«Le focaccine ieri sera: se le aveste fatte girare una sola volta, credo che sarebbe bastato.»
Jane Austen, Emma
Briar aprì lo sportello della vetrina e ripose le iscrizioni in archivio, zittendo la carta frusciante. Non voleva essere colta in flagrante. Usare le risorse dell'agenzia per agevolare le sue imprese non era del tutto in regola. Tuttavia, poiché portare un elenco di clienti a Nicholas per suo cugino avrebbe poi avuto un effetto positivo sull'agenzia, si rifiutava di sentirsi in colpa.
Per quanto riguardava l'altra sua indiscrezione – baciare un libertino nella sala della musica della sua benefattrice – be', cercava di non pensarci.
Tuttavia, non pensare a quel bacio sarebbe stato come non prestare attenzione alla pioggia che si trasformava in un temporale di cioccolata.
Non c'era modo di ignorarlo, né di dimenticare come lui aveva reagito.
Chiaramente era stata un fiasco totale. Tuttavia arrendersi non era da lei. Dopotutto, non era riuscita a colpire il centro del bersaglio con la prima freccia. Come qualsiasi altra attività, immaginava che baciare richiedesse pratica.
Pratica di baci con Nicholas... mmh. Nell'istante stesso in cui l'idea le balenò in mente, il suo volto si accalorò, le labbra le pizzicarono...
E fu così che la trovò Ainsley, in piedi per metà dentro e per metà fuori dalla vetrina, premuta contro il vetro per raffreddare le guance.
«Uno strano posto per sognare a occhi aperti» commentò la sorella, un bagliore divertito negli occhi.
Briar si drizzò. «Non stavo sognando. Stavo solo...» Ma non le venne in mente niente. Oh, quanto avrebbe voluto avere la capacità di inventare scuse all'istante come Jacinda. Accidenti. «Cos'hai in mano, un'altra iscrizione cancellata?»
«Non questa volta.» Ainsley si astenne dal commentare oltre e le passò la busta.
Vedendo che veniva da Temperance, Briar l'aprì. «Sono stata invitata per un tè oggi.»
Perfetto! Ne avrebbe approfittato per consegnare l'elenco a Nicholas di persona.
Ainsley tuttavia era di tutt'altra opinione. «Non so se sono contenta che tu vada. Ho sentito dire dallo zio Ernest che Lord Edgemont è tornato in città. Una cosa era andare a trovare la tua amica nella residenza di città di Sua Signoria mentre lui era fuori, ma ora...»
«Non crederai mica che intenda prendermi con la forza di fronte a sua zia e ai cugini? A meno che non sia implicito nella lettera. Aspetta, fammela rileggere.» Briar sbuffò, girando con fare teatrale la pagina avanti e indietro. «No. Proprio come sospettavo, sono stata invitata soltanto per un tè.»
«Sono solo preoccupata per il tuo ben...» Ainsley si interruppe, stringendo le labbra mentre espirava frustrata dalle narici. «Poiché è il figlioccio della Duchessa di Holliford, immagino che questa conoscenza fosse inevitabile. Tuttavia, in passato, Sua Grazia ha evitato di parlare del loro rapporto a causa della reputazione dell'uomo, il che mi basta per avvertirti di stare in guardia.»
Briar desiderava predicare alla sorella riguardo alla fiducia e dirle che non si sarebbe fatta abbindolare da un libertino. Ma poiché lo aveva già baciato, le fondamenta del suo pulpito non erano solide. Perciò, si limitò ad annuire.
«E va bene» concluse Ainsley con riluttanza. «Jacinda porterà la carrozza a Mayfair. Perciò, se vuoi andare, faresti bene a sbrigarti.»
Quel pomeriggio, Daniel entrò di forza nello studio di Nicholas, una vestaglia di seta blu stretta in vita e una lettera mezza accartocciata nel pugno.
«Una convocazione, cugino? Mi hai mandato una convocazione quando avresti potuto bussare alla porta della mia camera?» Sbatté il foglio sulla scrivania, i capelli castani arruffati che gli ricadevano sulla fronte, dandogli l'aspetto di un eroe tragico.
