«La cattiveria è sempre cattiveria, ma non sempre la sciocchezza è sciocchezza.»
Jane Austen, Emma
«È stato gentile da parte di tuo cugino innalzare i bersagli per noi qui in giardino» disse Briar lanciando uno sguardo sopra la spalla verso la porta che dava in casa.
La soglia era ancora vuota, così come lo era stata l'ultima decina di volte che aveva guardato. Non aveva ancora incontrato Lord Edgemont e l'impazienza cominciava a innervosirla. Dopo la conversazione avuta con le sorelle quella mattina, non voleva attendere un minuto di più per dimostrarsi loro pari.
«Nicholas lo negherebbe fino all'ultimo respiro, ma è buono di cuore e tende a stravedere per me. Sono diventata piuttosto viziata, perciò sarà meglio che mi trovi un marito che tenda alla generosità.»
Briar rise, quello spiraglio sul carattere del giovane come musica per le orecchie. La corda dell'arco riverberò e ne sentì la vibrazione sulla guancia quando scoccò una freccia. Colpì il centro nero del bersaglio in paglia intrecciata.
Anche Temperance ne scoccò una, ma spaventò uno scoiattolo grigio nell'albero in cui era finita. Gridò subito delle scuse alla povera creatura. «Ora che mi hai parlato della tua mattinata, immagino sia bello sfogare un po' di aggressione.»
«In effetti, sì.»
«Se fossi mia sorella, ti tratterei per quello che sei: straordinariamente affascinante ed esperta.»
«Esperta?» Briar rise di nuovo, ma per l'incredulità. «Gran parte delle monetine ha visto più mondo di me.»
«Sì, lo so, però hai comunque una certa aria che allude a una vita completamente diversa. Non riesco a spiegarti, ma è come se, da un momento all'altro, potessi dirmi che intendi scappare con un gentiluomo che ti porterà via nel Mediterraneo e che ti inonderà di diamanti.»
«Oh, ma mi riempirebbe di zaffiri, perché vorrà trovare una gemma dello stesso colore dei miei occhi.»
«È proprio per questo che siamo diventate amiche da subito. Finché non ti ho incontrata, non mi sarei mai immaginata uno scenario tanto bizzarro. Adesso invece riesco a vederlo così chiaramente che mi pare di sentire l'odore degli ulivi nell'aria. Hai il dono di contagiare chiunque incontri con idee pazze e sognanti.»
«Vorrei che lo dicessi al vignettista che ha disegnato quella caricatura poco lusinghiera nel Post di questa mattina. Ora tutta Londra sa del mio errore.» Sfogò il proprio fastidio sulla freccia successiva, centrando il bersaglio. «Se solo i nostri errori più imbarazzanti fossero eventi privati.»
Temperance concordò con un sospiro, quindi il suo tiro si infilò a terra a tre passi da loro. «Verrà dimenticato presto. Dopotutto, questo è stato il tuo unico abbaglio da quando l'agenzia ha aperto.»
Non era del tutto vero, ma Briar non aveva mai confessato l'altro suo mezzo disastro: il giorno in cui aveva cercato di incontrare Lord Hulworth ed era invece finita in carrozza con una canaglia.
E non lo avrebbe mai detto ad anima viva, nemmeno alla più cara amica.
Per fortuna, il libertino era stato l'unico testimone di quella sua follia e non lo avrebbe mai più rivisto. Dopotutto, un uomo come quello non avrebbe onorato della sua presenza la soglia dell'agenzia in cerca di una moglie, né avrebbe partecipato alle cene rispettabilissime della Duchessa di Holliford.
Uno strano brivido allora l'attraversò e per un istante il ricordo di quegli occhi scuri e peccaminosi le balenò in mente.
A dire la verità, quello sconosciuto non era mai troppo lontano dai suoi pensieri. In effetti, ogni volta che guardava fuori dalle finestre dell'agenzia verso Sterling's, cercava una carrozza nera lucida con le ruote rosse e si chiedeva se, magari, lui l'avesse mai pensata.
Il gemito frustrato di Temperance riportò Briar nel giardino, l'aria profumata, densa come nettare.
«Credo che ci sia qualcosa che non va con le mie frecce. Sembrano perfette fuori, ma dentro devono avere l'anima ritorta.»
«Di sicuro è così» concordò lei a sostegno dell'amica, offrendole una manciata delle sue. «Prova queste.»
Temperance le studiò e tornò all'argomento in questione. «Mi spiace che Daniel non sia uscito dalla camera quando sei arrivata. Poiché mia madre riesce ad assillare tutti fino all'obbedienza, possiamo ancora sperare, immagino. Tuttavia, ora che ci penso, sarebbe meglio non ricordargli della tua impresa familiare. Non vorrei che credesse che stiamo complottando per trovargli una moglie.»
«Anche se è esattamente il motivo per cui mi hai chiamata?»
«Be', tu sei l'unica intermediaria a cui affiderei la felicità di mio fratello. E sai una cosa? Ritengo che dovresti trovare una sposa anche a mio cugino.»
Briar tossì.
Temperance le diede un colpo tra le scapole. «Stai bene? Spero tu non abbia ingoiato un insetto o ti rovinerà l'appetito prima del tè.»
