Epilogo

Per un anno, dopo il decesso di Pilgrim, Jung continuò a essere perseguitato dai propri fallimenti. Dal suo punto di vista, erano molti. I rapporti con Bleuler e Furtwängler si andavano deteriorando giorno dopo giorno. Lo scisma con Freud si approfondì e si allargò. Freud lo aveva sconfessato e perfino denunciato. Al cuore dello scisma c’era l’insistenza di Freud perché la teoria e il metodo venissero codificati e presentati come dogmi. Jung disapprovava i dogmi, e credeva che avrebbero distrutto il valore essenziale dell’analisi. Tutte le porte devono essere lasciate spalancate. Nel 1913, Jung pubblicò Psicologia dell’inconscio, dove argomentò la differenza fra la psicoanalisi di Freud e la propria psicologia analitica. Fu come una dichiarazione di guerra.

Nella comunità degli psichiatri, Jung fu marchiato come “mistico”. Si ritrovò isolato rispetto ai colleghi, che un tempo si erano accodati al suo astro in ascesa. Perfino Archie Menken si ritrasse, nonostante la loro amicizia si fosse sempre alimentata di contrasti creativi. Per Archie, contrasti e discussioni si erano troppo inaspriti, e non valeva più la pena di continuarli.

Non c’era più gioia in Jung, non più vivacità, non più audacia. Era giunto a una svolta e agli occhi di molte persone, compresi quelli di Emma, si era ritirato nel buio.

Lo stesso Jung aveva quell’impressione. La relazione con Antonia Wolff non gli aveva procurato altro che angoscia, la doppia angoscia di non poter rinunciare a lei mentre si afferrava come un uomo che affoga al suo matrimonio. Insisteva, con veemenza crescente, che era suo diritto, non un suo privilegio, vivere sotto lo stesso tetto con due donne che non si sarebbero mai rappacificate fra loro, nonostante le goffe dichiarazioni pubbliche secondo le quali la “rappacificazione” c’era stata da tempo. In quel periodo le visite di Toni a Küsnacht non solo si moltiplicarono, ma si allungarono, da un giorno a intere settimane.

I bambini tornarono e furono di nuovo allontanati. Quando erano a casa, consideravano la madre con crescente disprezzo – perché si rivelava tanto accondiscendente – e il padre con perplessità sempre maggiore. Perché giocava, come avevano fatto anche loro, con città di pietre sulla spiaggia e tombe vuote in giardino? Perché porgeva loro dei ciottoli, dicendo di fare attenzione? E chi era quella signora fin troppo silenziosa, sempre seria, che dovevano chiamare zia Toni?

L’atmosfera di Küsnacht era tesa e logorante. I pasti erano silenziosi. Si andava e si veniva all’improvviso, senza spiegazioni. Era una casa di porte chiuse.

Nell’estate del 1913, mentre i bambini e la loro governante Albertine erano di nuovo a Sciaffusa, Jung fece una serie di sogni che si sarebbero dimostrati il nadir della sua depressione e del suo isolamento.

Nel primo, sognò che il letto di Emma – non dormivano più nella stessa camera – era un pozzo con muri di pietra. Era una tomba, e attorno aleggiava un’aria di antichità. Poi, scrisse nel suo diario, ho udito un sospiro profondo, come se qualcuno stesse rendendo lo spirito. Una figura che somigliava a mia moglie si è levata nel pozzo e si è messa a fluttuare all’insù. Indossava una veste bianca nella quale erano intessuti curiosi simboli neri.

Jung aprì gli occhi e andò a svegliare Emma. Le chiese di farle da testimone controllando l’ora. Erano le tre di notte.

Jung tornò a letto convinto di aver ricevuto un avviso, un messaggio per mezzo del sogno.

Alle sette squillò il telefono per informarli che un’amata cugina di Emma era morta alle tre del mattino.

Prescienza.

Era uno dei concetti più controversi nel mondo della psichiatria. Freud l’aveva sempre avversato, sostenendo che c’erano troppe fandonie nell’idea dei medium e degli altri che sostenevano di prevedere il futuro. Ma Jung ci credeva, anche se con cautela. Fino a quel momento non era mai riuscito a esprimere ad alta voce il suo convincimento.

Non era la prima e non sarebbe stata l’ultima volta che la prescienza doveva avere un ruolo nella vita di Jung in quell’anno cupo. Altre morti, altri incidenti erano stati adombrati, sia in sogni sia in “visioni a occhi aperti”. Un barcaiolo annegato era giunto a riva dopo una tempesta che era avvenuta solo nella mente di Jung, mentre si trovava in giardino. Il corpo di un cane era apparso in sogno la notte prima che l’animale fosse ucciso su una strada vicina. Ospiti che sarebbero dovuti arrivare avevano telefonato per dire che erano stati trattenuti. Pochi istanti prima, mentre contemplava la tavola apparecchiata, Jung aveva d’impulso tolto la loro argenteria per riporla nella credenza, senza sapere perché.

