Non poteva esserci nulla di male in un semplice piano. Non era niente di più che un auspicio.
Jane Austen, Emma
Autunno, 1825
Il gran giorno era arrivato.
Briar Bourne lo capì nell'istante stesso in cui i piedi le scivolarono nell'interno fresco delle scarpette portafortuna color avorio e uno sprazzo di spasmodica euforia le scorse addosso.
In poco più di un'ora avrebbe portato l'impresa familiare alla grandezza. Il ton avrebbe presto varcato a passo di marcia le porte dell'Agenzia Matrimoniale Bourne. E tutto perché stava per procurarsi lo scapolo più sfuggente di Londra come loro cliente principale.
Ma prima di ogni altra cosa, doveva apparire come una donna capace e sicura di sé, non come una debuttante uscita di nascosto dalla residenza di città affittata dalla famiglia.
L'abbigliamento non andava sottovalutato. Gli abiti giusti potevano cambiare il corso degli eventi, trasformare un mendicante in un commesso, una domestica nella padrona di casa o, nel suo caso, una sorella minore sottovalutata in una vera intermediaria di matrimoni.
Da quando l'agenzia aveva aperto due settimane prima, lo zio Ernest, Ainsley e Jacinda erano gli unici ad avere avuto compiti importanti. Interrogavano i clienti, scoprivano i loro interessi, le loro speranze e i loro sogni di un lieto fine.
Gli incarichi di Briar, invece, erano essenzialmente inutili. Serviva il tè e archiviava i documenti quasi fosse una scimmia ammaestrata. Non aveva nemmeno un ufficio. O almeno, non ancora.
Era quello il motivo della sua commissione all'alba. Era decisa a dimostrare che poteva scoccare la freccia di Cupido bene come chiunque altro. Forse anche meglio.
Dopotutto, lo zio Ernest passava il tempo a corteggiare quasi tutte le donne che interrogava. Per colpa sua, avevano stabilito una regola in agenzia: mai innamorarsi del cliente.
Per quanto riguardava Ainsley, era troppo pragmatica. Riportava tutti i dati dei clienti su carta, paragonando una lista all'altra. Era cieca dinnanzi ai desideri anelanti negli occhi di quei pochi che avevano osato attraversare la loro soglia.
E Jacinda era troppo scettica. Indagava ogni cliente per assicurarsi che stesse dicendo il vero e che non nascondesse oscuri segreti che potessero distruggere un matrimonio e una famiglia. Ma non tutti erano come il loro padre.
Il problema era che nella sua famiglia erano tutti così assorbiti dai propri fini che non si rendevano conto che all'agenzia mancava un elemento vitale: l'emozione.
Innamorarsi non doveva forse essere l'esperienza più entusiasmante della vita? Avrebbe dovuto essere celebrata con il vino, ricoperta di petali di rose ed esaltata con una cascata di note d'arpa.
Briar si lasciò cadere sul letto con un sospiro, le braccia spalancate, immaginandoselo. Sarebbe diventata la miglior sensale di matrimoni di tutta Londra... Anzi, di tutta l'Inghilterra. Forse persino del mondo intero!
«È che non capiscono quanto sia difficile avere un cuore sognatore nel petto, senza la possibilità di dargli libero sfogo» disse rivolta al libro appoggiato su un cuscino al suo fianco.
Il tomo in cuoio rosso di Emma – il secondo volume dei tre – le era stato regalato dalla madre prima della sua morte prematura dieci anni addietro. La donna aveva adorato la storia di Miss Emma Woodhouse e dei suoi tentativi di combinare unioni, rimpiangendo spesso di non avere avuto qualcuno di tanto astuto che si fosse occupato del suo matrimonio. Invece, aveva sofferto anni di tradimenti.
Alla fine, il crepacuore e l'agonia erano diventati insopportabili. E proprio per quel motivo, la famiglia Bourne intendeva combinare unioni fondate sull'amore, sulla fiducia e sul rispetto, così che nessun altro dovesse soffrire lo stesso destino della madre.
