Una volta usciti dal parco, Tengo e Aomame si avviarono sul viale principale e fermarono un taxi. Aomame disse all’autista di prendere la nazionale 246 fino a Sangenjaya.
Solo allora lo sguardo di Tengo si soffermò sull’abbigliamento di Aomame. Aveva un soprabito primaverile chiaro, forse un po’ troppo leggero per la stagione, chiuso davanti da una cintura. Sotto indossava un tailleur verde dalla linea elegante. La gonna era corta e attillata. Portava le calze e seducenti scarpe con il tacco alto. Sulla spalla aveva una voluminosa borsa di pelle nera che sembrava pesante. Non indossava guanti né sciarpa. Niente orecchini, anelli o collane. Non sapeva di profumo. Agli occhi di Tengo l’insieme era perfetto. Non gli veniva in mente niente da sottrarre o da aggiungere.
Il taxi percorse il raccordo anulare n. 8 in direzione della nazionale 246. Il traffico era molto piú scorrevole del solito. Dopo che l’auto fu partita, Aomame e Tengo rimasero in silenzio. La radio era spenta e il conducente non parlava. Alle loro orecchie giungeva solo il rumore ininterrotto e monotono degli pneumatici. Aomame si era appoggiata a Tengo, e continuava a stringergli la mano. Se l’avesse lasciata, aveva paura di non ritrovarla piú. Le luci della notte fluivano intorno a loro come correnti marine illuminate da plancton fosforescente.
– Ci sono ancora molte cose di cui dovrei parlarti, – disse Aomame dopo un po’ di tempo. – Ma non credo che riuscirò a spiegarti tutto prima di arrivare laggiú. Richiederebbe troppo tempo. Del resto, anche se ne avessimo a sufficienza, non potrei comunque spiegarti tutto.
Tengo scosse il capo brevemente. Inutile che lei si sforzasse. Un poco alla volta avrebbero riempito tutti gli spazi vuoti – se mai ci fossero stati spazi vuoti da colmare. Intanto, la sola possibilità di condividere qualcosa, fosse pure un vuoto lasciato aperto, o un enigma impossibile da risolvere, dava a Tengo una gioia prossima all’amore.
– Cosa dovrei sapere di te in questo momento? – le domandò.
– Cosa sai di me? – fece Aomame, capovolgendo la domanda.
– Quasi niente, – rispose Tengo. – A parte il fatto che sei un’istruttrice in un club sportivo, che non sei sposata e che vivi a Kōenji.
– Anch’io non so quasi nulla di te, – disse Aomame. – So soltanto che insegni matematica in una scuola preparatoria di Yoyogi, che vivi da solo, e che il testo del romanzo La crisalide d’aria in realtà è opera tua.
Tengo guardò Aomame. Per lo stupore, era rimasto a bocca aperta. Le persone che lo sapevano erano pochissime. Che lei fosse legata alla setta?
– Non preoccuparti. Stiamo dalla stessa parte, – lo rassicurò Aomame. – Adesso sarebbe troppo complicato spiegarti come sono venuta a saperlo. In ogni caso, so che La crisalide d’aria è nata dalla collaborazione fra te e Fukada Eriko. E so pure che tu e io, a un certo punto, siamo entrati in un mondo dove in cielo brillano due lune. Ma c’è un’altra cosa: aspetto un bambino. Che probabilmente è tuo figlio. Ecco quali sono le cose importanti che devi sapere.
– Aspetti un bambino da me? – Tengo immaginava che l’autista stesse ascoltando i loro discorsi, ma non se ne preoccupava.
– Noi non ci vediamo da vent’anni, – disse Aomame. – Eppure porto in grembo tuo figlio. Metterò al mondo tuo figlio. Lo so, mi rendo conto che può sembrare assurdo.
Tengo aspettò in silenzio che lei continuasse.
– Ricordi il violento temporale che c’è stato all’inizio di settembre?
