato dal sole,” disse alla sorella. “Quell’altro sì che ha dignità.”
“Dignità?” Sia Agrippina, sia Esme trovarono strana la parola appena uscita dalle labbra di Adelaide.
“Be’, non importa,” riprese Esme in tono duro. “Non mi sta bene che vi gettiate addosso a quei gentiluomini.”
“E perché mai no?” protestò Agrippina. “Non saranno mica sposati?”
“No, non lo sono,” ammise Esme. “Ma quando si sposeranno, di sicuro vorranno delle signore come mogli,” concluse.
Entrambe le giovani sollevarono il mento orgogliose.
“È il caso che tu sappia,” dichiarò Agrippina, “che io e Adelaide abbiamo vissuto e respirato ogni parola che è uscita dalle labbra di Sophrona.”
“Possiamo comportarci da signore come qualunque altra donna,” affermò sua sorella con decisione.
“Comportarsi non è la stessa cosa che essere,” ribatté Esme. “La gente non può cambiare ciò che è, per quanto lo desideri.”
“E perché mai dovremmo desiderare di cambiare?” le chiese Adelaide. “Da quando riesco a ricordare ci hai sempre detto che valevamo tanto quanto chiunque altro, che dovevamo tenere la testa alta e tenere a mente che nessuno avrebbe potuto sminuirci se non noi stesse.”
“Esatto,” interloquì Agrippina. “Hai sempre detto che non sono le cose di fuori che rendono una persona degna o indegna, ma quello che abbiamo nel cuore e nella testa.”
Le gemelle guardarono la sorella con occhi curiosi.
Esme fissò le due donne che aveva amato, di cui si era preoccupata e sentita responsabile fin dalla morte di sua madre. Aveva insegnato loro a credere in loro stesse. Avrebbe dovuto permettere ai propri fallimenti di affievolire le loro speranze?
“Sono solo un po’ nervosa,” concesse goffamente. “State attente con quegli uomini di città, non voglio che vi convincano a suon di belle parole a raggiungerli in un fienile deserto.”
Le ragazze proruppero in una risatina maliziosa.
“A meno che non siamo noi a convincerli,” disse Agrippina. “Con Pa’ che ci aspetta nel fienile con un fucile carico!”
“Abbiamo imparato un sacco di cose dalla tua terribile vicenda,” aggiunse Adelaide.
Esme spalancò la bocca, sconvolta e scioccata, e le gemelle la strinsero in un abbraccio fraterno. La loro felicità e le loro chiacchiere allegre furono come un balsamo per i suoi nervi a fior di pelle e una manna per i suoi sentimenti più intimi.
“Se ora non scendo a controllare quei dannatissimi pesci,” disse alle due, “dovremo servire a quei gentiluomini maiale salato e uva turca!”
Esme cercò disperatamente di far riuscire tutto alla perfezione, ma il pomeriggio trascorse in fretta, e la perfezione non era facile.
I funghi che aveva raccolto la sera prima avevano preso umidità e avevano assunto un poco invitante colore nerastro, e le cozze avevano un odore strano che Esme trovava assai preoccupante. I panini al latte si rifiutavano testardamente di lievitare, quindi Esme fu costretta a preparare in fretta delle gallette al bicarbonato. In più, non riusciva a guardare lo scaldavivande ‘vaso da notte’ senza perdere l’appetito.
Quando finalmente Esme fu certa di avere qualcosa da servire in tavola, i gentiluomini erano già tornati a casa a cambiarsi per la cena.
Corse al piano di sopra, pregando di avere abbastanza tempo per rimettere in sesto il proprio corpo stanco, coperto di farina e bagnato di sudore prima che qualcuno la vedesse.
Aiutata da tutti gli angeli del paradiso, Esme riuscì a infilarsi inosservata in camera e si chiuse rapidamente la porta alle spalle.
Senza neanche darle il tempo di ringraziare il cielo per quel sollievo, due braccia forti la strinsero, e Cleavis la abbracciò.
“Cleav!” esclamò lei, spaventata da quell’abbraccio inaspettato.
“È bello averti qui,” le disse, premendosi contro di lei. “Ho sognato di stringerti tra le braccia per tutto il giorno.”