«Voglio anch'io fare la mia parte» continuò Briar, baciando la copertina del libro prima di alzarsi e coprirsi le spalle con un mantello marrone chiaro. Alla porta, si girò un'ultima volta e sorrise. «Auguratemi buona fortuna, madre.»
Alla luce cenerina del primo mattino, scese silenziosa la scalinata di marmo, le suole delle scarpette un mero bisbiglio. E poi, dopo avere attraversato l'ingresso, uscì nella densa aria autunnale, richiudendo attentamente la porta con il chiavistello. Quando ebbe sceso i gradini imbiancati a calce e messo piede sul marciapiede, vibrò d'entusiasmo.
Aveva ingoiato diecimila stelle che le brillavano dentro. Non le importava dello strato vaporoso di nebbia che aleggiava sulla loro strada a St. James's. Era una luce. Una forza. Niente poteva fermarla.
Lo scalpitio incorporeo degli zoccoli e lo scricchiolio delle pietre sotto ruote di ferro la informarono che in effetti c'erano carrozze in giro a quell'ora del mattino. Sperava solo che una di esse fosse una vettura a nolo.
Non ne aveva mai affittata una. Era arrivata a Londra da poche settimane e prima aveva vissuto in un paesino dell'Hampshire. Aveva vent'anni, ma doveva ancora sperimentare gran parte delle delizie della vita, soprattutto perché le sorelle si erano convinte di doverla proteggere dal resto del mondo. Affermavano che era troppo sognatrice, troppo pura di cuore... come se si trattasse di qualità inferiori.
Sbuffò. Glielo avrebbe fatto vedere lei.
Onestamente, quanto doveva essere difficile noleggiare una vettura?
In pochi istanti, tuttavia, si rese conto che non era semplice come aveva pensato. Con la nebbia densa come cotone, era ben più probabile che chiamasse per errore il barroccio puzzolente e pieno di frattaglie di un netturbino. Delle due carrozze che erano passate, nessuna era stata a nolo, ma di proprietà di coloro che preferivano tenere le tendine tirate.
Aveva sentito parlare di certe persone intente a giocare d'azzardo e a gozzovigliare fino all'alba. Non sapeva con certezza quali attività fossero coinvolte nel gozzovigliare, ma poiché quella parola veniva sempre bisbigliata nascondendosi dietro i ventagli, era certa che fossero scandalose.
Il solo pensiero le provocò un fremito di smodato interesse. Qualunque cosa fosse, voleva viverla almeno una volta nella vita. Dopotutto, per diventare una intermediaria di matrimoni di successo, doveva comprendere appieno... be', tutto.
Nell'udire il tintinnio dei finimenti e poi un comando riecheggiare tra le facciate in pietra che la circondavano, capì che era venuto il momento. Una coppia di cavalli sbucò fuori dalla nebbia, le loro teste piegate mentre veloci voltavano l'angolo. Alzando il braccio con un cenno rapido, Briar richiamò l'attenzione del cocchiere.
Stava accadendo tutto come pianificato! Presto, pensò sorridendo, sarebbe stata lei la donna che il ton avrebbe assunto per dare una mano al fato.
Tuttavia, mentre aspettava, osservò confusa il cocchiere fermarsi di colpo dalla parte opposta della strada, davanti a Sterling's, una casa da gioco esclusiva.
Riabbassò il braccio. Strano, aveva visto altre persone compiere lo stesso gesto e di solito il cocchiere andava da loro. Mmh... Si chiese se non ci fosse un trucco. Una piega del polso. Un movimento delle dita.
Voleva scoprirlo. Una volta che quell'impresa mattutina fosse riuscita, avrebbe dovuto compiere tante commissioni per l'agenzia. Briar Bourne: intermediaria di matrimoni per la crema del ton.
Con poco traffico a impedirle il passo e senza nessun'altra vettura a nolo in vista, sollevò la gonna per attraversare di corsa la strada. Tuttavia, notando la sozzura maleodorante negli scoli, si rese conto che le sue scarpette portafortuna non erano pensate per la corsa. E poiché l'ultima cosa che voleva era incontrare un futuro cliente con gli abiti tutti sporchi, rallentò il passo.
