11.

Furono Menken e Kessler ad accompagnare Pilgrim in infermeria, dove gli vennero curate le ferite ai polsi. Benché avesse perso una grande quantità di sangue, le lesioni non erano gravi come quelle che Pilgrim avrebbe potuto infliggersi con un coltello. Ma i coltelli dei vassoi riservati ai pazienti che mangiavano in camera avevano sempre la punta arrotondata e la lama smussata. Coltelli con cui era impossibile farsi del male.

Dopo che gli altri se ne furono andati, Furtwängler emise un sospiro e levò le braccia in un gesto di sconforto. «E adesso», disse lasciandosi cadere sul letto di Pilgrim, «cosa devo fare con te?»

«Con me?» chiese Jung. «Perché con me?»

«Avremmo potuto evitare tutto questo, se non ti fossi messo di mezzo tu».

«Niente avrebbe potuto evitarlo», disse Jung. «Voglio dire, pensa un po’: un uomo cerca di uccidersi con un cucchiaino. Mi sembra pura disperazione. Io non c’entravo niente».

«Hai cercato di ingraziartelo. Nel momento in cui si è accorto che gli tenevi la giacca ha capito di averti in pugno. Sono disperato. L’hai già fatto con la contessa Blavinskaja: ti sei messo a esaltare le meraviglie della luna. L’hai fatto con l’uomo-cane: hai dato il permesso all’infermiere che lo curava di portarlo in giro tenendolo al guinzaglio. Hai detto all’uomo con la penna immaginaria che credevi avesse creato il pezzo più bello che avevi mai letto! Tu non vuoi riportarli indietro. Vuoi abbandonarli ai loro sogni!»

Jung si voltò verso il cassettone e fece scorrere il dito su una fotografia in una cornice d’argento. Mostrava una donna in lutto, si sarebbe detto, con gli occhi fissi a terra, il mento abbassato, vestito nero, perle nere.

«Non è vero», disse, «che voglio abbandonarli ai loro sogni. Ma qualcuno deve dirgli che quei sogni sono veri». Poi aggiunse: «E i loro incubi».

«Non sono veri. Sono quello che sono: manifestazioni della follia».

«La luna è vera», disse Jung. «La vita di un cane è vera. Il mondo immaginato è reale. Se loro credono a queste cose, dobbiamo farlo anche noi... Almeno finché non abbiamo imparato a parlare la loro lingua e a udire le loro voci».

«Oh, sì», sospirò ancora Furtwängler. «So già tutto. Ma tu ti spingi troppo in là. Quando Pilgrim ha parlato, che cosa ti ha detto? “Mi uccida”. A me non l’avrebbe detto. Né a Menken. Né a Bleuler. Non l’avrebbe detto a nessun altro medico della clinica. A nessuno di noi; solo a te. E solo a te perché pretendi sempre di essere un alleato, un cospiratore a fianco del paziente».

«Io sono l’alleato del paziente. È per questo che sono qui. È per questo che siamo qui tutti, Josef».

«No. Non per essere alleati. Non per essere cospiratori e complici. Amici, sì. Con simpatia e partecipazione, sì. Ma non con connivenza, non accettando che siano solo loro a stabilire le regole. Noi stabiliamo le regole. La realtà stabilisce le regole. Non loro. Non i matti, la gente pazza».

«Credevo fossimo tutti d’accordo di non usare quelle parole», disse Jung. «Non diciamo mai matto e non diciamo mai pazzo. Era stabilito».

«Be’, io dico matto e pazzo quando è il caso di dire matto e pazzo. E in questo momento, credo che tu sia matto». Furtwängler si alzò in piedi. «Dio onnipotente», disse. «È qui solo da due giorni e cerca già di uccidersi di nuovo».

«È nella natura della sua natura», disse Jung. «Apparentemente».

«Di nuovo, ci risiamo! Apparentemente! Cosa vuol dire apparentemente nel caso di Pilgrim? L’hai visto per due minuti».

«Prendo quello che mi viene dato», disse Jung. «Prendo quello che hanno da offrirmi. Lui mi ha offerto dei polsi tagliati. Allora?»

«Allora lascialo in pace. Lascialo a me».

«Allora perché mi hai chiesto di venire? E ad Archie Menken. Perché ci hai chiesto di venire?»

Furtwängler voleva prendersi a calci e dire: Perché sono un idiota. Invece rispose: «Non lo so. Immagino per l’idea fuori moda che l’opinione di un altro medico potrebbe essere utile. Avrei dovuto pensarci due volte. Soprattutto considerando l’esperienza precedente con te».

«Vorrei che non la vedessi così».

