18

«Le presentazioni saranno imbarazzanti, in qualsiasi momento avvengano; prima verranno fatte e meglio sarà.»

Jane Austen, Emma

Se Briar avesse saputo che il bacio all'opera sarebbe stato il suo unico momento di tregua per un'intera settimana, avrebbe trattenuto Nicholas in quell'alcova.

L'agenzia era stata improvvisamente travolta da un turbinio di attività. Le debuttanti erano infatti all'affannosa ricerca di un buon partito prima di ritirarsi nelle tenute di campagna per l'estate. Da quelle nuove clienti venne a conoscenza di alcuni commenti espressi da chi l'aveva vista ad Almack's o all'Opera al braccio di Lord Edgemont. Tuttavia, poiché al ricordo di quelle serate tendeva ad arrossire, con maestria distoglieva l'attenzione dall'argomento, chiedendo invece dei loro interessi. Da lì, manteneva l'atteggiamento affabile e professionale.

Fu mostrato molto interessamento per Lord Edgemont. Un po' troppo, per i suoi gusti. A ogni domanda sul suo conto, rispondeva sempre scrollando le spalle. «Temo di non conoscere abbastanza bene Sua Signoria da sapere la risposta.»

Eppure, non poteva non chiedersi se la voce della sfida che aveva accettato avesse raggiunto orecchie attente.

Tuttavia, nascose quella preoccupazione nel corsetto e continuò a lavorare. Non aveva mai riempito tante domande d'iscrizione, né aveva servito tanti tè in salotto prima di allora. Alcuni giorni Mrs. Tisdale e il suo lavoro a maglia non trovavano posto in cui sedersi. Perciò la donna si era messa a entrare e a uscire dagli uffici con la scusa di rassettare, quando in realtà origliava di nascosto. Lo zio Ernest la riteneva una scocciatura, mentre Briar apprezzava le informazioni che le rivelava riguardo alle nuove clienti. Sorprendentemente, Ainsley e Jacinda si erano affezionate alla vedova. Avevano addirittura pensato di invitarla a cena, ma lo zio aveva messo fine all'idea.

Briar avrebbe dovuto essere euforica di tanta attività. L'Agenzia Matrimoniale Bourne era finalmente sbocciata!

Tuttavia il momento non poteva essere peggiore. Aveva incontri tutti suoi da combinare. Non aveva un minuto libero per tornare all'ufficio del giornale. La settimana precedente, quando aveva pubblicato gli annunci, era andata con lo zio, rivelandogli parte del suo piano e pregandolo di non dire nulla ad Ainsley.

Gli annunci erano circolati una sola giornata e Briar aveva ricevuto più di una decina di lettere. Ne voleva tuttavia di più, pensando già a un incontro tra i migliori candidati. Era possibile che ce ne fosse un'altra decina là fuori, ma lo zio Ernest era ormai troppo stanco alla fine della giornata per riportarla all'ufficio.

In effetti, erano tutti stanchi. Mrs. Darden era ormai ricoperta di un lieve velo di farina con tutte le focaccine che preparava. Ainsley non aveva più tempo di attaccare briga con Mr. Sterling e per questo sembrava ogni giorno più piccata. Jacinda sbadigliava spesso e aveva un aspetto piuttosto pallido. E lo zio era in preda all'astinenza da lettere d'amore. Proprio quella mattina, lo aveva visto che fissava il vassoio vuoto nell'angolo della scrivania e lo aveva sentito sospirare.

Quella giornata sembrava non finire mai.

Le sue speranze furono risollevate più tardi quel pomeriggio quando riuscì a convincere lo zio a uscire per una passeggiata in città. Passarono così al giornale.

Lui si fermò davanti al carretto dei fiori dalla parte opposta della strada, dove si trovava un capannello di donne con cui amoreggiare. Ciò lo avrebbe rallegrato.

Lei proseguì ed entrò nell'ufficio. La stanza dall'aria mal ventilata era piena di affissioni appese alla parete pannellata, nonché di mensole quadrate che dal pavimento arrivavano al soffitto basso. Un'enorme scrivania era posta nel mezzo dietro a una mezza parete divisoria, con un cancelletto a battente.