«Buonuomo» chiamò ad alta voce, ma il cocchiere non le rispose. Aveva il capo girato in direzione opposta, la sua attenzione attirata da qualcosa sul marciapiede. Briar lo chiamò di nuovo, aggiungendo un tono autoritario alla sua voce di solito sussurrata.
«Ma vattene, perché non...» Lui si fermò nell'istante in cui la vide, rimanendo a bocca aperta. Levandosi il cappello logoro, se lo premette al petto e la guardò basito. Un sorriso lento le rivelò alcuni denti ingialliti. «Perdonatemi, signorina, a volte penso senza parlare.»
Briar credeva che intendesse dire il contrario, ma porre l'attenzione su un tale errore avrebbe reso l'uomo ancora più imbarazzato, perciò non ne parlò. Tuttavia, dopo essersi accorta che il cappuccio le era scivolato sulle spalle, lo risollevò per coprirsi i capelli biondi prima di continuare. Non era il caso che qualcuno la vedesse senza chaperon. «Vorrei noleggiare la vostra vettura, per favore.»
«Accidenti, quel gentiluomo mi ha già lanciato una moneta» le rispose lui con ovvio dispiacere e un cenno del capo diretto alla parte opposta della carrozza.
Oh. A quanto pareva bisognava essere veloci a pagare quando si chiamava una vettura. Se lo sarebbe ricordato per il futuro. Per il momento, tuttavia, intendeva vedere se il gentiluomo in questione fosse disposto a cederle la carrozza.
Non era forse quello che una intermediaria di matrimoni decisa avrebbe fatto in quella situazione?
Annuendo al cocchiere, girò attorno alla vettura diretta al marciapiede, attenta ai pericoli presentati dallo sterco. L'abbondante quantità era forse dovuta al flusso quasi costante di traffico che si fermava davanti alla casa da gioco.
Anche a quell'ora del mattino, un'altra carrozza – una bella vettura nera lucida con decorazioni dorate agli angoli e le ruote rosse – era ferma dietro all'altra. Un cliente ricco, non c'era dubbio. Se solo l'Agenzia Matrimoniale Bourne avesse avuto clienti simili.
Presto, pensò.
Messo piede sul marciapiede, si preparò per rivolgersi al gentiluomo. Tuttavia, sgomenta, capì perché il cocchiere si fosse fermato in quel punto.
Il passeggero era altrimenti impegnato. Per la precisione, era nel bel mezzo di... un bacio.
O almeno, immaginava che fosse un bacio. In realtà le pareva che l'uomo dai capelli corvini stesse lentamente divorando la donna castana fra le sue braccia, con morsi delle sue labbra schiuse. Le mani, piuttosto grandi e non guantate per di più, erano fuse sulle curve della compagna, come se ne stesse tracciando ogni lembo.
Poiché erano di fronte alla casa da gioco, nella quale secondo le voci si trovavano stanze private per i clienti, Briar comprese che si trattava di un gentiluomo di tutt'altro genere. Un libertino.
Con le guance in fiamme, si girò, senza fiato. Chiuse gli occhi per... per cosa? Concedere alla coppia maggiore intimità? Fingere che non fosse incappata in quel loro interludio appassionato? Non lo sapeva. La verità era che vedeva ancora nella propria mente quelle mani dalle dita affusolate, e non riusciva a smettere di chiedersi che cosa stessero facendo in quel momento.
Le sarebbe bastato guardare, ovviamente. Non c'erano le sorelle che le avrebbero coperto gli occhi con la mano come avevano fatto innumerevoli volte prima di allora. Ma... voltandosi aveva fatto la stessa cosa con se stessa!
Infastidita da quel suo atto inconscio, si volse verso la coppia di amanti.
Fu un errore. La sua presenza non era passata inosservata. L'uomo la stava studiando, mentre continuava a divorare la donna.