– Sí, molto bene, – disse Tengo. – Durante il giorno il tempo era bellissimo, ma dopo il tramonto sono cominciati i tuoni ed è esplosa la tempesta. L’acqua ha invaso la stazione di Akasaka Mitsuke e la circolazione della metropolitana è stata sospesa. I Little People si stanno agitando, aveva detto Fukaeri.
– Quella notte di tempesta sono rimasta incinta, – proseguí Aomame. – Però non ho avuto quel tipo di rapporti con nessuno. Né quel giorno, né nei mesi precedenti o successivi.
Aomame attese che il discorso si sedimentasse nella coscienza di Tengo. Poi continuò:
– Ma sono sicura che è successo quella notte. E sono convinta che il bambino che porto dentro di me sia tuo figlio. Non te lo so spiegare, ma lo so con certezza.
Nella mente di Tengo si risvegliò il ricordo dello strano rapporto sessuale che aveva avuto con Fukaeri. Fuori rombavano tuoni violenti, grosse gocce di pioggia battevano sulle finestre. Come diceva Fukaeri, i Little People si stavano agitando. Mentre lui era sdraiato sul letto, il corpo immobilizzato da una specie di paralisi, Fukaeri era salita a cavalcioni su di lui, aveva inserito il suo pene duro dentro di sé e aveva assorbito il suo sperma. La ragazza sembrava in uno stato di trance. Aveva tenuto costantemente gli occhi chiusi, come se fosse in piena meditazione. I suoi seni erano grandi e rotondi, il pube glabro. La scena era quasi irreale. Eppure Tengo sapeva che era successa davvero.
La mattina successiva sembrava che Fukaeri non ricordasse nulla di quanto era accaduto durante la notte. Oppure faceva finta di non ricordare. Per lui si era trattato piú di un esercizio imposto che di un atto sessuale. In quella notte di tempesta Fukaeri aveva approfittato della paralisi del suo corpo per sottrargli il seme, fino all’ultima goccia. Tengo ricordava ancora la strana sensazione provata. Fukaeri sembrava possedere un’altra personalità.
– Mi è tornata in mente una cosa, – disse Tengo con voce arida. – Quella notte è accaduto un fatto che è impossibile spiegare con la logica.
Aomame lo fissò negli occhi.
– Sul momento, – continuò lui, – non avevo capito cosa significasse, e ancora adesso non è che lo abbia capito bene. Ma se davvero sei rimasta incinta proprio quella notte, e non ci sono altre spiegazioni possibili, il bambino che porti in grembo è mio figlio.
Fukaeri era stata un canale. Era questo il suo ruolo. Diventare un passaggio per mettere in contatto Tengo e Aomame. Creare un aggancio fisiologico fra loro due in una porzione limitata di tempo.
– Credo che un giorno riuscirò a raccontarti nei particolari ciò che è accaduto quella notte, – disse Tengo. – Adesso mi mancano le parole per farlo.
– Ma tu mi credi davvero? Credi che la piccola cosa che ho dentro di me sia tuo figlio?
– Con tutto il cuore.
– Bene, – dichiarò Aomame. – È quello che volevo sapere. Se credi a questo, le altre cose non hanno importanza. Non c’è bisogno di tante spiegazioni.
– Sei incinta, – riprese Tengo.
– Di quattro mesi, – precisò Aomame, guidando la mano di Tengo sulla parte bassa del suo ventre.
Tengo trattenne il respiro, in cerca di un segno di vita. Era ancora una cosa molto piccola, eppure il palmo della sua mano riuscí a percepirne il tepore.
– Dove andremo, ora? Tu, io e questa piccola cosa?
– In un posto che non è qui, – disse Aomame. – In un mondo dove c’è una luna sola. Il posto dove avremmo dovuto essere dall’inizio. Dove i Little People non hanno potere.
– I Little People? – disse Tengo corrugando leggermente la fronte.
– Nella Crisalide d’aria hai descritto con precisione i Little People. Il loro aspetto, quello che fanno.
Tengo annuí.
– In questo mondo esistono davvero. Proprio come li hai descritti tu.