Davanti a Briar c'era un uomo alto e l'intermediaria che era in lei prese nota dei suoi capelli biondo scuro ben tagliati, della giacca marrone, degli stivali assiani lucidi e del cappello a cilindro che aveva in mano. Un gentiluomo, dall'aspetto.

Si chiese se fosse sposato o se fosse invece interessato a trovarsi una moglie. Dopotutto, all'agenzia non sarebbero guastati alcuni gentiluomini in più per rispondere alle recenti richieste delle loro clienti. Ma al momento avevano le mani piene, perciò zittì l'impulso di investigare.

«Non sono arrivate altre lettere da ieri» vociò l'editore, la punta di una matita stretta tra i denti. Non staccò mai gli occhi dai fogli che aveva davanti a sé.

L'uomo estrasse una moneta dalla tasca e l'appoggiò sul tavolo. «Vi sarei grato se poteste pubblicare l'annuncio per un'altra settimana.»

«Le pagine sono già piene. Non mi dispiacerebbe prendere i vostri soldi, ma, dopo un mese, state perdendo tempo. Compratele un cane nuovo e fatela finita.»

Briar si impietosì per quel gentiluomo che si stava impegnando tanto per ritrovare un cane perso in quella città.

L'uomo si allontanò dalla scrivania. Vedendola alle proprie spalle, la salutò toccandosi il cappello. Poi si fermò di colpo e sgranò gli occhi. «Miss Bourne.»

Secondo Briar, non si erano mai incontrati. Tuttavia c'era qualcosa di familiare nei suoi bei tratti e nella forma dei suoi occhi marroni. Le ricordavano quelli di Ainsley...

E d'improvviso fu scossa dai brividi.

«Mr. Cartwright, la vostra moneta» sbraitò l'editore.

«Cartwright.» Briar rimase senza fiato.

Ma certo! Era il figlio di suo padre. Però... era più grande di quanto avesse pensato. Doveva avere almeno ventisei anni. L'età di Ainsley. Il che significava che il genitore non aveva iniziato una nuova famiglia dopo la nascita di Briar, come le era stato fatto credere, ma l'aveva mantenuta sin dall'inizio del matrimonio con la loro madre.

Si chiese se Ainsley lo sapesse... Ovvio, doveva.

Si sentì ferita, perché avrebbe voluto saperlo anche lei. Ogni volta che si era immaginata di incontrare i fratellastri, si era vista calorosa e affabile. E invece si ritrovò silenziosa e stordita.

Mr. Cartwright – non sapeva nemmeno il suo nome di battesimo – si tolse il cappello e se lo portò sul cuore. «Perdonatemi. Non avrei mai voluto che ci incontrassimo in questo modo.»

«Come mi avete riconosciuta?»

«Ho visto un vostro ritratto in miniatura tra le cose di mio...» Si schiarì la voce. «Nostro padre.»

«Oh.» Quell'ultimo sospiro la lasciò senza fiato. La miniatura probabilmente non era sua, ma della madre. Da quello che sapeva, l'unico ritratto che il genitore aveva di lei era stato dipinto una decina di anni prima.

In effetti, era stata così piccola quando se ne era andato che quasi le era sembrato il personaggio di un libro di fiabe. E quando sua madre era morta, era diventato il cattivo e, poiché non le erano mai piaciute le storie dei cattivi, quella l'aveva rinchiusa all'interno del cuore. Tuttavia parte della realtà che aveva portato alla morte di sua madre era ferma davanti a lei, in carne e ossa.

Si sentì trasportata indietro nel tempo, al giorno in cui la madre era impallidita e una lettera le era caduta dalle mani.

Li ha riconosciuti tutti, aveva detto con un singhiozzo spezzato, e ora vivono nella nostra casa come se noi non fossimo mai esistiti.

Briar aveva cercato di afferrarla prima che si accasciasse a terra, ma erano finite tutte e due sul pavimento, le gonne aggrovigliate. Chi, madre?