Avrebbe fatto bene a distogliere lo sguardo, no? Dopotutto, era maleducato fissare. Non avrebbe dovuto importarle che gli occhi del giovane fossero tanto seducentemente scuri, le iridi del colore del legno d'ebano levigato, ricco, esotico, e carichi di una vita di esperienze che lei non poteva nemmeno immaginare.
Avrebbe dovuto distogliere lo sguardo. Lo avrebbe fatto. Non appena lui avesse smesso di guardarla.
Le ciglia nere dell'uomo si abbassarono quando con lo sguardo la percorse in altezza, seguendo i lembi del suo mantello fino alla fascia azzurra che si era stretta sotto il seno e poi giù lungo le pieghe della mussola color crema. Un'ondata di calore l'attraversò.
Una volta che l'uomo ebbe raggiunto la punta delle scarpette che le uscivano dall'orlo della gonna, Briar emise un sospiro tirato, provando la sensazione di essere appena sopravvissuta a un'ordalia.
Ma lui non aveva ancora finito.
Il suo sguardo cambiò direzione. Senza fretta e minuzioso, le diede la sensazione che riuscisse a vederle attraverso la gonna, abbastanza da tracciare la fantasia merlata ricamata sulle calze. Il cuore di Briar seguì quell'esame, pulsando come una lucciola che balenava nella notte. E quando i loro occhi si incatenarono, qualcosa le si avvoltolò nello stomaco.
Si premette una mano sulla cintola e un certo calore bruciò nell'espressione dell'uomo, come se sapesse esattamente che cosa le stava accadendo sotto la pelle. Meglio di quanto non lo sapesse lei stessa.
La sua guancia magra si sollevò quel tanto che bastò a svelare una piega dell'angolo della bocca. Esatto, diceva quel ghigno. Potrei insegnarvi un sacco di cose... cose meravigliosamente peccaminose.
Briar voleva sentirsi inorridita. Indignata. Eppure, era intrappolata tra la mortificazione e lo sconcerto. Dopotutto, era la prima volta che aveva un posto in prima fila davanti a tanta dissolutezza.
«Ehi, laggiù!» esclamò il cocchiere. «Questa non è una carrozza privata, signore. Ho già un altro passeggero, se non volete partire.»
Briar trasalì e un'ondata di imbarazzo le inondò le guance. Per fortuna il cappuccio nascondeva la sua espressione rapita dagli occhi del cocchiere, lasciando che fosse solo il libertino l'unico testimone di quel suo imperdonabile sguardo bramoso.
«Sì... È p-proprio vero» balbettò. «Ho urgente bisogno di questa carrozza. A quanto pare, a voi non serve. Non subito.»
L'uomo sollevò un sopracciglio e la piega della sua bocca divenne ancora più arcuata quando interruppe il bacio, non prima però di avere coperto il capo della compagna con il cappuccio color cremisi, assicurando così il suo anonimato. Da parte sua, la donna rimase in silenzio, girando il volto verso la carrozza in attesa. Infilando una mano in tasca, lui si passò un fazzoletto sulle labbra umide e arrogantemente piegate, poi lo diede alla donna.
Una volta drizzatosi, era molto più alto di quanto Briar si fosse immaginata. La sua figura snella era delineata perfettamente dal taglio degli abiti: una giacca da sera nera con i baveri felpati, un panciotto in seta grigia e un fazzoletto da collo bianchissimo con una macchia di belletto scarlatto vicino all'angolo deciso della sua mascella. Era più grande di lei, di almeno dieci anni.
La precisione netta dei suoi tratti e la linea aquilina del naso non lo rendevano bellissimo, almeno secondo i canoni classici. Eppure era singolare e affascinante in una maniera che non si spiegava.
Ma Briar desiderava tanto capirlo. Una tale comprensione, ne era certa, l'avrebbe aiutata nel suo piano. Si poteva infatti sostenere che non si sarebbe stati in grado di trovare compagni ideali per dei perfetti sconosciuti se si possedeva solo una conoscenza rudimentale della propria natura.
«Da quello che ho visto» le disse il libertino, «non sembravate avere grande fretta di partire.»
