Il telefono squillò martedí, subito dopo mezzogiorno. Aomame era seduta sul tappetino da yoga, con le gambe molto divaricate, intenta a stirare i muscoli ileo-psoas, una tecnica piú dura di quanto potesse sembrare. La camicia era intrisa di sudore. Interruppe gli esercizi e alzò il ricevitore asciugandosi il viso con una salvietta.
– Il Testone non è piú nello stabile, – dichiarò Tamaru, come sempre senza alcun preambolo. Non diceva nemmeno «pronto».
– Non c’è piú?
– No. Si è lasciato convincere.
– Si è lasciato convincere, – ripeté Aomame. Immaginò che in un modo o nell’altro Tamaru avesse costretto il Testone ad allontanarsi.
– E il Kawana che vive in quell’edificio è il Kawana Tengo che stai cercando.
Il mondo intorno a Aomame si dilatò e si contrasse, esattamente come il suo cuore.
– Mi senti? – domandò Tamaru.
– Ti sento.
– Però al momento Kawana Tengo non è a casa. È assente da qualche giorno.
– Non gli è successo niente, vero?
– Attualmente non è a Tōkyō, ma sono sicuro che sta bene. Il Testone aveva affittato un appartamento al pianterreno dello stesso stabile e aspettava che tu andassi a trovare Kawana. Aveva piazzato una macchina fotografica e sorvegliava l’ingresso del palazzo.
– Mi ha scattato delle foto?
– Sí, tre. Era buio, portavi un berretto, gli occhiali e avevi una sciarpa intorno alla bocca, quindi non si vedono i particolari del tuo volto. Ma sei tu, senza dubbio. Se fossi tornata lí, saresti finita in un mare di guai.
– Allora ho fatto la scelta giusta a confessarti tutto.
– Ammesso che in un caso del genere esista una scelta giusta.
– Comunque, – disse Aomame, – non devo piú preoccuparmi di quel tizio.
– Quell’uomo non ti darà piú fastidio.
– Perché si è lasciato convincere.
– La situazione ha richiesto qualche aggiustamento, ma alla fine sí, – rispose Tamaru. – Ho portato via tutte le foto. Il Testone aspettava che ti facessi viva, e Kawana Tengo serviva solo come esca. Al momento non vedo nessuna ragione per cui dovrebbero fargli del male. Credo che non corra pericoli.
– Meno male, – disse Aomame.
– Kawana Tengo insegna matematica in una scuola preparatoria di Yoyogi. A quanto pare è un ottimo professore, ma poiché lavora solo pochi giorni alla settimana, non guadagna granché. È ancora scapolo e conduce una vita tranquilla e riservata in quello squallido palazzo.
Aomame chiuse gli occhi e sentí il battito del cuore rimbombarle nelle orecchie. La frontiera tra lei e il mondo vacillava.
– Oltre alle lezioni di matematica, sta scrivendo un romanzo. Un romanzo lungo. Il rifacimento della Crisalide d’aria è stato solo un lavoro temporaneo. Lui ha ambizioni personali come scrittore. Il che è una buona cosa. Una bella dose d’ambizione fa maturare l’uomo.
– Come hai fatto a saperlo?
– Ho approfittato della sua assenza per dare un’occhiata all’appartamento. Era chiuso a chiave, ma quel tipo di serratura non poteva certo impedirmi di entrare. Mi è dispiaciuto violare la sua privacy, ma dovevo farlo. Per un uomo che vive da solo, l’appartamento era impeccabile. Il fornello a gas era stato persino lucidato. Il frigo in perfetto ordine. Non c’erano nemmeno cavoli ammuffiti. Ho visto che aveva stirato. Non sarebbe male come compagno per te. A meno che non sia gay.
– Che altro hai scoperto?
– Ho telefonato alla scuola e ho chiesto quando faceva lezione. La donna che mi ha risposto ha detto che suo padre è morto domenica notte, in un ospedale nella provincia di Chiba. Perciò lui deve aver lasciato Tōkyō per assistere al funerale, e le lezioni del lunedí sono state sospese. La donna non sapeva dove e quando si tenesse la cerimonia funebre. In ogni caso, dovrebbe tornare a Tōkyō in tempo per la lezione di martedí.