Tuo padre e la sua... No. È solo un incubo, niente più. Mi basterà stendermi un po'.

E invece da allora raramente si era alzata dal letto. Finché, gradualmente, si era spenta.

Alle sue spalle, Briar sentì il campanello della porta tintinnare. Credendo si trattasse dello zio Ernest, attese che la raggiungesse e parlasse per lei. Che la salvasse da quell'imbarazzo.

Ma non era lo zio.

«Eccoti, Briar» disse Temperance, arrivandole al fianco. «Ho riconosciuto la carrozza di tuo zio qui davanti e ho pregato Nicholas perché si fermasse per salutarti e per invitarvi a prendere un gelato a Berkeley Square.»

Ancora ammutolita, Briar girò la testa e vide il momento preciso in cui lo sguardo dell'amica si posò su Mr. Cartwright. Temperance rimase immobile. Un rossore le salì sulle guance e gli occhi le brillarono come se un raggio di sole fosse stato intrappolato nelle loro profondità d'ambra. Lei ebbe così l'inquietante presentimento di avere appena assistito allo scoccare della fatidica scintilla.

No, ti prego no, fu il suo primo pensiero, seguito da un'ondata di senso di colpa.

Strappata dal suo stupore, ebbe un poco di lucidità di mente per fare le presentazioni. «Mr. Cartwright.» Fu strano pronunciare il suo nome. «Questa è la mia amica, Miss...»

«È un piacere conoscervi!» esclamò Temperance trepidante, ancora prima che Briar avesse terminato di presentarla.

«Prescott.»

Chiaramente troppo abbagliata per intuire il loro legame, Temperance allungò la mano guantata.

Lui si chinò su di essa. «John Cartwright, al vostro servizio.»

John. Suo fratello si chiamava John. Briar non sapeva altro di lui. Allora ricordò il cane sparito e si chiese se appartenesse per caso a sua figlia. Se aveva anche una nipote. «Ho sentito che state cercando un cane perduto che appartiene a vostra...»

«Sorella» le rispose lui, mortificato.

Aveva una sorella. Un'altra sorella. Ma come avrebbe potuto saperlo? Suo padre non le aveva mai mandato una lettera per informarla, né si era mai preso il disturbo di chiedere come stessero lei e le sue sorelle. Non era stato presente al funerale della madre, né negli anni che avevano portato alla sua morte. Era svanito dalle loro vite come il mago di una fiera, solo senza la nuvola di fumo e l'odore dello zolfo aleggiante nell'aria.

Michael Cartwright, Lord Frawley, non aveva lasciato nulla di sé alle spalle. A parte le figlie.

Mentre guardava il fratellastro, Briar desiderò chiedergli quanto spesso vedesse il padre. Vivevano nella stessa casa? Quanti fratelli c'erano in tutto?

Ma nessuna di quelle domande era appropriata in quelle circostanze.

Per fortuna, Temperance intervenne quando lei non riuscì a trovare le parole per continuare. «Generoso da parte vostra prendervi tanto disturbo per ritrovare il cane di vostra sorella. Lo spaniel della mia vicina di recente ha avuto otto cuccioli. Sono adorabili, con il pelo morbido e ondulato e i nasi umidi. Una volta svezzati, sono sicura che Lady Penrose cercherà nuove case per alcuni di loro. Se volete, posso chiedergliene uno per voi. Oh, ma non vorrei sembrarvi insensibile. Sarebbe meglio se ritrovaste il vostro cane. Vivo, è ovvio. Spero che ci riuscirete.»

Nemmeno Temperance stava trovando le parole giuste. Se possibile, l'incontro era appena diventato ancora più imbarazzato. Ora tra di loro aleggiava anche la possibile morte del cane.

«Vi ringrazio, Miss Prescott. Mi piacerebbe continuare questa conversazione, ma ho un appuntamento. È stato davvero un piacere conoscervi.» John si inchinò. «E voi, Miss Bourne, spero che ci incontreremo ancora. Ma se la pensate come le vostre sorelle e preferite di no, vi capisco.»