Esme sollevò la testa sorpresa. “Non è vero.” Si sciolse dal suo abbraccio e raggiunse il portacatino, scoccandosi un’occhiata scontenta nello specchio prima di versare in fretta l’acqua nel catino e spogliarsi fino a restare solo in camicia.
“Che cosa vuoi dire, che non ho sognato di stringerti?” le domandò Cleav.
Esme prese un asciugamano e si voltò a rivolgere un sorrisetto tollerante al marito. “Hai sperato per tutta l’estate che quegli uomini venissero a Vader, e mi permetto di dire che non hai pensato ad altro per tutta la settimana.”
Cleav sollevò un sopracciglio e la guardò con espressione scettica. “Mi permetto di dissentire, cara moglie,” ribatté lui. “Sono stato molto contento di avere finalmente qualcuno con cui discutere l’allevamento delle trote,” ammise, “ma sei stata tu, piccola mia, a non avere altro che questa visita per la testa dal momento in cui te ne ho parlato.”
“Be’, è molto importante,” rispose Esme, che si stava strofinando il viso e il collo, cercando di togliersi di dosso ogni traccia della lunga giornata davanti ai fornelli.
“Importante?” L’espressione di Cleav era palesemente incuriosita. “‘Piacevole’ è il termine più adatto, direi,” la corresse. “Anche ‘interessante’, ma ‘importante’? Questa visita non è importante.”
“Non è importante in quel senso,” assentì Esme, “ma è importante per te, quindi voglio fare una buona impressione.”
Cleav rise. “Non riesco a immaginare come un gentiluomo potrebbe non rimanere favorevolmente colpito,” le disse, avvicinandosi a lei da dietro, avvolgendole le braccia attorno alla vita e posandole un bacetto sull’incavo del collo. “Ma non voglio che quei gentiluomini restino troppo colpiti, quindi tieni ben nascoste quelle tue belle gambe.”
Esme sbiancò e si staccò bruscamente da lui con espressione ferita e con gli occhi che le bruciavano di lacrime. “Non ti metterei mai in imbarazzo in quel modo, Cleavis,” gli disse. “Non credi che io sia in grado di non dare spettacolo?”
“Esme, cosa c’è che non va?” le domandò lui. “Stavo scherzando, naturalmente.” Si allungò per cercare di consolarla con una carezza sul braccio. “Cosa c’è?” le domandò preoccupato. “Stai male?”
“No, no, sto bene,” rispose lei, cercando di ricomporsi.
“Non stai bene,” ribatté Cleav in tono deciso. “C’è qualcosa che non va, da qualche giorno a questa parte.”
Esme cercò in fretta di dissipare la sua preoccupazione. “Sono solo in pena per stasera,” rispose. “Ti spiacerebbe dare un’occhiata ai preparativi, ai piatti, alle tovaglie e tutto il resto?”
“Se ti fa piacere,” rispose Cleav.
“Vorrei solo che tu ti assicurassi che ho scelto tutto correttamente,” disse Esme. “La saliera e i cucchiai non si accordano troppo con il vaso da sedano, non so se vada bene.”
“Esme? Che cosa…” iniziò a dire lui, ma lei lo interruppe.
“Per favore. Devo vestirmi o sarò terribilmente in ritardo. Potresti buttare un occhio alla tavola, per vedere se è tutto corretto e appropriato?”
Cleav annuì e si diresse verso la porta. Con la mano già sulla maniglia d’ottone, si voltò per tornare a guardare sua moglie, che proseguiva nervosamente la sua toeletta.
“Corretto e appropriato?” sussurrò tra se e se. Stringendosi nelle spalle senza capire, si diresse al piano di sotto.
“Quindi avete vissuto tra queste montagne per tutta la vita, miss Crabb?”
Fu la domanda del gentiluomo biondo ad attirare l’attenzione di Esme, che stava giusto entrando nel salottino.
“Oh, vi prego, chiamatemi miss Agrippina,” rispose quell’adorabile gazza con voce cinguettante. “Miss Crabb mi fa sembrare una vecchia maestra zitella.”
Il volto pallido dell’uomo avvampò vivacemente, e i suoi occhi sembravano incollati alla visione in azzurro che gli stava davanti.
“Nessuno potrebbe mai considerarvi tale,” le disse. “E dal momento che mi avete concesso un onore così grande, debbo implorarvi di chiamarmi Theodatus.”