«E come dovrei vederla? Non mi hai dato scelta, Carl Gustav».

«E allora?»

«E allora dovrò chiederti di non avvicinarti al signor Pilgrim fino a nuova comunicazione».

Dopodiché, Furtwängler si voltò e raggiunse la porta che divideva le due stanze della suite. Si fermò e, girando la testa, disse: «Buona giornata» e se ne andò.

«Buona giornata», rispose Jung, ma con un sussurro. Quando sentì chiudersi la porta d’entrata della suite, andò verso le finestre. Poi si sedette e si guardò le mani. Ho le mani di un contadino, pensò. Mani da contadino, modi goffi e pasticcioni da contadino.

Meno di un minuto più tardi, arrivò Kessler e gli disse che Pilgrim sarebbe rimasto in infermeria per il resto della giornata.

«Qualche danno serio?» chiese Jung.

«Niente di permanente, anche se pare che si sia fatto dei tagli profondi, per avere solo un cucchiaio. Più che altro vogliono tenerlo d’occhio. Ho incontrato adesso il dottor Furtwängler, e mi ha detto che andava a controllare».

«Sì».

«Se mi permette, allora», disse Kessler, «do una sistemata al bagno».

«Certo».

Jung restò nella camera da letto di Pilgrim, vagando apparentemente senza scopo dal letto al cassettone alla scrivania, ispezionando le superfici con un dito distratto, come se controllasse la presenza o l’assenza della polvere. Si fermò piuttosto a lungo davanti al cassettone, per aprire e chiudere i cassetti uno a uno, passando una mano fra i fazzoletti, le camicie, la biancheria, le cravatte e i foulard piegati con cura.

Era chiaro che Pilgrim era un uomo ricco. Era anche un uomo di gusto: la qualità compensava la scarsa quantità. Come è il caso di molti che sono nati in un mondo in cui la grazia e la ricchezza passano di mano in mano, per lui l’idea di avere più del necessario doveva essere volgare, se non indecente. Sotto le dita inquisitrici di Jung c’erano camicie che sarebbero durate dieci o quindici anni, finché il giro vita del proprietario fosse rimasto lo stesso. Per i colletti la storia sarebbe stata diversa, e non ci si poteva aspettare che fazzoletti e calzini durassero tanto a lungo. La biancheria semplice e pratica che trovò poteva durare tre o quattro anni. Le cravatte sono per sempre.

Per sempre. Perché quel giorno continuava a venirgli in mente quell’espressione? Per sempre. Per sempre. Non la settimana precedente. Non il giorno prima. Solo quel giorno: per sempre.

Be’...

Fissò di nuovo il volto della donna nella cornice d’argento. Sembrava venire da un’altra età e da un altro stile, di venti, trent’anni prima, del secolo passato. E per chi era in lutto? Per un figlio morto, per il marito? Forse per sé?

In bagno, Kessler stava raccogliendo i vestiti sparsi di Pilgrim per portarli in lavanderia.

«È buffo», disse a Jung andando verso il letto a riordinare il mucchio. «I vestiti abbandonati da un suicida sembrano sempre sporchi, contaminati. L’ho vestito io stamattina e so che ogni capo era fresco di bucato quando è stato indossato. Anche se le dita mi dicono che sono puliti, l’istinto mi fa credere di no».

«È quello che si chiama reazione atavica, Kessler», disse Jung. «La stessa per cui ogni bambino – perfino un neonato – sa che una vipera è pericolosa. Ma il signor Pilgrim non si è suicidato. È ancora vivo».

«Sì, be’...» disse Kessler. «Chi prova e fallisce ci riproverà ancora. Questa almeno è la mia esperienza. Anche la sua, dottore, direi».

«Sì. Lo ammetto. È probabile che il signor Pilgrim ci provi di nuovo».

Kessler tenne davanti a sé la camicia di Pilgrim tirando le maniche color panna fino al limite. Ali.

«Non è mica piccolo, eh?»

«No. È un gigante di fianco a me. Vediamo un po’».

Jung stese la mano e Kessler gli passò la camicia. «Lo chiamano cotone peruviano», disse. «Delicato come il bacio di un bambino».

Jung avvicinò la camicia al naso.

«Se posso dirlo, dottore, mi sembra una cosa ben strana da fare, annusare la camicia di un altro uomo», disse Kessler.

«Limone», disse Jung. «Sa di limone. Limone e qualcos’altro...»

Gettò di nuovo la camicia a Kessler, che tentò a sua volta di stabilire l’odore e disse: «Limone, sì. Mette una specie di acqua di colonia. Ci si schiaffeggia le guance dopo che gli ho fatto la barba. La tiene in bagno».