Era peggio di quanto pensasse. Non solo le sorelle sapevano di lui, ma avevano anche deciso per lei di non incontrarlo.

Briar non esitò prima di annuire. John era suo fratello. «Mi piacerebbe.»

«Bene. Allora a presto» concluse lui, rimettendosi il cappello in testa e uscendo dall'ufficio.

Nello stesso momento, la campanella suonò e Nicholas apparve sulla soglia. I due si passarono vicini, uno che entrava e l'altro che usciva.

Allora lo sguardo di Nicholas si posò su di lei, come se avesse intuito che qualcosa l'aveva turbata. Ed era vero. Era arrabbiata e ferita.

D'istinto, puntò i piedi verso di lui, sapendo che se c'era qualcuno che poteva rimetterla in sesto era Nicholas. Era sempre sicuro e fiducioso, perciò provò l'incontenibile desiderio di trovare conforto tra le sue braccia.

Fu tuttavia lui ad avvicinarsi. «Buongiorno, Miss Bourne. State... poco bene? Avete bisogno di aiuto?»

Briar fu grata che glielo avesse chiesto, che le avesse lasciato decidere se aveva bisogno d'aiuto, a differenza della sua famiglia. «Vi ringrazio per il pensiero, più di quanto possiate immaginare, ma sto bene.»

Allora Temperance, che si era spostata alla finestra per guardare Mr. Cartwright allontanarsi, tornò da loro, le mani guantate premute al petto. «È l'uomo più bello che abbia mai visto. Così gentile e cortese. Briar, ti prego, dimmi che non sei innamorata di lui.»

«Non lo sono. Ci siamo appena incontrati.»

«Splendido!» L'amica inspirò tutta l'aria della stanza, quindi la rilasciò in un sospiro struggente. «Nicholas, avresti potuto fermarlo. Dopotutto, avevi promesso di catturare il gentiluomo che ti avrei indicato per poi trascinarlo all'altare. Be', te lo sto indicando.»

Nicholas stava ancora guardando Briar, sempre più accigliato. «Chi ha appena incontrato mia cugina?»

«Mr. John Cartwright» rispose sognante Temperance.

Nello stesso istante, Briar disse: «Mio fratello».

Nicholas aveva portato tutti a prendere il gelato. Quello che era stato un gruppo di tre persone, con lui e i cugini, includeva ora anche il visconte e Briar. Tuttavia, dopo l'incontro inaspettato con il fratello, lei non era allegra come al solito.

La curva delle sue labbra poteva forse ingannare gli altri e convincerli che lo sgomento di quell'esperienza fosse passato, ma lui sapeva che non era vero.

Sentiva l'assenza della sua vivacità come se gli avessero salassato una pinta di sangue.

Il suo primo istinto era stato quello di colmarla di dolci. Dopo il gelato, era entrato in una pasticceria per comprare una scatola di confetti per lei e per Temperance. Si era così guadagnato uno squittio deliziato dalla cugina, ma solo un sorriso cortese da parte di Briar e un grazie mormorato.

In quel momento stavano passeggiando al parco, sotto un filare di alberi. Stava calando l'imbrunire e l'ora che normalmente portava la gente lì era passata, dando così l'impressione che si trovassero nelle tenute private di una proprietà.

Nicholas aveva mandato Adams avanti affinché li attendesse alla fine del giro con la carrozza.

Daniel ed Eggleston si erano trovati uniti dall'interesse per la poesia e avevano discusso versi per gran parte del pomeriggio, ignari del trio che era rimasto alle loro spalle. Temperance, che era la più sollevata dal fatto che Briar non fosse affatto turbata dall'incontro con John Cartwright, si fermava di tanto in tanto a raccogliere fiori sospirando, così intrappolata in quella nuova infatuazione da non rendersi conto che la luce dell'amica si era velata.

«Non c'era bisogno che mi riempiste di dolci per rallegrarmi» gli disse Briar a bassa voce, il passo lento a tempo con il suo. «Vi ho detto che non sono turbata per quello che è successo nell'ufficio del giornale.»