Ovviamente Aomame si ricordava che il padre di Tengo era un esattore della NHK. La domenica Tengo lo accompagnava nei suoi giri per la riscossione del canone. Si erano anche incrociati alcune volte per le strade di Ichikawa. Non ricordava bene che volto avesse il padre. Era un uomo piccolo e magro, sempre in uniforme da lavoro. E non somigliava per niente a Tengo.
– Visto che il Testone non c’è piú, pensi che io possa andare a trovarlo?
– Sarebbe meglio di no, – rispose subito Tamaru. – Il Testone si è lasciato convincere senza riserve. Ma a dire la verità, per sistemare un ultimo problema ho dovuto contattare la setta. C’era qualcosa che non volevo affidare nelle mani delle autorità. Se l’avessero trovato, avrebbero passato al setaccio tutti gli abitanti dello stabile, e il tuo amico avrebbe rischiato di essere coinvolto. Mettere tutto a posto da solo sarebbe stato troppo difficile per me. Se mi avessero interrogato sul perché stavo trasportando a fatica quell’articolo in piena notte, non me la sarei cavata facilmente. La setta non manca né di persone né di logistica. Sono abituati a sbrigare faccende come queste. Come quando hanno trasportato fuori l’articolo dall’Hotel Ōkura. Capisci a cosa mi riferisco?
Aomame tradusse mentalmente le espressioni usate da Tamaru in termini piú concreti.
– Mi sembra di capire che per convincerlo hai dovuto usare sistemi piuttosto duri.
Tamaru emise un piccolo gemito. – È un peccato, ma quell’uomo sapeva troppe cose.
– La setta è a conoscenza di cosa faceva nel palazzo?
– Il Testone lavorava per loro, ma agiva per conto proprio. Non aveva ancora informato i suoi superiori di quello che stava facendo. Fortunatamente per noi.
– Ma adesso anche loro sanno che stava facendo qualcosa.
– Esatto. È meglio che per qualche giorno non ti avvicini a quel palazzo. Il nome di Kawana Tengo, come coautore della Crisalide d’aria, compare senz’altro sulla loro check list. Si saranno procurati anche l’indirizzo. Mentre non credo che siano al corrente dei rapporti personali che vi legano. Ma se indagheranno sulle ragioni per cui il Testone aveva preso in affitto un appartamento in quello stabile, la presenza di Tengo attirerà la loro attenzione. È solo questione di tempo.
– Ma se tutto va bene, impiegheranno molto tempo prima di accorgersene. Non credo che metteranno subito in relazione la morte del Testone con l’esistenza di Tengo.
– Se tutto va bene, – ripeté Tamaru. – Se non sono attenti come io temo che siano. In ogni caso preferisco non affidarmi a ipotesi del tipo «se tutto va bene». È per questo che sono riuscito a sopravvivere. Almeno finora.
– Quindi è meglio che non mi avvicini a quel palazzo.
– Ovvio, – rispose Tamaru. – Noi siamo vivi per un soffio. La prudenza non sarà mai abbastanza.
– Secondo te il Testone aveva capito che mi nascondevo in questo condominio?
– Se lo avesse capito, a quest’ora non so dove saresti, ma di sicuro fuori dalla mia portata.
– Però è riuscito ad arrivare a un passo da me.
– Infatti. Ma credo che a portarlo lí sia stato un elemento del tutto casuale. Nient’altro.
– Altrimenti non si sarebbe esposto in bella vista sullo scivolo, senza alcuna protezione.
– Proprio cosí. Non aveva la minima idea che tu potessi osservarlo. Non lo ha mai immaginato, e questo gli è stato fatale, – disse Tamaru. – Vedi che è come ti dicevo? Siamo tutti vivi per un soffio.
Per alcuni istanti calò il silenzio. Il silenzio pesante che la morte di una persona, chiunque essa sia, si porta dietro.
– Il Testone non c’è piú, ma la setta continua a starmi alle calcagna.
– In realtà non ne sono del tutto sicuro, – disse Tamaru. – All’inizio hanno cercato di catturarti e di scoprire che tipo di organizzazione ci fosse dietro l’assassinio del Leader. Era evidente a tutti che ci fosse qualcuno a proteggerti le spalle. Se ti avessero preso, ti avrebbero certamente sottoposto a un interrogatorio molto duro.