Il timbro sonoro della sua voce si aprì un varco dentro di lei. Sullo stomaco, Briar chiuse la propria mano a pugno. Non sapeva tuttavia se intendesse soffocare quella sensazione, oppure assaporarla.
«Be', l'avevo» rispose secca, non apprezzando l'insinuazione che si fosse divertita a osservare quelle prodezze amorose. Quando gli occhi color ebano del giovane brillarono con incredulità divertita, si rese conto che aveva parlato al passato perciò si corresse: «Ce l'ho ancora».
Avanzò di un passo verso lo sportello. Il giovane tuttavia fece lo stesso, una sfida stampata nell'arco di un singolo sopracciglio. Sfortunatamente, lui era dalla parte corretta e il passaggio di Briar era ostruito dalla donna.
«Sarà anche vero, ma temo che la signora abbia bisogno della carrozza e che non possa condividerla. Lei sì che va di fretta.»
«Non più di me...»
Prima che Briar potesse finire, lui aprì lo sportello e aiutò la compagna a salire all'interno della vettura con una tale perizia che sembrava lo facesse per mestiere.
Ignorando lo sbuffo oltraggiato di Briar, richiuse lo sportello. Poi, girandole attorno, lanciò un'altra moneta al cocchiere. «La signora vi darà indicazioni.»
Senza argomentare e senza nemmeno un saluto, il cocchiere scoccò le redini e partì.
«L'ho visto per prima.» Quella dichiarazione vana e immatura le sfuggì senza che potesse tenere a freno il proprio fastidio. Accidenti! Non sopportava di essere trattata come una bambina, eppure si stava comportando come tale.
Lo sguardo impenitente della canaglia la percorse ancora una volta, rendendola conscia del fatto che si era portata le mani sui fianchi e che il mantello si era aperto come una tenda nella vetrina di un negozio. Briar sbuffò e abbassò le braccia, dandogli a intendere che non stava offrendo alcuna merce. Niente affatto!
«Sì, ma io l'ho pagato per primo, tesoro. E comunque non credo che avrete difficoltà nel procurarvi un'altra carrozza. Di certo siete abituata a ottenere ciò che volete grazie alle vostre astuzie femminili.»
«Le mie... astuzie? Come osate, signore! Non pratico alcuna astuzia. Quando troverò un'altra carrozza, sarà per pura determinazione e nient'altro.»
Lui schioccò la lingua in una maniera scandalosamente familiare, mentre con una mano si spazzolava via della cipria dal bavero. «Non ci conosciamo e perciò non c'è motivo di prenderci in giro. Vi siete chiaramente agghindata per destare ammirazione. Dopotutto, avreste potuto indossare un mantello nero che vi avrebbe resa meno vistosa in queste strade, eppure ne avete scelto uno che avrebbe messo in risalto il colore dorato dei vostri capelli e la carnagione color pesca delle vostre guance.»
«Non potete certo saperlo» sbottò lei.
Il fatto che quel pensiero le fosse passato per la testa era del tutto irrilevante. Il nero la rendeva troppo pallida. Semplicemente non aveva voluto incontrare un possibile cliente assomigliando a uno spirito dal volto cereo.
«Anche la fascia è dello stesso color fiordaliso dei vostri occhi. Il belletto sulle labbra, poi, è inteso a catturare tutta l'attenzione di un uomo.»
Belletto! Era stata accusata di essere tante cose – ingenua, melodrammatica e troppo sognatrice – ma mai di essere bisognosa di abbellimenti. Offesa, si passò il guanto di capretto sulle labbra, quindi gli mostrò le dita immacolate. «Signore, avete insultato il mio onore.»
Lui osò sembrare sorpreso, strizzando gli occhi per osservarle mentre si passava una mano sulla barba leggermente incolta. E poi, trovando a quanto pareva quell'episodio divertente, sorrise. «Preferite le pistole o le spade all'alba, tesoro? Immagino che siate una buona tiratrice. Mi pare quasi di leggere un intento assassino nei vostri occhi.»