«Non ne ho mai dubitato.»

Lo guardò torvo. «Non mentitemi. Capisco ciò che pensate dal tono della vostra voce.»

«Allora non ingannatemi nemmeno voi. Anch'io capisco. Sebbene sappia solo quello che mi avete raccontato riguardo all'abbandono di vostro padre e alla morte di vostra madre, avete tutto il diritto di essere infastidita.»

«Ma non lo sono» insistette lei. «Il fatto che le mie sorelle non si siano mai prese la briga di discuterne con me non è poi una novità.»

«Forse stavano cercando di proteggervi. Risparmiarvi il dolore che sapevano avreste provato.»

«Di sicuro è quello che pensano. Avrebbero tuttavia dovuto rispettarmi abbastanza da raccontarmi la verità, permettendomi di decidere, invece di tenermi all'oscuro. E per quanto riguarda voi...» Librò un indice in aria. «... non ho bisogno che mi rabboniate con i dolcetti come se fossi una bambina.»

«Se voglio comprare abbastanza pasticcini da riempirci una carrozza, con la minima possibilità che potrebbe strapparvi un sorriso, lo farò» sbottò lui, non sapendo perché d'improvviso fosse tanto infastidito.

«Be', sono più forte di quanto pensiate.» Lei tirò su con il naso, una linea quasi impercettibile di lacrime negli occhi.

Nicholas si sentì una vera canaglia. Senza nemmeno pensarci, allungò la mano per stringere quella di Briar. La pressione fugace dei palmi guantati placò poco il bisogno che sentiva di stringerla fra le braccia. Quel piccolo gesto, tuttavia, era l'unico che potesse rischiare.

«Lo so, tesoro. Voi...» Continuò a camminare senza guardare dove mettesse i piedi. «... merda!»

Ed era ancora fresca. Fumante e un po' molle, probabilmente di uno dei suoi cavalli.

Al suo fianco, Briar singhiozzò. Si coprì quindi la bocca con le mani e cominciò a ridacchiare, gli occhi sempre lacrimosi, ma sorridenti. E così Nicholas si rese conto che avrebbe pestato centinaia di mucchi di sterco pur di sentire quel suono.

Spostandosi a lato del sentiero, strappò un ramo dal cespuglio più vicino e riparò al meglio il danno.

«Spero non fossero i vostri stivali portafortuna» lo canzonò lei.

«E invece lo sono. Per questo, mi dovete una ricompensa.» Notò un ghigno sulle labbra di Briar.

«Perché è colpa mia se non guardavate davanti? Oh, e va bene, che cosa dovrò fare?»

Nicholas pensò in fretta. Forse troppo, perché disse la prima cosa che gli venne in mente quando gli balenò davanti il ricordo del loro primo incontro. «Venite con me alla caffetteria una sera.»

Briar si portò le mani sul cuore. «Potrò finalmente scoprire che cosa gli uomini desiderano in una sposa. Oh, Nicholas! Siete disposto a farlo? Per me?»

Lui aveva saputo che quell'offerta l'avrebbe resa felice, ma non si era fermato a pensare a come sarebbe stato impossibile realizzarla. «Ho parlato troppo presto. Non funzionerebbe mai. Dovreste vestirvi o come una sgualdrina...»

«Vedete di non offendere ancora una volta le mie labbra.»

«... o come un uomo. E no, sono piuttosto affezionato alle vostre labbra.»

Briar arrossì incantevole e abbassò lo sguardo sulla sua bocca, ricambiando il sentimento senza dire una parola. E allora Nicholas non riuscì a resistere alla tentazione. Con un'occhiata rapida per assicurarsi che fossero coperti dal fogliame, abbassò la testa per rubarle un bacio.

Lei tuttavia indietreggiò, sollevando una mano. «Sarebbe la rovina per entrambi. Inoltre, prima mi dovete una lezione. Magari dopo l'uscita alla caffetteria?»