– È per questo che avevo bisogno di una pistola, – rispose Aomame.
– Naturalmente anche il Testone lo aveva capito, – continuò Tamaru. – Dava per certo che la setta ti cercasse per interrogarti e punirti. Ma si direbbe che strada facendo la situazione si sia rovesciata. Una volta uscito di scena il Testone, ho avuto una conversazione telefonica con uno degli adepti. Il tipo mi ha assicurato che non hanno nessuna intenzione di farti del male, e voleva che io te lo riferissi. Certo, può essere una trappola. Ma ho avuto l’impressione che fosse sincero. L’uomo mi ha spiegato che il Leader stesso, in un certo senso, desiderava morire. Che si è trattato di una specie di suicidio e che di conseguenza non hanno piú bisogno di punirti.
– È vero, – disse Aomame con voce arida. – Il Leader sapeva fin dall’inizio che io ero andata lí per ucciderlo. E mi ha pregato di farlo. Quella notte, nella suite dell’Hotel Ōkura.
– Le sue guardie del corpo non conoscevano le tue vere intenzioni, ma lui sí.
– Esatto. Non so perché, ma sapeva tutto, – spiegò Aomame.
Tamaru fece una breve pausa, poi domandò:
– È successo qualcosa in quella stanza?
– Abbiamo fatto un accordo.
– Non me l’avevi detto, – osservò Tamaru con voce piú dura.
– Non ho avuto l’occasione per farlo.
– Allora spiegamelo adesso. Che tipo di accordo avete fatto?
– L’ho sottoposto a esercizi di stretching per circa un’ora. Nel frattempo lui mi parlava. Sapeva di Tengo. E non so come, sapeva anche del rapporto che mi lega a lui. Poi mi ha detto che voleva che io lo uccidessi, che lo liberassi il piú in fretta possibile dai dolori terribili che non gli davano tregua. Mi ha detto anche che se io lo avessi ucciso, in cambio lui avrebbe salvato la vita di Tengo. Allora mi sono decisa, e l’ho ucciso. Del resto, se non lo avessi fatto io, era comunque destinato a morire. Anche se, considerate le azioni spregevoli che aveva compiuto, ero tentata di lasciarlo vivo in mezzo a tutte quelle sofferenze.
– Alla signora, però, non hai parlato di questo patto.
– Sono stata mandata all’Hotel Ōkura per uccidere il Leader e ho eseguito la mia missione, – rispose Aomame. – Tutto ciò che riguarda Tengo rientra nella mia sfera privata.
– Bene, – fece Tamaru per metà rassegnato. – Hai compiuto perfettamente la tua missione, bisogna riconoscerlo. E il problema di Tengo fa parte della tua sfera privata. Tuttavia, piú o meno nello stesso periodo, sei rimasta incinta. E questo è un problema che non si può ignorare.
– Non è stato piú o meno nello stesso periodo. È successo quella notte, mentre una pioggia torrenziale, accompagnata da tuoni terribili, si abbatteva sul centro della città. La stessa notte in cui ho sistemato il Leader. E come ti ho già detto, senza alcun rapporto sessuale.
Tamaru sospirò.
– In una situazione del genere, non ho che due possibilità: credere a ciò che dici o non crederci. Finora ti ho sempre considerato una persona degna di fiducia e anche adesso vorrei crederti. Ma questa volta non riesco a intravedere la logica del discorso. Sono capace solo di ragionamenti deduttivi.
Aomame restò in silenzio.
Tamaru continuò: – Tra l’assassinio del Leader e questo concepimento misterioso ci sarebbe un rapporto di causa e effetto?
– Non saprei dirlo.
– Potrebbe esserci la possibilità che il feto che hai in grembo sia il figlio del Leader? Che in quella circostanza, servendosi di chissà quale mezzo, ti abbia messo incinta? In questo caso capirei perché i suoi adepti vogliono catturarti a tutti i costi. Stanno cercando un successore.
Aomame strinse forte il ricevitore e scosse il capo.
– È impossibile. È il figlio di Tengo. Ne sono certa.
– Anche su questo, posso solo crederti o non crederti.