Quando Tengo aveva rimaneggiato La crisalide d’aria, per lui i Little People erano creature immaginarie nate dalla fantasia lussureggiante di una ragazza di diciassette anni. Al massimo una metafora, un simbolo. Ma adesso era in grado di credere che i Little People esistevano davvero e possedevano un potere reale.
– Non solo i Little People, – continuò Aomame. – Esiste anche tutto il resto, le crisalidi d’aria, mother e daughter, le due lune.
– Conosci il passaggio per uscire da questo mondo?
– Useremo quello da cui sono entrata. Non conosco altre uscite –. Poi aggiunse: – Hai portato il manoscritto del romanzo che stai scrivendo?
– Sí, è qui, – disse Tengo dando dei colpetti sulla borsa a tracolla marrone che portava in spalla. Strano. Come faceva a saperlo? – A quanto pare, sai un sacco di cose.
Vide Aomame sorridergli per la prima volta, un sorriso appena accennato, ma per lui era come se, in ogni parte del mondo, il livello delle maree avesse cominciato a salire.
– Non devi separartene, – disse Aomame. – Ha un significato molto importante per noi.
– Stai tranquilla, non lo lascio.
– Siamo venuti in questo mondo per incontrarci. Non lo sapevamo, ma era questo lo scopo per cui siamo finiti qui dentro. Abbiamo dovuto affrontare tanti ostacoli, cose assurde, inspiegabili. Cose strane, sanguinose, tristi. A volte anche belle. Ci è stato chiesto un giuramento, e l’abbiamo fatto. C’erano delle prove da superare, e le abbiamo superate. Finalmente abbiamo portato a compimento il disegno che ci ha portati fin qui. Ma adesso siamo in pericolo. Loro vogliono la daughter che porto in grembo. Sai bene cosa sia una daughter, vero?
Tengo fece un lungo sospiro. Poi disse: – Darai alla luce la daughter che abbiamo concepito.
– Sí. Non capisco nei dettagli il principio, non so se attraverso una crisalide d’aria o fungendo io stessa da crisalide, ma in ogni caso darò alla luce una daughter. E loro faranno di tutto per mettere le mani su di noi. Vogliono costruire un nuovo sistema che permetta loro di sentire le voci.
– E io che ruolo avrei in questo sistema? Ammesso che ne abbia un altro, oltre a quello di essere il padre della daughter.
– Tu… – cominciò Aomame. Poi tacque. Non riuscí a pronunciare le parole successive. Intorno a loro rimanevano dei vuoti. Vuoti che con il tempo, unendo le forze, avrebbero dovuto riempire.
– Avevo deciso che dovevo ritrovarti, – disse Tengo. – Ma non ci sono riuscito. Sei stata tu a trovare me. Ho la sensazione di non aver fatto niente. Non so come dire, mi sembra ingiusto.
– Ingiusto?
– Sono in debito con te per tante cose. Non sono stato capace di fare niente.
– Tu non hai nessun debito con me, – disse Aomame decisa. – Sei stato tu a guidarmi fin qui. In un modo invisibile. Noi siamo una cosa sola.
– Credo di avere visto la daughter, – disse Tengo. – O ciò che la daughter sta a significare. Aveva la forma di te bambina, quando avevi dieci anni, e dormiva nel lieve chiarore di una crisalide d’aria. Ho potuto sfiorare le dita delle sue mani. È successo solo una volta.
Aomame appoggiò la testa sulla spalla di lui.
– Tengo, tra noi due non c’è alcun debito. Siamo una cosa sola. Adesso dobbiamo preoccuparci soltanto di proteggere questa piccola cosa. Ci stanno addosso. Sono vicinissimi. Riesco a sentire il rumore dei loro passi.
– Non permetterò a nessuno di portarvi via. Né te, né la piccola cosa. Incontrandoci, abbiamo realizzato lo scopo per cui siamo entrati in questo mondo. Questo è un luogo pericoloso. Ma tu conosci l’uscita.
– Credo di sí, – disse Aomame. – Se non mi sbaglio.