«Scherzate pure, se volete, ma non è il momento di sottovalutarmi. Se avessi un'arma, vi ritrovereste a stringere il petto in questo istante, cadendo sulle ginocchia. Fortunatamente per voi, non ho tempo di assassinare nessuno questa mattina.»
Girò sui tacchi e si rivolse verso la strada, nella speranza che un'altra vettura emergesse dalla nebbia.
«Vi offendete sempre quando un uomo vi fa un complimento?»
«Da un uomo come voi, è del tutto sgradito.»
Alle sue spalle, lui rispose con una risata roca che le passò addosso come una cascata di caldo e voluttuoso solletico.
Non aveva mai incontrato un uomo del genere, così audace e tentatore, che provocava in lei rossori e ira al tempo stesso. La famiglia aveva sempre cercato di farle frequentare solo chi comprendeva le regole della decenza e viveva seguendole. Invece quello sconosciuto era libero da tali freni. Ma la parte più strana di tutto era la reazione che lei stava avendo nei suoi confronti.
Diceva ciò che pensava come non avrebbe mai fatto se lui fosse stato davvero un gentiluomo. Nella bella Società, personificava decoro e affabilità in ogni parola e gesto. Ma lì, avvolta dalla nebbia sul marciapiede davanti a una casa da gioco, era sconcertata dalla propria insolenza.
«E che cosa sapete di me?»
Gli rispose senza esitazione. «Ho sentito dire che chi possiede una natura peccaminosa preferisce il favore delle tenebre. Francamente, mi sorprende che siate sveglio a quest'ora del giorno. Le canaglie debosciate non dovrebbero essere a letto al levare del sole?»
«Solo quelle più fortunate» rispose lui con un tono che alterò il significato della sua affermazione, rendendola decisamente audace. «Tuttavia, gli uomini come me non dormono mai. La nostra vita è una rassegna costante di peccati.»
Una parte di lei si domandò come fosse una rassegna di peccati. Data la sua conoscenza tanto limitata, l'immaginazione non seppe nemmeno da dove cominciare. L'idea era stuzzicante, a dire poco.
Ma non aveva tempo né per assassinii né per simili solleticamenti.
Una carrozza si avvicinò, perciò sollevò un braccio. Non si trattava però di una vettura a nolo, solo di un landò rumoroso, con le tendine tirate.
Un'altra fitta di delusione la pungolò. Doveva sbrigarsi o il piano sarebbe andato in fumo.
Dov'era una vettura a nolo quando serviva?
La risposta era ovvia. La sua carrozza era ormai lontana e tutto perché quell'uomo se ne era appropriato.
Si girò per affrontare il colpevole. «Non mi sorprende che non dormiate mai, vista la vostra volgare esibizione pubblica. Mi ha sconcertata fin nel profondo del cuore.»
«Non era sconcerto quello che stavate provando nel vostro...» Lui si sporse in avanti e la sua voce scese fino a divenire un mormorio seducente. «... cuore, ma qualcosa di completamente diverso, tesoro.»
Lo sguardo peccaminoso del giovane brillò. Viste da vicino, le sue iridi non erano solo di un color ebano scuro, ma avevano striature d'ambra che conferivano loro un bagliore splendente. Briar fu scossa da un brivido.
«Non dovreste dire certe cose» lo rimproverò con un filo di voce, il battito impazzito nell'incavo della gola.
Allora alle narici le arrivò l'odore stucchevole di un profumo da donna che si alzava dalla lana nera della sua giacca, con note pesanti di giacinto e gardenia. C'era tuttavia anche un'altra fragranza, più ricca e virile. Quell'odore muschiato le ricordò quello degli stivali di cuoio scaldati al fuoco e quello delle foglie d'autunno al sole. Una combinazione inaspettatamente piacevole.
«Oh!»
Quel grido spezzò il velo che la circondava, riportandola al suo proposito. Girò sui tacchi e non si curò nemmeno di salutare lo sconosciuto.
Infilando le dita nella tasca del mantello, afferrò una moneta. La sollevò in aria come un trofeo mentre metteva piede sulla strada... dritta in un mucchio di letame. L'orribile e caldo spiaccichio fu inconfondibile.