«Nemmeno un cieco vi scambierebbe per un uomo. Come vi ho detto, ho parlato a sproposito. È un'idea assurda. Non potreste mai nascondere tutte quelle forme deliziose.»

Briar puntò le mani sui fianchi, mettendone in mostra un paio. «Non sopporto di essere sottovalutata. Si dà il caso che possieda già un completo da uomo. Qualche anno fa ho interpretato la parte di un damerino in una delle recite che le mie sorelle e io allestivamo per la Duchessa di Holliford. E se vi dico che posso vestirmi da uomo...»

«Allora mi aspetto che me lo dimostriate» la sfidò lui, guadagnandosi un altro sorriso radioso. Onestamente, era disposto a tutto a quel punto pur di vederla felice.

«Non voglio che lo sappia nessuno, nemmeno Temperance. Non so quindi come riuscirò a uscire da sola.»

«Se mia zia vi invitasse a cena e mandassi la mia carrozza a prendervi, riuscireste a venire senza vostro zio?»

«Credo di sì. Mio zio è molto meno sospettoso delle mie sorelle. E voi gli piacete, il che gioca a nostro favore.»

«Allora dopo cena potrei riaccompagnarvi a casa, con la scusa di lasciarvi lì prima di proseguire e trascorrere la serata da Sterling's. Poiché mia zia non è tanto severa con queste formalità quanto la vostra famiglia, sono sicuro che non obietterà.»

«Mmh... in ogni caso, non potremo fermarci molto senza destare sospetto. Oh, ma desidererei tanto vedere com'è l'interno di una caffetteria, sentire ciò di cui parlano gli uomini, scoprire che cosa cercano davvero in una moglie...»

«Se fossi in voi, non ci spererei troppo.»

«Sciocchino. Se foste in me, trovereste sempre qualcosa in cui sperare. E punto ancora a trovarvi la sposa perfetta. In agenzia abbiamo decine di nuove clienti, così tante che non ho avuto il tempo di vagliarle tutte.»

Nicholas decise di non ricordarle quanto quei suoi sforzi fossero futili. «Nuove candidate per Daniel?»

«Ne ho due. L'unico problema è che hanno lo stesso temperamento timido. Ho paura che, una volta lasciati da soli dopo le presentazioni, non scambierebbero una parola. Mi chiedo come sia riuscito a fidanzarsi in passato, a meno che Miss Smithson non avesse una natura esuberante e lo avesse fatto uscire dal guscio.»

«Qualcuno la definirebbe audace» ribatté lui. «Rimaniamo sulle ragazze timide. Farò sì che si conoscano.»

Da sotto la falda del cappellino, Briar lo guardò con attenta curiosità. «Vi preoccupate degli incontri di Daniel molto più di quanto non facciate per Temperance. Per caso la tristezza di vostro cugino scaturita dopo l'abbandono della fidanzata è stata così grave da provocare questa... ansia che percepisco in voi ogni volta che parlate di lui?»

La vergogna inondò Nicholas con una tale veemenza che quasi non riuscì a ingoiarla. «Sì» le rispose.

Briar annuì pensosa, mantenendo lo sguardo fisso sul suo.

Fu lui a distoglierlo per primo, puntandolo su Temperance, ferma vicino al ruscello, che gettava petali in acqua. «Intendete dissuaderla da Mr. Cartwright?»

«Non potrei mai farlo. Non ha mai mostrato un tale interesse prima d'ora per un uomo.» Briar sospirò, preoccupata. «Ho tuttavia altri candidati per lei. In effetti, spero di presentarle alcuni gentiluomini venerdì in agenzia, e anche delle giovani per Daniel.»

«Se posso fare qualcosa, per favore, ditemelo.»

«Be', se poteste fare sì che la freccia di Cupido vada a segno sarebbe fantastico.»

E allora le sue labbra si piegarono in un sorriso così accattivante che se ne sentì travolto. Per un attimo, il battere costante del suo cuore perse il ritmo. Nicholas si chiese se l'arciere invisibile non avesse accidentalmente scoccato una freccia nella sua direzione.