– Non sono in grado di darti spiegazioni ulteriori.
Tamaru sospirò di nuovo.
– Benissimo. Ammettiamo che sia vero. È il figlio tuo e di Tengo. Ne sei certa. Ma anche in questo caso non intravedo nessuna logica. All’inizio hanno cercato di catturarti e di punirti severamente. A un certo punto, però, è successo qualcosa. Forse hanno capito qualcosa. E adesso hanno bisogno di te. Dicono che garantiranno la tua incolumità e che hanno qualcosa da offrirti. E sperano di parlarne direttamente con te. Che cosa può essere successo?
– Non hanno bisogno di me, – rispose Aomame. – Hanno bisogno della cosa che porto nella pancia. A un certo punto hanno saputo che sono incinta.
«Hoo-hoo». Da qualche parte si levò la voce del Little People addetto all’accompagnamento musicale.
– Questa storia sta procedendo un po’ troppo in fretta per me, – disse Tamaru. – E continuo a non vederci nessuna logica.
«Non c’è una logica perché ci sono due lune, – pensò Aomame. – La loro presenza ha sottratto la logica a tutte le cose». Ma tenne quei pensieri per sé.
«Hoo-hoo», ripresero da qualche parte gli altri sei Little People.
– Loro hanno bisogno di qualcuno che senta le voci, – continuò Tamaru. – Cosí si è espresso l’uomo con cui ho parlato al telefono. Ha detto che se avessero perso le voci, la setta si sarebbe estinta. Io, francamente, non capisco cosa significhi «sentire le voci». Ad ogni modo, quell’uomo ha pronunciato esattamente queste parole. Significa che il bambino che porti in grembo potrebbe essere «colui che sente le voci»?
Aomame si appoggiò dolcemente una mano sul ventre. «Mother e daughter», pensò. Ma non lo disse ad alta voce. Le lune non dovevano sentirlo.
– Non lo so, – rispose Aomame scegliendo con cura le parole. – Però non so immaginare altre ragioni per cui possano avere bisogno di me.
– Ma per quale motivo un bambino concepito da Kawana Tengo e te dovrebbe avere questi poteri particolari?
– Non lo so, – disse Aomame.
«Forse il Leader, in cambio della sua vita, ha voluto affidarmi il suo successore. – Il pensiero si affacciò nella mente di Aomame. – A tale scopo, forse, quella notte di tempesta ha aperto temporaneamente un circuito per far intersecare mondi diversi, permettendo a me e a Tengo di unirci».
– Chiunque sia il padre di questo bambino, qualunque sia il potere che avrà venendo al mondo, suppongo che tu non abbia intenzione di prendere accordi con la setta. Giusto? A prescindere da quanto sarebbero disposti a darti in cambio di ciò che chiedono. Nemmeno se potessero aiutarti a risolvere molti di questi enigmi.
– In nessun caso, – rispose Aomame.
– Indipendentemente dalle tue intenzioni, loro cercheranno comunque di prenderlo con la forza, utilizzando ogni mezzo possibile, – disse Tamaru. – E Kawana Tengo costituisce il tuo punto debole. Direi l’unico punto debole. Ma è un punto debole importante. Non appena quella gente lo avrà capito, focalizzerà i suoi attacchi su di lui.
Tamaru aveva ragione. Kawana Tengo, oltre a essere ciò che dava un senso alla vita di Aomame, era anche il suo fatale punto vulnerabile.
– Per te è troppo rischioso rimanere ancora in quel posto, – continuò Tamaru. – Prima che quegli uomini scoprano il vostro legame, devi spostarti in un luogo piú sicuro.
– Ormai in questo mondo non esiste piú un posto sicuro. Da nessuna parte.
Tamaru soppesò a lungo il senso di quelle parole. Poi, con calma, disse:
– Dimmi che intenzioni hai.
– Per prima cosa devo incontrare Tengo. Fino ad allora non potrò allontanarmi da qui. Per quanto ciò possa essere pericoloso.
– Che farai quando lo avrai incontrato?
– So io cosa dovrò fare.
Tamaru rimase per un istante in silenzio, quindi chiese:
– Non hai nessun dubbio?
– Non so se andrà tutto bene, ma so cosa devo fare. Senza alcun dubbio.