No! Non poteva essere vero, non in quel momento.
Eppure, lo era. Alzando l'orlo della gonna, vide che la scarpetta aveva lasciato un'impronta perfetta nello sterco verdastro. Un gemito involontario le scappò dalle labbra, ma si riscosse subito da quell'orrore. C'era ancora speranza. Se avesse sollevato il piede con la giusta angolazione, sarebbe riuscita a salvare la scarpetta fortunata.
Distratta da quel compito, non vide la carrozza che si dirigeva nella sua direzione senza alcuna intenzione di fermarsi.
Nicholas non ebbe modo di gridare. Un minuto prima si stava godendo un amoreggiamento mattutino dopo un convegno erotico poco brillante e quello successivo si stava precipitando in strada.
Afferrò la giovane appena in tempo. Agguantandola per la vita sottile, la strinse e indietreggiò sul marciapiede prima che venissero travolti dalla carrozza.
«Sciocca che non siete altro!» Il cuore gli batteva contro il costato, lì dove incontrava le ali delicate delle scapole della sconosciuta. Stretto nella morsa gelida dello sgomento, non riuscì nemmeno ad apprezzare quelle curve perfette contro di sé. «Andate davvero tanto maledettamente di fretta da rischiare la vita per chiamare una carrozza?»
«Non andrei tanto maledettamente di fretta se non vi foste appropriato dell'unica vettura in circolazione! Devo raggiungere... oh, guardate che cosa avete fatto alla mia scarpetta!»
La giovane flessuosa si sporse in avanti, come se si aspettasse che l'avrebbe lasciata correre in strada.
Incredibile. «Vi preoccupate per una scarpa?» Resistendo alla tentazione di strozzarla, la invitò a reggersi al lampione, quindi mollò la presa su di lei.
«Non è una scarpa qualunque.» Gli indicò la calzatura rimasta in strada, il tacco sollevato in aria con la punta sprofondata nello sterco. «È una delle mie scarpette fortunate, perciò prestate attenzione nell'estrarla.»
Erano anni che non prendeva ordini da qualcuno e, se non fosse stato per il suono delicato della voce della ragazza, avrebbe lasciato la scarpa dove si trovava.
Dopotutto, non era un eroe. Era un libertino. E i libertini non salvavano le damigelle in pericolo, né il loro vestiario capriccioso.
Passandosi una mano sulla faccia, Nicholas si diresse in strada.
«Ogni volta che le indosso, succede qualcosa di memorabile. Come quando una duchessa è diventata patrocinatrice mia e delle mie sorelle, il giorno stesso in cui arrivammo a Londra. O per esempio la settimana scorsa, quando il commesso della pasticceria ha infilato quattro confetti di zenzero nel mio pacchetto sebbene avessi soldi solo per pagarne due. E proprio ora, mi hanno salvata da un pericoloso incidente con una carrozza.»
Nicholas tornò da lei, la scarpa inzaccherata in mano. «Se non sbaglio sono stato io a mettervi al sicuro. Non le scarpette.»
«Sì, ma se non le avessi indossate voi non avreste avuto la necessità di salvarmi. Perciò, sono fortunate.» Lei aggrottò le sopracciglia e sbuffò. «E ora l'avete rovinata con la vostra estrazione impacciata.»
«Impacciata? Se volete posso tirarla di nuovo in strada e vedere come ve la cavate da sola.» Lui si girò, fingendo di lanciarla.
Lei gli afferrò il braccio con le mani guantate. «Non c'è bisogno di una tale barbarie. Stavo solo notando che se aveste prestato attenzione alla trama del tessuto, non sarebbe rimasta così imbrattata di... di...»
«Merda di cavallo?» suggerì lui, credendo che non ci fosse alcun motivo di abbellire la verità.
«Esatto, quella.» Un rossore le tinse le guance quando allungò la mano per prendere la scarpa.
Invece di riconsegnargliela, tuttavia, Nicholas infilò una mano in tasca pronto a sistemare la situazione.
«Se state cercando il fazzoletto, credo lo abbiate prestato alla donna che stavate divorando poco fa.»