Dopo la pubblicazione della sua opera nell’autunno del 1913, Jung ricevette due visioni che l’avrebbero ossessionato e turbato per tutta la vita.

La prima fu durante un viaggio. Come può succedere a chiunque viaggi in treno, la sua mente prese a staccarsi dal panorama oltre il finestrino per posarsi su altre montagne, altre valli, altre pianure, altri fiumi; interi paesaggi diversi da quello che stava attraversando. All’improvviso, quelle piacevoli fantasticherie furono turbate da un rumore lontano, una serie di rumori lontani che a Jung parvero tanto reali che guardò fuori dai finestrini su entrambi i lati della carrozza per vedere da dove venissero.

Ma non c’era nulla da vedere. Nulla di ciò che appariva poteva spiegare quei rumori. Qualcosa di gigantesco si stava squarciando alle sue giunture. Una muraglia di dimensioni e peso inimmaginabili stava crollando da qualche parte a nord. Il cielo si oscurò e il rumore crebbe fino a diventare insopportabile, composto da grida umane e animali, da edifici che precipitavano, acque che si innalzavano e piogge torrenziali.

Scrisse Jung nel suo diario: Ho visto una mostruosa inondazione che copriva tutte le pianure fra il Mare del Nord e le Alpi. Quando è giunta alla Svizzera, ho visto le montagne innalzarsi per proteggere la nostra nazione. Mi sono reso conto che una paurosa catastrofe è in arrivo. Ho visto le poderose onde gialle, i detriti galleggianti della civiltà e i corpi di innumerevoli annegati. Poi tutto il mare si è fatto rosso. La visione è durata circa un’ora...

Due settimane più tardi, mentre Jung era di ritorno da quello stesso viaggio, la visione si ripeté, ancora più vividamente, come scrisse nel diario. Il sangue era ovunque. In quell’occasione, udì una voce interna che gli disse di osservare tutto con cura, perché è tutto vero e sarà così.

Le visioni scomparvero, ma un anno dopo, nella primavera e nell’estate del 1914, si ripresentarono sotto forma di sogni.

Un’onda fredda discendeva dall’Artico e congelava la terra, trasformandola in ghiaccio, scrisse Jung. Ogni pianta verde era uccisa dal gelo. Ho visto tutta la Lorena e i suoi canali gelati, e l’intera regione priva di esseri umani.

In quella occasione, svegliandosi, Jung indossò la vestaglia e uscì in giardino, disperato.

E sarà così, pensò. Sarà così.

Fu allora che ricordò il suo ultimo incontro con Pilgrim, e le parole che l’avevano tanto turbato.

E anche se non ci radunavamo mai durante le grandi battaglie, ci incontravamo sui bastioni sotto i parasole quando si svolgevano divertenti scaramucce, e sempre quando due eroi dovevano combattere in duello, uomo contro uomo o – avrebbe detto qualcuno – dio contro dio.

Con l’occhio interiore, Jung vedeva le figure vacillanti sulle mura di Troia, in mezzo al fumo e sotto la pioggia, sui bastioni in alto sul campo di battaglia.

E pensò: Se fosse vero, sarebbe accaduto così tanto tempo fa che perfino gli archeologi non potrebbero trovare prove della loro presenza.

E aggiunse, con riluttanza: E sarà così.

Era una notte limpida, rischiarata dalla luna, la più bella che si potesse immaginare. Rane e grilli lanciavano richiami e cantavano. Un gufo di proporzioni gigantesche si posò sul camino e controllò il suo regno. Lontano, molto lontano, abbaiò un cane. Gli usignoli cantavano nel bosco, e fuori, sul lago, i caprimulgi si lanciavano in picchiata al chiaro di luna a caccia di insetti. Jung quasi pianse per la perfezione della scena.

Eppure...

«Eppure», disse ad alta voce. «Eppure, siamo tutti in pericolo. Come, con quali mezzi non lo so, ma è vero. Siamo in pericolo».

Era tutto nei sogni e nelle visioni: le muraglie che si aprivano, le maree di sangue, i cadaveri galleggianti, i detriti della civiltà e il paesaggio ghiacciato.

Prescienza.

Sì.

Stava arrivando.

Qualcosa.

Rimase in piedi e vacillò per un attimo, osservato dal gufo. Per la prima volta in vita sua, considerò l’ipotesi di uccidersi. Il peso della depressione era insopportabile, e quale altra risposta c’era oltre a quella terribile certezza? Era fin troppo chiaro. Il mondo sta per finire. Perché attendere?

Nel comodino teneva una pistola carica contro possibili intrusi notturni. Gli veniva in mente così di rado che il ricordo lo sorprese.

Sarebbe stata fredda, contro la sua mano.

Là sul prato, con i piedi bagnati di rugiada...

Si voltò verso la casa.

Il gufo parlò.

Jung alzò gli occhi.

Avrebbe potuto essere il Vecchio – Pilgrim in persona – grigio al chiarore della luna, a guardare.

No, sembrava dicesse.