Nicholas si alzò dalla sedia, stanco della sua continua tristezza. Sporgendosi in avanti, appoggiò la punta delle dita sul piano in noce scuro, sovrastando il cugino di almeno mezza testa. «L'ultima volta che ho bussato alla tua porta, il valletto mi ha informato che eri ancora sotto le coperte. All'una e un quarto del pomeriggio. Devi smettere di comportarti come se la tua vita fosse finita.»
«Genevieve ha sposato un altro. La mia vita è finita!» Daniel si accasciò sulla poltrona più vicina, le braccia drappeggiate molli sui braccioli. «Non sai che cosa si provi a vedere il tuo mondo finire a soqquadro.»
Non lo sapeva? Nicholas ricordava bene come una volta la sua vita fosse stata fatta a brandelli in un attimo ma, apparentemente, il cugino lo aveva dimenticato. Tanto meglio per lui, suppose.
Ignaro delle memorie amare che aveva risvegliato, Daniel continuò a piangersi addosso. «Tu non provi sensazioni profonde quanto le mie, perciò non puoi immaginare che cosa si senta a svegliarsi ogni mattina con una parte dell'anima che ti manca.»
Nicholas strinse i denti, ringoiando la risposta che Miss Smithson lo aveva solo usato fin dall'inizio. Quella consapevolezza tuttavia non avrebbe aiutato il cugino. Doveva superare il momento e trovare una donna che lo meritasse. «In ogni modo, è passato un anno e...»
«No» lo interruppe Daniel, fissando il soffitto. «Sono passati sette mesi e quattro giorni da che se ne è andata.»
Nicholas gemette. Dopo mesi in cui aveva lasciato che il cugino rimuginasse in campagna, era diventato chiaro che un approccio distaccato nei confronti della sua tristezza non aveva funzionato. Quel giorno, il suo piagnisteo incessante non solo lo stava appesantendo di colpa, ma gli stava anche dando sui nervi.
Tuttavia, se voleva essere onesto, era stato di cattivo umore da quando era uscito dalla residenza della Duchessa di Holliford la sera precedente. Aveva trascorso la serata a camminare avanti e indietro, arrabbiato e infastidito oltre ogni misura con la piccola Miss Briar Bourne.
Avrebbe dovuto dirglielo che non era mai stata baciata, ma poiché non lo aveva fatto, quello che lui aveva inteso come un puro svago era andato a monte da subito.
Lo aveva capito nell'istante in cui la bocca di Briar era scesa sulla sua e una scossa lo aveva percorso, come se fosse stato colpito da un fulmine. Era rimasto senza respiro, gli era venuta la pelle d'oca e aveva infine provato la sensazione inspiegabile di non essere all'altezza di quella situazione. Lui.
Perciò si era comportato come avrebbe fatto ogni uomo sano di mente. Si era scagliato contro di lei perché non gli aveva rivelato quel segreto.
Poi aveva commesso l'errore di abbassare lo sguardo sulle sue labbra e – per la miseria! – aveva desiderato averne ancora. Aveva sentito una corrente tesa vibrargli addosso, quasi fosse stato un parafulmine desideroso che arrivasse un'ennesima tempesta. In effetti, continuava a sentirsi in quel modo, carico di elettricità.
Come uno sciocco aveva addirittura chiesto a Temperance di invitare l'amica per un tè quel giorno, desideroso che incontrasse Daniel e cominciasse a cercargli una moglie.
Da quando la risposta di Briar era arrivata al mattino, aveva guardato in continuazione l'orologio, in attesa che suonassero le quattro.
«Scenderai a prendere il tè oggi» ordinò severo indicando quindi la porta librando una mano in aria. «Ora vai e ripulisciti. Tua sorella ha invitato un'amica.»
«Prenderò il tè nella mia stanza.»
Nicholas trafisse il cugino con lo sguardo. «È una tua scelta, ma se non scenderai e non prenderei parte a questo minimo evento mondano, organizzerò un ballo in tuo onore la prossima settimana e ti legherò a una colonna nel centro della stanza così che tu non possa scappare.»
Daniel si drizzò sulla poltrona e lo fissò a bocca aperta come se stesse guardando uno sconosciuto. Poi, con un gemito disperato, si alzò e si trascinò fuori dallo studio.
Nicholas pensò che avrebbe dovuto tenere una fune alla mano.
E poi, prima di tornare ai libri mastri, si accorse che stava guardando l'orologio. Di nuovo.