Lei scosse il capo, ben sapendo che non si trattava di un insetto. Il sapore amaro che aveva sulla lingua sapeva tanto di senso di colpa. Non aveva ancora raccontato a Temperance della sfida che aveva accettato da Genevieve Price. «Vuoi che trovi una sposa per tuo cugino?» gracchiò.
«Credo che Nicholas sia solo. C'è qualcosa di strano in lui dall'anno scorso. Ovviamente potrei sbagliarmi e magari è solo preoccupato per Daniel. Tuttavia, vorrei tanto vederlo felice. Ci penserai?»
«Be', sì, certo. Ma prima devo dirti una cosa.»
Temperance sollevò un dito. «Aspetta un attimo, perché prima voglio che vi incontriate. Sarà meglio che vada a vedere che cosa lo sta trattenendo tanto. Di certo l'incontro con il suo segretario non può essere stato così lungo. Scommetto che sta rovistando in cucina alla ricerca di altre focaccine di Mrs. Darden. È impazzito quando le ha assaggiate prima.»
«Allora sono contenta che ne abbia portate di più con me, non al limone, ma all'arancia e allo zenzero, con un barattolo di marmellata di fichi.»
Temperance appoggiò l'arco e si portò una mano sullo stomaco. «Dimmi di non andare a cercare mio cugino in cucina, perché temo che me le mangerò tutte io!»
«Pensa a loro come a una debolezza necessaria. Non si dice infatti che l'ozio sia il padre di tutti i vizi? Ecco, tenendo le mani occupate e non oziose per stringere una focaccina per parte, ci stiamo in effetti occupando della nostra salvezza.»
«Adoro il tuo modo di pensare.» Temperance salì i gradini della terrazza, quindi le disse da sopra la spalla prima di sparire in casa: «Tira un paio di frecce per me. Se Daniel dovesse uscire, voglio avere qualcosa di cui vantarmi, nella speranza che non si accorga dello scempio che ho provocato con la siepe».
Briar riprese a scoccare le frecce della sua faretra, conficcandole nel centro del bersaglio dell'amica e pensando a come le avrebbe spiegato della sfida.
Distratta da quei pensieri, sentì a un tratto uno strano formicolio sul collo, come se qualcuno la stesse osservando. Molto probabilmente era Temperance, tornata per dirle che non aveva resistito alla tentazione delle focaccine. Tuttavia, guardandosi alle spalle, si rese conto di essersi sbagliata. Non era affatto l'amica.
Rimase senza fiato, sgranando gli occhi. «Voi!»
Era lo sconosciuto di quella mattina!
Non ricordando di avere l'arco carico in mano, le partì una freccia che si librò in aria per finire nel rododendro sul lato della terrazza.
Appoggiandosi casualmente allo stipite, le gambe lunghe incrociate alle caviglie, la canaglia sollevò un sopracciglio nero quando udì il fruscio delle foglie, ma non si mosse. Chiaramente, era abituato agli attacchi improvvisi: frecce volanti, baci in pubblico, debuttanti decise ad appropriarsi della sua carrozza...
«Se non ricordo male, una volta ho detto che sareste stata un'ottima tiratrice con la pistola, quando un certo mascalzone vi ha accusata di avere del belletto sulle labbra. Ora mi rendo conto di essermi sbagliato. Avrei rischiato piuttosto di morire per colpa di una freccia.»
«Dipende dalla vostra prossimità.» Briar era senza fiato per via dell'incredulità e forse per il timbro profondo della voce dell'uomo. Il suono greve e malizioso si era fatto strada nel suo stomaco come era già accaduto allora. «Che cosa ci fate qui?»
Le parve che il tempo non fosse nemmeno passato dal loro ultimo incontro, sebbene fosse chiaro che era trascorso, perché in qualche modo il suo aspetto era cambiato, la sua pelle era più scura, il volto più magro e pervaso da un generale senso di stanchezza che non aveva avuto prima. Erano invece rimasti inconfondibili gli angoli scolpiti delle guance e della mandibola, l'abbondanza del suo naso e gli occhi scaltri del colore dell'ebano.
«Sto solo godendo della bellezza del giardino, nonché del fortunato incontro con una vecchia conoscenza.» Si staccò dalla porta e attraversò la terrazza dirigendosi verso di lei.
Briar sentì un rossore salirle sulle guance. Era stato sciocco condividere una carrozza con un uomo che non aveva dimostrato alcuno scrupolo a praticare attività inopportune sul marciapiede davanti a Sterling's. Chissà di quali altre azioni stuzzicanti era capace un libertino incorreggibile come lui...
Quei pensieri si spezzarono non appena le sovvenne un'idea inquietante. «Di certo non siete... Non potete essere... il cugino Nicholas?»
L'uomo si inchinò. «Proprio lui.»
No! Quando aveva accettato la sfida, era stata sicura che il cugino di Temperance avrebbe posseduto alcune qualità ammirevoli. Ma quella canaglia?
Accidenti! Come avrebbe mai potuto convincere un uomo come lui a sposarsi? E, cosa ancora più importante, come avrebbe trovato una donna sana di mente disposta a diventare la moglie di un tipo del genere?
A quanto pareva, le sue scarpette avevano perso ogni briciolo di fortuna.
«Andiamo, Briar» disse lui con spudorata malizia, un bagliore peccaminoso negli occhi scuri. Spalancò quindi le braccia. «Venite a dare un bacio al caro cugino.»