Jung trovò la bottiglietta sul ripiano di marmo sopra il lavabo. Aveva un tappo rotondo di vetro e un’etichetta grigia scritta in inglese.

Penhaligon’s of London, vi lesse Jung. By Appointment to His Majesty, King Edward VII, Perfumers.

E sotto, in una scrittura a volute, decifrò: Blenheim Bouquet.

Jung svitò il tappo e annusò. Limone. Arancia. Limetta e muschio. E forse un tocco di rosmarino...

«Stamattina c’era una donna», disse, «nella sala delle visite, con il dottor Furtwängler...» Capovolse la bottiglietta e si inumidì il dito con il liquido che conteneva. «Lei sa per caso chi è?»

«Doveva essere Lady Quartermaine», disse Kessler. «Ho riconosciuto la sua automobile. È stata lei a portare il signor Pilgrim da Londra, ieri».

Jung riapparve oltre la porta del bagno.

Kessler era accanto all’armadio, e stava appendendo la giacca di tweed. Teneva in mano una spazzola.

«Quartermaine, ha detto?»

«Sì, dottore».

«Allora l’aveva indosso anche lei, questo profumo. L’ho sentito sul dottor Furtwängler quando è arrivato in corridoio».

Kessler si voltò. Aveva un’espressione sbalordita. «Non capisco che cosa sta dicendo, dottore. È un’idea inconcepibile». Diede un’ultima passata di spazzola alla giacca e chiuse l’anta dell’armadio.

«No, no, no», disse Jung e scoppiò a ridere. «Non sto dicendo che si siano abbracciati e baciati. Neanche per sogno. È solo che ho un naso da cane da caccia. Lady Quartermaine deve aver stretto la mano di Furtwängler. Gli ho sentito il profumo sulle dita».

«Be’, ha un bel talento, dottore. Sono senza parole».

«Sa dove potrebbe stare Lady Quartermaine?»

«All’Hôtel Baur au Lac. Ho sentito qualcuno che lo diceva».

«Grazie».

Jung si era diretto verso il corridoio.

«Dottore?»

Jung si voltò.

«Prima che se ne vada, forse dovrei farle presente...» Kessler sembrava imbarazzato. «C’è un’altra piccola irregolarità a proposito del signor Pilgrim, dottore. A parte il fatto che non parla e che ha provato a uccidersi...»

«Quale?»

«Ha un segno. Dietro...»

«Intende sulle natiche?»

«No, dottore. Proprio fra le scapole».

«Che genere di segno?»

«Come una specie di tatuaggio, immagino. Glielo dico perché mi ha fatto pensare che forse il signor Pilgrim è stato su una nave. Sa come sono i marinai: disegni dappertutto, alcuni».

«Che cosa rappresenta, questo tatuaggio?»

«Una farfalla, dottore. E poi c’è un’altra cosa».

«Sì?»

«È tutta di un colore solo. Rosso, sa. Molto strano. Sembrano punture di spillo. Proprio come se qualcuno avesse punzecchiato la schiena del signor Pilgrim con un ago o uno spillo. Puntino, puntino. Puntino, puntino. Puntino, puntino, puntino. Capisce? Molto strano. Non il solito tatuaggio da marinaio. Lui ha cercato di nasconderlo. Ha cercato di infilarsi in tutta fretta la camicia prima che andassi da lui. Ma l’ho visto lo stesso, nello specchio, chiarissimo. Mi ha fatto pensare...»

«Sì?»

«Be’, mi ha fatto pensare che magari è un tipo di... non so... un emblema. Come se lui appartenesse a un club o a una società segreta. Un segnale per altri come lui».

«Grazie, Kessler. Tutto molto interessante».

«Sì, signore. Uno potrebbe dire che il signor Pilgrim in generale è molto interessante. Non il solito pazzo, diciamo. Se capisce quello che voglio dire».

«Sì. Ho capito benissimo. Buona giornata».

«Buona giornata, dottore».

Dopo che Jung se ne fu andato ed ebbe richiuso la porta dietro di sé, Kessler tornò al letto e prese in mano la camicia di Pilgrim. Stese le maniche come aveva fatto in precedenza e la orientò verso il sole che inondava le finestre.

Così gli angeli sanno di limone. Bene, bene, bene. Sanno di limone, e dove si attaccano le ali, Dio mette un segno, una farfalla, proprio al centro delle scapole.

Distese le maniche e osservò la luce che tremolava sulle pieghe. E le chiuse, e le aprì. Le chiuse e le aprì di nuovo, e poi ancora, per un volo d’angelo.