“Oh, Mr. Simmons,” lo provocò lei. “Non posso certo farlo.”
“Oh, vi prego, miss Agrippina,” insistette lui, “mi metterò in ginocchio a supplicarvi, se necessario.”
Agrippina ridacchiò. “Vi consiglio di non farlo,” lo ammonì. “Mio padre potrebbe farsi venire strane idee al riguardo.”
Simmons rise allegramente, come se le parole della giovane donna fossero divertenti.
“Esme, cara.” Cleav attirò su di sé l’attenzione dei presenti salutando sua moglie.
In piedi accanto al camino, Cleav aveva tutta l’aria del gentiluomo rilassato. Anche i due uomini si alzarono in piedi, con in mano un bicchiere di brandy, mentre Yohan era seduto sul divano assieme alla signora Rhy, e i due si scambiavano occhiate occasionali; le gemelle, invece, erano sedute su poltrone identiche, come in posa per un ritratto.
“Signori,” disse Cleav, rivolto ai due gentiluomini. “Anche se vi ho presentati questa mattina, non avete ancora avuto un momento per salutare mia moglie, Esmeralda.”
L’occhialuto Westbrook le prese subito la mano e si inchinò.
“È davvero un piacere incontrarvi, signora Rhy,” disse.
Con un passo avanti, Simmons fece lo stesso. “Sì, un enorme piacere,” ripeté. “Vostro marito si vanta incessantemente della vostra conoscenza e della vostra passione per quanto riguarda l’allevamento delle trote. Io e Ben siamo quasi diventati verdi d’invidia per la sua fortuna di aver trovato una moglie che condivide i suoi interessi.”
“E come potrebbe non essere interessata?” intervenne Adelaide scoccando una rapida occhiata al moro Westbrook con gli occhiali dalla montatura dorata. “Le trote sono creature talmente affascinanti che non smetterei mai di sentirne parlare.”
Eula Rhy rischiò di strozzarsi con la limonata.
“Ah, davvero?” Westbrook abboccò all’amo e si voltò a osservare più da vicino la bella giovane in rosa.
“Oh, sì,” rispose Agrippina, dando corda alla sorella. “Adoriamo sentir parlare di pesci.”
Cleav riuscì a malapena a nascondere un ghigno mentre prendeva il braccio di Esme e spingeva la conversazione nella direzione che stava più a cuore di tutti: la piscicoltura.
Esme non sentì quasi niente di quanto venne detto. La sua mente continuava a scorrere la lista di cosa dire, cosa fare, come comportarsi, come pensare, e a preoccuparsi della cena. La cena!
“Esme?” le domandò Cleav quando la sentì allontanarsi da lui.
“Devo controllare il cibo,” rispose lei, riuscendo a chiedere con straordinaria educazione di essere scusata per un momento.
Il gombo era appena bruciacchiato e il mais non proprio cotto, ma il pesce aveva un ottimo profumo, ed Esme ricacciò indietro la nausea mentre lo sistemava attentamente nel ‘vaso da notte’.
Controllò tutto sulla tavola almeno per quattro volte prima decidere che poteva tranquillamente invitare gli onorati ospiti in sala.
“La cena è servita,” sussurrò a se stessa. Non ne fu molto convinta, e ci riprovò. “La cena è servita.” Non molto meglio. “La cena è servita.”
Annuì soddisfatta. Adesso sì che andava bene.
Attraversò a passo silenzioso l’ingresso per raggiungere il salottino, fermandosi formalmente sulla soglia.
“Signore e signori,” pronunciò distintamente, “la cena è sparita.”
Le gemelle la guardarono confuse.
“Sparita in che senso?” domandò Adelaide.
“È ora di cena,” annunciò rapidamente Cleav. “Theo, perché non accompagnate miss Agrippina?”
Esme era paonazza in volto quando suo marito le si affiancò. “Ha un profumo meraviglioso, piccola mia,” le sussurrò. “E la sala da pranzo non è mai stata tanto bella.”
Esme annuì, senza però riuscire a scrollarsi di dosso l’imbarazzo per quella gaffe. Recuperò un poco di compostezza quando indicò ai gentiluomini i loro posti a sedere, ignorando le occhiatacce che le venivano scoccate dalle gemelle che si erano ritrovate sedute accanto a Eula e a Yohan piuttosto che ai due signori.