– Però non hai intenzione di dirmelo.
– Mi dispiace, ma per il momento non posso dirtelo. Non solo a te, a nessuno. Se lo dicessi, nello stesso istante sarebbe rivelato al mondo intero.
Le lune erano in ascolto. Anche i Little People. Anche l’appartamento. Dal suo cuore non doveva uscire nulla. Lo doveva circondare di mura spesse, invalicabili.
Tamaru picchiettava la punta della biro sul tavolo. Quel tic-tic secco e regolare arrivava alle orecchie di Aomame. Un rumore solitario, senza riverberi.
– Bene. Cercherò di mettermi in contatto con Kawana Tengo. Prima, però, dovrò sentire il parere della signora. Mi aveva chiesto di farti spostare altrove il piú rapidamente possibile. Ma tu dici che non ti allontanerai da lí se prima non avrai incontrato Tengo. Non sarà facile spiegare alla signora le tue motivazioni. Lo capisci, vero?
– È molto difficile spiegare in modo logico ciò che non ha alcuna logica.
– Esatto. È difficile quasi quanto trovare una perla vera in un oyster bar di Roppongi. Ma farò del mio meglio.
– Grazie, – disse Aomame.
– Nonostante tutti gli sforzi, continuo a trovare i tuoi discorsi abbastanza assurdi. Non vedo alcun nesso razionale di causa ed effetto. Tuttavia, piú parliamo e piú ho la sensazione di accettare, a poco a poco, il tuo punto di vista, senza capire nemmeno io perché.
Aomame rimase in silenzio. – La signora, da parte sua, ha fiducia in te. Ti stima, – continuò Tamaru. – Se insisti tanto, non credo che troverà una ragione per impedirti di vedere Kawana Tengo. Si direbbe che tra voi due ci sia un legame indistruttibile.
– Piú di ogni altro al mondo, – disse Aomame.
«Piú di ogni altro al mondo», ripeté in silenzio dentro di sé.
– E se ti dicessi, – continuò Tamaru, – che è troppo pericoloso, e mi rifiutassi di contattare Tengo, immagino che andresti lo stesso a casa sua per vederlo.
– Sí, è quello che farei.
– Nessuno riuscirebbe a impedirtelo.
– Sarebbe impossibile.
Tamaru fece una breve pausa.
– Che messaggio devo riferire a Kawana Tengo?
– Vorrei che salisse in cima allo scivolo dopo che avrà fatto scuro. Va bene in qualsiasi momento, purché sia buio. Io lo aspetterò. Se preciserai che è Aomame a dirlo, lui capirà.
– Ho capito. Riferirò. Deve salire in cima allo scivolo dopo che avrà fatto scuro.
– Poi digli, per favore, che se ha qualcosa di importante che non vuole lasciare, di portarlo con sé. Vorrei, però, che avesse le mani libere.
– Fino a dove dovrà portare questi bagagli?
– Lontano, – rispose Aomame.
– Lontano quanto?
– Non lo so.
– Può bastare? Se la signora sarà d’accordo, trasmetterò il messaggio a Kawana Tengo. Da parte mia, come al solito cercherò di garantire la tua sicurezza. Il pericolo è sempre in agguato. Quella gente è pronta a qualsiasi cosa. Alla fine, però, dovrai saperti difendere soprattutto da sola.
– Lo so, – rispose Aomame con voce serena. Il palmo della sua mano era ancora posato, dolcemente, sul ventre. Non ho solo me stessa da difendere, pensò.
Dopo aver riagganciato, Aomame sprofondò nel divano. Poi chiuse gli occhi e pensò a Tengo. Non era capace di pensare ad altro. Aveva il petto tanto serrato che le faceva male. Ma era un dolore piacevole, sopportabilissimo. Allora era vero, lui viveva lí, a pochi passi da lei. A meno di dieci minuti di cammino. Bastava quel semplice pensiero a provocarle una sensazione di calore che partiva dal centro del corpo. Non era sposato, insegnava matematica in una scuola preparatoria, viveva in un appartamento modesto e ordinato, cucinava, stirava, stava scrivendo un romanzo lungo. Aomame invidiava Tamaru. Se avesse potuto, anche lei si sarebbe introdotta nella casa di Tengo mentre lui non c’era, e nel silenzio delle stanze deserte avrebbe toccato ogni cosa, una dopo l’altra. Le sarebbe piaciuto verificare se le matite che usava erano ben temperate, prendere in mano le tazze da cui beveva, aspirare l’odore dei suoi abiti. Prima di trovarsi davvero di fronte a lui, le sarebbe piaciuto passare per quelle fasi.