Mmh... vero. Si era già dimenticato di lei. Il che, immaginò, era il punto di quegli incontri casuali. Dopo avere partecipato a una festa in maschera, aveva rinunciato alla compagnia delle solite amanti preferendo quella donna sconosciuta vestita di rosso, nella speranza che la novità lo avrebbe strappato alla noia.
Non era successo.
Ovviamente non era colpa della donna. Era bella, vivace, anche se un po' troppo appiccicosa per i suoi gusti. Aveva continuato a invitarlo a trascorrere la giornata con lei, suggerendo così il desiderio di diventare una presenza fissa nella sua vita. Tuttavia, come le aveva spiegato, nel giro di un paio di giorni lui sarebbe partito per la campagna e quegli incontri amorosi erano solo per puro piacere, non per creare legami. Perciò aveva cercato di rimandarla a casa con un buon ricordo, sebbene lui fosse rimasto insoddisfatto.
«A quanto pareva, il saluto che stavo dando alla mia compagna aveva attratto la vostra completa attenzione.»
La giovane sbuffò. «È raro nella buona società assistere a un atto di cannibalismo. Ero semplicemente stupita dello spettacolo.»
Nicholas rise, sapendo che la giovane si stava prendendo in giro. Già dal primo sguardo era rimasta incuriosita da lui così come lui lo era stato da lei. E non per via della sua bellezza perfetta. Quello che lo aveva colpito era stata la franchezza nella sua espressione, come se il mondo fosse vivido e ogni sua parte affascinante.
Nella cerchia che lui frequentava, erano tutti annoiati. Facevano sesso per passare il tempo, riempiendo ore vuote. Scommettevano intere fortune su pessime carte, sperando di provare quel brivido che avevano conosciuto un tempo. Quando non lavoravano, cercavano altre imprese, viaggi e simili. Tuttavia finiva tutto alla stessa maniera. Nessuno di loro avrebbe mai potuto catturare la vivacità schietta dell'espressione del volto di quella giovane.
«Per quanto riguarda la vostra scarpa» la informò guardando alle sue spalle verso la carrozza in attesa, «credo che il mio cocchiere possa aiutarvi. Un goccio di whisky dalla sua fiaschetta, una passata con un panno pulito e tornerà come nuova.»
Lei gli strappò di mano la scarpa e lo guardò con occhi di brace. «Quella è sempre stata la vostra carrozza?»
«Certo, altrimenti come potrei tornare a casa dopo una notte di depravazione?»
«Scoprirete presto la risposta» ribatté lei.
Prima che potesse chiederle che cosa intendesse dire, lei si allontanò zoppicando, stringendo la gonna in una mano e la scarpa nell'altra. Afferrò la maniglia dello sportello. «Mi sto appropriando della vostra carrozza, signore.»
«Davvero? Come vi aspettate di riuscirvi senza il mio permesso? Temo che Adams sia leale nei miei confronti.»
La giovane gli puntò contro la scarpa inzaccherata. «Mi dovete una ricompensa.»
Un brivido strano lo attraversò. Non sapeva se quell'impeto nel sangue fosse un ammonimento a stare alla larga da quella giovane e dalla sua logica assurda o un incentivo a mantenere quella rotta. Poiché le ore precedenti non gli avevano offerto alcun divertimento, scelse il secondo.
«Hai sentito la signora, Adams.»
«E mi servirà anche quella fiaschetta.»
Divertito, Nicholas l'accontentò e richiuse lo sportello. Balzò quindi sul sedile del cocchiere.
Da sotto la falda del cappello da vetturino, degli occhi marroni lo fissarono con disapprovazione.
«Non guardarmi in quel modo. È evidente come il naso sulla mia faccia che è come un pesce fuor d'acqua, a gironzolare per le strade degenerate alle prime ore del mattino come una ragazza di campagna. È troppo ingenua e finirà per mettersi nei guai.»
«Proprio questo è il motivo per cui dovremmo riaccompagnarla a casa, milord.»
Nicholas sorrise. «Ma così che gusto ci sarebbe?»