“Questo paese è davvero splendido, e le montagne sono proprio mozzafiato,” disse educatamente Theo. “Il mio Massachusetts non regge il confronto.”
“Non abbiamo mai conosciuto altra terra,” rispose Cleav. “Ho passato qualche anno a Knoxville, ma le montagne sono le montagne.”
“Io non sono mai stato da nessuna parte,” intervenne Yohan in tono pacato, “ma non sono mai stato in nessun posto in cui non volevo andare.”
“Comprensibile,” riconobbe Theo.
“Siete un contadino, Mr. Crabb?” domandò Ben Westbrook.
Sul gruppo di persone scese un silenzio inaspettato.
Esme trattenne il respiro.
Che cosa avrebbe detto suo padre? Cosa poteva mai dire? Sono l’uomo più pigro di Vader?
“Non coltivo molto la terra,” rispose Yohan con sincerità. “Suono il violino.”
“Oh, davvero?” L’espressione di Westbrook si illuminò di un sorriso deliziato. “Mio nonno era musicista,” aggiunse. “Ha suonato il corno francese per vent’anni nella Philadelphia Symphony.”
“E che altro faceva?” chiese Adelaide.
“Che altro? Be’, niente. Era un musicista.”
Le due si scambiarono un’occhiata d’intesa, poi Agrippina disse con decisione: “Ecco cos’è nostro padre: è il miglior musicista di questa parte del Tennessee.”
Tutti sorrisero e annuirono mentre Yohan cercava, senza troppa convinzione, di schermirsi dal complimento.
“Mi domandavo, infatti, se proveniste da una famiglia interessata alla musica, Mr. Crabb,” gli disse Theo. “Con un nome come Johann, un uomo deve per forza essere coinvolto nella magica combinazione di note e ritmi.”
“Dovete suonare per noi, una volta,” lo pregò Ben.
“L’avevo già in mente,” disse allegramente l’uomo. “Anzi, ho intenzione di far consumare i tappeti a voi due giovanotti di città prima che faccia mattina.”
Esme era sconvolta e scioccata dalla direzione presa dalla loro conversazione. Non sarebbe stato affatto tanto difficile quanto aveva immaginato; se avesse saputo che mentire era così facile, be’, avrebbe iniziato a farlo anni prima.
L’ultima porzione di pesce venne spazzolata via dallo scaldavivande ancora caldo, e la discussione tornò a concentrarsi sulla piscicoltura.
Esme si alzò per andare a prendere il crumble di pesche, permettendo così alle gemelle di continuare il loro comune tentativo di fingere di essere interessate ed esperte sull’argomento pesce.
Ora che si stava rilassando, Esme iniziò a sentirsi più sicura di sé. Quei due gentiluomini non erano poi così diversi dalla gente di Vader; le gemelle non avevano commesso alcuna idiozia, e persino suo padre era riuscito a non mettere in imbarazzo tutta la famiglia. Cleav sembrava molto contento di lei, ed Esme sospirò in silenzio una preghiera di ringraziamento per l’aiuto di Sophrona.
Mentre distribuiva il dessert, iniziò finalmente a lasciarsi coinvolgere nella conversazione.
“Le trote hanno bisogno d’acqua corrente per vivere,” stava spiegando Theo. “Per questo i laghetti devono essere costruiti in modo da defluire l’uno nell’altro, così da mantenere adeguata la temperatura e il livello dell’ossigeno.”
“Una volta che i pesci sono cresciuti,” proseguì Westbrook, “si possono liberare nel fiume o trasportare in aree in cui non ci sono mai state trote, o in cui non ci sono più.”
“Deve essere difficile spostare quei pesciolini per tutto il paese,” disse Adelaide. “Deve esserci un modo più facile.”
“Alcuni ci hanno provato,” le rispose Theo, voltandosi con un’occhiata divertita verso Cleav. “Che cosa ne pensate degli esperimenti del reverendo dott. Bachman?”
Il sorriso di Cleavis era contagioso. “Penso che funzionassero meglio nella sua immaginazione.”
“Che cosa sono gli esperimenti del reverendo Bachman?” domandò Agrippina.
Theo si sporse in avanti per vedere meglio la bella giovane.