Trovandosi di colpo loro due soli, Aomame non sapeva come o con che cosa avrebbe esordito. Solo a immaginare la scena, il suo respiro diventava rapido e affannoso, la sua mente si annebbiava. Aveva troppe cose di cui parlargli. E nello stesso tempo le sembrava che nessuna fosse davvero necessaria. Perché le cose che avrebbe voluto dirgli avrebbero perso il loro significato non appena le avesse tradotte in parole.
Per il momento Aomame non poteva fare altro che aspettare. Aspettare tranquilla e vigile. Preparò i bagagli in modo da essere pronta a uscire di corsa non appena avesse visto Tengo. Ammucchiò l’indispensabile nella grossa borsa a tracolla nera, cosí da poter andare via senza ritornare all’appartamento. Un mazzo di banconote, qualche vestito di ricambio, la Heckler & Koch carica. Solo questo. Posò la borsa in modo che fosse subito a portata di mano. Tirò fuori dall’armadio la gruccia con il tailleur di Junko Shimada, e dopo aver controllato che non avesse grinze, lo appese a una parete del soggiorno. Preparò anche la camicia bianca, le calze, le scarpe con il tacco alto di Charles Jourdan e il soprabito primaverile. Lo stesso abbigliamento che aveva quando era scesa dalla scala d’emergenza sulla tangenziale. Il soprabito era un po’ troppo leggero per una sera d’inverno, ma non aveva altra scelta.
Una volta terminati i preparativi, sedette sul balcone e osservò lo scivolo del giardino dalla fessura nel pannello di plastica. La domenica, in piena notte, era morto il padre di Tengo. Per legge, dal momento in cui veniva constatato un decesso alla cremazione dovevano passare almeno ventiquattro ore. Facendo i calcoli, la cremazione si sarebbe tenuta con ogni probabilità martedí. Ed era proprio martedí. Finite le esequie, Tengo sarebbe tornato a Tōkyō. Nella migliore delle ipotesi quella sera stessa. Poi bisognava aspettare che Tamaru gli riferisse il messaggio. Quindi, prima di allora era impossibile che Tengo raggiungesse il parco. Fra l’altro, era ancora giorno.
«Poco prima di morire, il Leader ha messo questa piccola cosa nel mio grembo. Questa è la mia supposizione. O la mia intuizione. Ciò significa che io sono manovrata dalla volontà lasciata da quell’uomo morto e che sono guidata verso una destinazione stabilita da lui?»
Aomame fece una smorfia. «Non posso decidere nulla. Tamaru ha immaginato che io sia incinta di colui che ode le voci in seguito a una manovra del Leader. Il mio ventre sarebbe una “crisalide d’aria”. Ma perché dovevo essere proprio io? E perché il padre doveva essere Kawana Tengo? Anche questo non si spiega».
«Comunque sia, finora molte cose intorno a me sono andate avanti senza che io capissi le connessioni che le legano. Né tantomeno ho capito i principî su cui si fondano o in che direzione si muovano. Mi sono solo ritrovata coinvolta in tutto ciò. Ma è stato cosí finora».
Aomame aveva preso una decisione.
Piegò le labbra e fece un’altra smorfia, piú violenta.
«Da adesso non sarà piú come è stato finora. Non mi lascerò piú manovrare da nessuno. D’ora in poi agirò solo in base a un unico principio, e cioè la mia volontà. Qualunque cosa accada, proteggerò questa piccola cosa. Per farlo, combatterò con ogni mezzo. Questa è la mia vita, e quello che ho dentro è mio figlio. Poco importa da chi e a che scopo sia stato programmato. Per me è il bambino che io e Tengo abbiamo concepito. Nessuno riuscirà a portarmelo via. Ormai sono io, nel bene e nel male, il principio e la direzione. Questo farebbero meglio a ricordarselo tutti».