Aspetta, pensò Jung. C’è sempre tempo per morire.

Allora scese sulla riva del lago e si sedette sulla panchina, fumando un sigaro e tenendo in mano un ciottolo.

Vediamo cosa succede, si disse. Aspettiamo e vediamo cosa succede.

Tutto questo accadde la notte del 31 luglio 1914.

Il 1° agosto, tutta l’Europa si svegliò al suono dei cannoni.

 

La guerra aveva fatto irruzione nella vita quotidiana di tutti per mezzo di titoli di giornale, proclami, emergenze isteriche, e la presenza di profughi era ovunque evidente. La Svizzera, benché neutrale, non ne fu immune. L’orrore si estendeva come una nebbia e si posò su ogni vita. Nessuno poteva sfuggirgli.

Alla clinica Burghölzli i pazienti si moltiplicarono. I casi di demenza triplicarono, quadruplicarono, e infine sfuggirono completamente di mano. I pazzi, sembrava, erano ovunque.

Uomini con occhi che parevano non essersi mai posati su nulla di umano sedevano catatonici davanti a Jung, muti, eppure supplicando il suo aiuto.

Aiuto che Jung non si sentiva più in grado di offrire.

Non aveva più fiducia nelle sue teorie, o nella loro applicazione. Allo stesso tempo, era sorta in lui la paura della pagina bianca. A parte le note che era obbligato a scrivere nei registri dei casi clinici, smise completamente di scrivere. Perfino i diari vennero abbandonati.

In aggiunta a tutto ciò, nel 1914 Emma partorì.

Una nuova vita, forse il risultato della crescente presenza di Toni Wolff e del panico crescente di Emma, che temeva che il marito le venisse sottratto non solo dall’amante ma anche dalla “pazzia” che l’aveva colpito.

Bene.

Era una femmina. Emma la chiamò Emma. Mia. Jung la chiamò seccatura. Si era messa sulla sua strada.

Quanto a Jung, avrebbe potuto essere anche lui un campo di battaglia. Dentro di lui, tutti i cannoni si misero a sparare. Non c’era una sola persona al mondo – con la possibile eccezione di Toni Wolff e, volesse il cielo, sua moglie – che non fosse un nemico. Avrebbe potuto essere diviso come la carta d’Europa: ogni giorno si svegliava nella pioggia e nel fango del Belgio e ogni notte si stendeva in quello che chiamava buio tedesco, una Götterdämmerung di rumore e di furia.

Tutto ciò durò fino alla primavera del 1915.

E poi, una notte...

Per la prima volta dallo scoppio della guerra, Jung prese in mano la penna e cominciò a scrivere.

Non sono parole meravigliose? si chiese, nel suo diario. E poi, una notte...

E poi, una notte ho fatto un sogno. E nel sogno vidi il mio vecchio amico, Pilgrim, il mio Vecchio, in piedi contro un muro in rovina. E mi disse: Non vuoi venire qui vicino a me? Vedendo le rovine, naturalmente rimasi al buio. Eppure lui era di certo sotto la luce del sole o della luna, non riuscivo a capire quale. Non sembrava importarmi finché non arrivai a capire che tutt’intorno a noi c’era l’oscurità nella quale mi nascondevo io, e così doveva essere alla luce della luna che l’avevo visto.

Questo, disse, è dove comincia ogni cosa. Ti prego, disse, vieni a vedere cosa ho da offrirti.

Io rimasi immobile. Spaventato. Dopo tutto, sapevo che era morto. Voleva dire che tutto comincia dalla morte? Non potevo e non volevo crederlo.

E poi disse: Ho questo e vorrei dartelo.

Non osavo quasi guardare. Ma lo feci, e vidi che in mano teneva una pietra, qualcosa di rosso e squadrato. Non riuscivo assolutamente a capire cosa fosse.

Il vento soffiava.

Il Vecchio indossava una veste lunga e chiara. Sembrava un profeta: lo stesso Giobbe, Elia, Isaia, chi poteva dirlo?

E disse: Tutte le cose sono eterne. Nulla sarà che non è già stato.

Mi feci avanti, sempre spaventato. Non dissi nulla.

Il mondo, disse, finisce ogni giorno, e ricomincia il giorno dopo. Ma non per te, a meno che non accetti questo dono.

Andai verso di lui. L’aria era gelida. Sembrava che ci fosse ovunque ghiaccio.

Ti prego, disse.

Ero sbalordito. Mi stava chiedendo di perdonargli la sua intransigenza assoluta, il suo infinito rifiuto di vivere.

Stesi la mano. E lui vi posò una pietra da costruzione. Quadrata, infuocata, rossa di vita.

È solo una, disse. Te ne occorreranno altre.

Sembrava che mi bruciasse nella mano. Eppure era senza peso.

Era solo una pietra.

E gli chiesi: Dopo tanti inizi, può essercene un altro?

E poi mi svegliai ed era adesso.

Adesso. E l’adesso è tutto ciò che abbiamo. Adesso, e ancora adesso, e null’altro.