“Quel gentiluomo della Carolina del Sud insisteva a dire che era riuscito a fertilizzare uova tenute all’asciutto per dieci giorni, e che avevano effettivamente generato una progenie.”
Vedendo l’espressione confusa delle gemelle, Cleav spiegò: “Un uovo di trota non può sopravvivere per più di qualche ora senza acqua. E tuttavia, il dottor Bachman ci ha assicurato di essere riuscito a fertilizzare uova morte.”
“Non servono i pesci per fare i pesci?” chiese Adelaide a Mr. Westbrook, gli occhi sgranati e pieni di dolce innocenza.
“Certo che servono i pesci per fare i pesci,” rispose subito Esme. “Cleav usa un metodo di propagazione naturale, ma molti allevatori di trote si limitano a privare le femmine mature delle loro uova, le gettano in una vasca e poi le coprono di sperma.”
“Sperma?” domandò curiosa Agrippina. “Che diamine è lo sperma?”
“Lo sperma è quella cosa che viene dai pesci maschi,” riprese tranquilla Esme. “È come quando l’uomo…”
Fermandosi bruscamente a mezza frase, Esme si guardò attorno, terrorizzata. Yohan la fissava perplesso, le gemelle sembravano confuse, mentre l’espressione di Eula era comprensiva; Theodatus Simmons, però, sedeva immobile come una statua, con la bocca spalancata dallo shock, e Ben Westbrook sembrava rischiare di strozzarsi col cucchiaio che aveva ancora tra le labbra.
Alla fine, i suoi occhi incontrarono quelli di Cleav. Come suprema umiliazione, suo marito sembrava sul punto di scoppiare a ridere.
“Io… io…” Esme cercò un modo di rimediare al disastro, ma fallì miseramente. Cedette alle lacrime, e fuggì dalla stanza senza dire una parola.
Giù per il corridoio, fuori dalla porta sul retro, di corsa. Doveva andarsene.
Stava correndo verso le colline. Non era mai fuggita dall’umiliazione, ma adesso sì. Stava scappando, e non sarebbe più tornata indietro. Si era messa in imbarazzo, e quello poteva sopportarlo, ma aveva disonorato suo marito. Lui meritava di meglio. Avrebbe fatto bene, lei, a correre per sempre senza fermarsi mai.
Un forte braccio bruno le avvolse la vita, catturandola prima che riuscisse a superare i cespugli di azalea.
“Esme, Esme,” sussurrò lui, stringendola contro il proprio petto. “Non piangere, piccola mia, non è andata così male.”
“Mi vergogno così tanto,” riuscì a dire Esme prima di nascondere il viso contro il caldo, familiare petto dell’uomo che amava.
“Non dovresti vergognarti,” le disse Cleav, cullandola dolcemente. “Essere un po’ in imbarazzo, forse, ma non dovresti mai vergognarti. Stavamo parlando di piscicoltura, è difficile ricordarsi di essere delicati.”
“Mi dispiace tanto, Cleav,” piagnucolò lei. “Mi dispiace tanto.”
“Ma di cosa mai ti dispiace? Non serve agitarsi così per qualche sciocca parola.”
“Non mi dispiace solo per quello,” ammise Esme. “Mi dispiace per tutto quanto. Mi dispiace che tu abbia dovuto sposarmi. Mi dispiace di non essere la moglie di cui avevi bisogno. Mi dispiace di non essere la donna che desideravi.”
“La donna che desideravo?” Cleav allontanò da sé la moglie per poterla guardare meglio. “Esme, dolce piccola mia,” le disse sottovoce, “sei tu la donna che desideravo. L’unica donna che io abbia mai desiderato davvero.”
Esme scosse la testa.
“Non intendo in quel modo,” insistette lei. “Lo so che mi vuoi, in quel modo. Intendo la donna che volevi come moglie.”
“Tu sei la donna che voglio come moglie,” ribatté lui in tono deciso. “Ti voglio in quel modo e in ogni altro modo.”
Le posò le mani sotto il mento e le fece sollevare il volto, costringendola a guardarlo. “Io ti amo, Esme Rhy.”
“Non scherzare su queste cose,” lo ammonì lei mentre un’altra lacrima le scivolava lungo la guancia. “Forse per te è divertente, ma una ragazza può pensare che una dichiarazione del genere è seria.”