Il pomeriggio del giorno dopo, mercoledí, alle due squillò il telefono.
– Ho riferito il messaggio, – esordí Tamaru, come sempre senza nessun preambolo. – Adesso è a casa sua. Ho parlato con lui stamattina. Questa sera, alle sette in punto, sarà sullo scivolo.
– Si ricordava di me?
– Naturalmente si ricordava bene di te. Pare che ti abbia cercata a lungo.
«Proprio come aveva detto il Leader, – pensò Aomame. – Anche Tengo mi cercava». Le bastava sapere questo. Il suo cuore traboccò di felicità. Ogni altra parola al mondo non aveva piú significato.
– Porterà con sé le cose piú importanti. Come hai detto tu. Immagino che fra queste ci sarà il manoscritto del romanzo che sta scrivendo.
– Sicuramente, – disse Aomame.
– Ho perlustrato i dintorni dell’edificio. A un primo esame mi è sembrato pulito. Non ho visto gente sospetta aggirarsi lí intorno. Anche l’appartamento di Testone era vuoto. La zona era tranquilla, ma non troppo. Gli adepti devono aver imballato quell’oggetto di nascosto ed essere spariti. Avranno pensato che fosse rischioso trattenersi a lungo. Ho fatto un controllo abbastanza accurato, non credo di essermi lasciato sfuggire nulla.
– Meno male.
– Ma aggiungi a tutto questo due parole: «forse» e «per ora». La situazione potrebbe cambiare da un momento all’altro. E anch’io, naturalmente, non sono perfetto. Potrei anche aver trascurato un dettaglio importante. Non si può nemmeno escludere che quei tipi siano stati un po’ piú in gamba di me.
– Quindi devo soprattutto sapermi difendere da sola.
– Sí, come ti ho già detto, – rispose Tamaru.
– Grazie di tutto. Ti sono davvero riconoscente.
– D’ora in avanti non so dove andrai e cosa farai, – riprese Tamaru. – Ma se dovessi andare molto lontano e non dovessimo vederci mai piú, sentirò un po’ la tua mancanza. Sei una donna a dir poco speciale. Non si incontrano facilmente persone come te.
Aomame dall’altro capo del telefono sorrise.
– È esattamente l’impressione che ho io di te.
– La signora aveva bisogno di te. Non soltanto per il lavoro, ma soprattutto come amica. La rattrista molto doversi separare da te cosí, ma adesso non ce la fa a venire al telefono. Spero che capirai.
– Capisco, – disse Aomame. – Anch’io adesso non riuscirei a parlarle.
– Hai detto che andrai lontano, – riprese Tamaru. – Quanto lontano?
– A una distanza che non si può misurare in numeri.
– Come quella che separa il cuore di una persona da quello di un’altra.
Aomame chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Sentiva che stava per piangere, ma riuscí a frenarsi.
Tamaru aggiunse in tono pacato:
– Pregherò perché tutto vada bene.
– Mi dispiace, ma credo che non potrò restituirti la Heckler & Koch, – disse Aomame.
– Non importa, considerala un regalo. Se dovesse diventare ingombrante, buttala nel Golfo di Tōkyō. Cosí il mondo farà un minuscolo passo avanti verso il disarmo.
– Forse la pistola non sparerà un solo colpo fino alla fine. Con buona pace della regola di Čechov.
– Poco male. Anzi, non c’è niente di meglio di una pistola che non ha sparato. Ci avviciniamo alla fine del xx secolo. La situazione è un po’ cambiata rispetto ai tempi in cui è vissuto lui. Non ci sono piú le carrozze a cavallo e le donne non mettono piú il corsetto. Il mondo è riuscito a sopravvivere al nazismo, alla bomba atomica e alla musica contemporanea. Nel frattempo, anche i romanzi sono notevolmente cambiati. Quindi non preoccuparti. Senti, ho una domanda da farti. Stasera, alle sette, tu e Tengo vi vedrete sullo scivolo, no?
– Se va tutto bene, – fece Aomame.
– Se lo incontrerai, che farete in cima allo scivolo?
– Guarderemo insieme la luna.
– Davvero romantico, – rispose Tamaru ammirato.