“Ma io sono serio,” rispose Cleav. “Non l’ho mai detto prima perché pensavo che tu non mi amassi.”
“Pensavi che non ti amassi?” Esme sembrava confusa. “Lo sai che ti amo, non ne ho mai fatto un mistero.”
“E invece sì. Un mistero che è stato svelato stasera.”
La giovane sembrava sempre più sconvolta.
“Mi hai detto di avermi sposato per avere questa casa,” le ricordò lui.
“Questa casa?” domandò Esme, che non ricordava chiaramente la conversazione.
“Sì,” insistette Cleav. “Hai detto che volevi sposarmi per avere questa casa in cui sistemare la tua famiglia.”
“Be’, certo che volevo questa casa per la mia famiglia,” cercò di spiegare Esme. “Ma volevo te solo per me stessa, e sono stata proprio egoista in questo. Non ho pensato a Pa’ o alle gemelle, o alla povera Sophrona, la tua innamorata. Non mi importava nemmeno dei tuoi sentimenti. Ti amavo così tanto che volevo averti per amore o per forza.”
“Per amore o per forza?” ripeté Cleav con un sorriso in volto. “O per giarrettiere.”
“Cleavis!” protestò Esme. “Come hai potuto credere che ti avessi sposato per la tua casa?”
“Non lo credo più,” rispose lui. “Quando ti ho visto stasera, la mia orgogliosa, grandiosa Esme che sa di valere tanto quanto chiunque altro, che cercava di nascondere la sua luce sotto un mucchio di insulse buone maniere, ho capito che mi ami.”
La prese tra le braccia e la strinse forte contro il suo petto, come se cercasse di fonderla con il proprio corpo. “Nient’altro che il vero, sincero amore avrebbe potuto spingerti a umiliarti.”
“Mi sono umiliata eccome! Ti ho deluso,” sussurrò Esme contro il suo petto. “Ti ho messo in imbarazzo di fronte ai tuoi amici. So quanto conta per te la loro opinione.”
Cleav scosse la testa. “No, Esme, non lo sai,” le disse, “perché non conta niente per me. Tu mi ami per ciò che sono, e questo è mille volte meglio che avere l’intero mondo che mi ama per qualcosa che fingo di essere.”
“Oh, Cleav,” gemette Esme. “Ti meriti una signora, una vera signora.”
Cleav le accarezzò la fronte con un dito.
“Io ce l’ho una signora, signora Rhy,” le sussurrò. “Ho te.”
“Non sono una signora, e te l’ho dimostrato stasera!”
“Sei una signora, e lo sei sempre stata. L’avevo già capito quel mattino in chiesa.”
“In chiesa?”
“Il giorno in cui hanno donato il cesto alla tua famiglia,” le disse. “Ti abbiamo umiliato, ma tu non sei indietreggiata, non hai pianto e non ti sei nascosta, ma anzi, hai alzato la testa senza fare caso a noi. Sapevi di valere tanto quanto noi, e hai insegnato anche a me a fare altrettanto.”
Le labbra di Cleav trovarono quelle di Esme e le baciarono dolcemente.
“Tutta questa mania di essere civile e perbene,” riprese a dirle, “mi ha tenuto in agitazione per troppi anni. L’eleganza e la conversazione signorile non fanno di noi signore e gentiluomini. La gente di città ha i suoi modi e noi abbiamo i nostri. Quando cerchiamo di essere ciò che non siamo, riusciamo soltanto a metterci in ridicolo.”
“Vuoi dire che vuoi che io sia semplicemente Esme Crabb?”
Cleav le sorrise. “Voglio che tu sia Esme Rhy,” le rispose. “Voglio che tu sia la signora che amo.”
La baciò di nuovo, con una dolcezza tale che Esme non riuscì a non rispondervi con urgenza.
I loro corpi si premettero l’uno contro l’altro in una passione ricordata e rinnovata. Esme sentì un familiare calore avvolgerle le membra, e si strofinò contro Cleav per spingere quel fuoco contro la prova tangibile del suo coinvolgimento.
“Ti amo,” sussurrò Cleav. “Ho voluto dirtelo ogni giorno, ogni volta che ti ho toccata. Ho sempre voluto dirtelo, e ora non riesco a smettere.”
“Ti amo, Cleav,” rispose Esme. “Non so se l’ho capito in quel primo giorno all’emporio o più tardi, quando ho imparato a conoscerti, ma non potevo vivere senza di te, e avrei fatto di tutto per tenerti con me, per aiutarti, per renderti felice.”
“Persino fingere di essere qualcosa che non sei,” commentò Cleav.
“Nuoterei come un pesce, se tu me lo chiedessi,” dichiarò lei.
Cleavis le scoccò un sorrisetto malizioso. “Nuotare non era proprio quello che avevo in mente,” le disse. “Ma se ti porto di sopra, mi prometti di contorcerti come una trota fuor d’acqua?”
Esme rise e poi scosse la testa con espressione ammonitrice. “Solo se mi prometti di darmi un’altra di quelle occhiate senza toccarmi, come i pesci.”
“Non posso promettervelo, signora,” ribatté lui. “Ho intenzione di toccarvi da tutte le parti, stanotte.”
“Be’,” suggerì Esme, “e un po’ di chiacchiere leziose? Posso aspettarmi almeno quelle?”
“Mia cara signora Rhy, giuro di eloquire con tale magnificenza che vi ritroverete incapace di resistere alla posizione supina per ciò che resta della serata.”
“Mmm,” mugolò lei in approvazione.
Cleav le prese la mano, e assieme corsero verso casa come due bambini.
“Aspetta.” Esme esitò sulla soglia. “Possiamo andare di sopra? Abbiamo ospiti.”
“Signora Rhy,” le disse lui tranquillo. “In questa casa siete voi a definire le regole dell’etichetta. Che cosa ritenete appropriato?”
Esme ci pensò solo per un attimo.
“I nostri ospiti potrebbero rimanere scandalizzati,” gli disse. “E cerco sempre di tenere d’occhio Pa’ e le gemelle.”
Cleav assentì. “Come desiderate voi, signora Rhy.”
L’espressione pensosa di Esme si trasformò lentamente in un sorriso sicuro. “Ma credo di essermi presa fin troppa cura della mia famiglia,” disse. “È ora che Pa’ e le ragazze inizino ad affrontare il mondo da soli.”
“Direi che è una splendida idea,” ribatté Cleav.
“E i tuoi amici gentiluomini del nord dovrebbero avere la possibilità di scoprire com’è la vera gente del Tennessee.”
Cleav annuì. “Quindi ce ne andiamo direttamente di sopra?”
Come se avesse ricordato all’improvviso cosa era successo, Esme sospirò sgomenta. “No, dopo essermi messa tanto in ridicolo è meglio se torno là dentro e li affronto stasera stessa.”
Cleav le passò un braccio attorno alla vita e le sorrise.
“Restate accanto a me, signora Rhy. Il marito ha il diritto di salvare la moglie dalle gaffe in società.”
“Chi ha inventato questa regola?”
“Io,” rispose Cleav con un sorrisone.
Esme rientrò nervosamente in casa al fianco di suo marito. Gli altri avevano lasciato la sala da pranzo, preferendo l’informalità del salottino posteriore, ed Esme sentì suo padre che suonava una melodia allegra al violino.
Raggiunta la soglia, vide le gemelle che spiegavano divertite ai due signori del nord i passi dei balli di montagna. Tutti ridevano e battevano le mani, e quei due gentiluomini fin troppo studiosi sembravano divertirsi un mondo.
“Perdonateci,” li richiamò Cleavis, interrompendo quella sorta di festicciola.
Gli occhi di tutti si puntarono su di loro, ed Esme sentì il proprio coraggio svanire. Solo la forza del braccio di Cleav riuscì a farla restare ferma lì.
“Mia moglie e io vorremmo scusarci per il nostro brusco congedo dalla cena,” riprese lui in tono educato.
“Non c’è problema,” rispose subito Theo.
“Stiamo benissimo,” insistette Ben.
“Meraviglioso,” rispose Cleav con un piacevole sorriso. “Vi preghiamo, continuate a divertirvi,” disse loro. “Pare però che io e la signora Rhy dobbiamo ritirarci anzitempo.”
Esme, sorpresa, alzò gli occhi verso il marito.
Cleav le sorrise prima di dire in tono calmo: “Forse lo riterrete difficile da credere, ma io e mia moglie siamo improvvisamente preda di un’infestazione di pulci senza precedenti.”