Quella sera, Kessler aveva persuaso Pilgrim a ritirarsi alle undici. La sedia a rotelle era stata sistemata in un angolo e Pilgrim era a letto.
Kessler aveva preso l’abitudine di dormire in soggiorno su una brandina di ferro, che di giorno veniva ripiegata e nascosta dietro l’armadio. Spegneva tutte le lampade tranne una su un lontano tavolino: la sua luce era sufficiente in caso di emergenza, ma non così forte da impedire il sonno.
«Buonanotte, signor Pilgrim», disse prima di mettersi, completamente vestito, sotto le coperte. Ma non ci fu risposta.
Certo che non risponde, pensò con amarezza Kessler, scalciando via le scarpe. Questo silenzio durerà fino al giorno del giudizio.
A mezzanotte, Kessler udì l’orologio battere dodici colpi, ma era sull’orlo del sonno e contò i colpi come altri contano le pecore.
Alle due, Kessler era completamente addormentato.
«È lì?» disse una voce.
Una voce di sogno?
«È lì, amico?»
No. Non una voce di sogno. Sveglia.
Kessler si puntò sui gomiti e ascoltò.
«Parli. È lì?»
Kessler non aveva mai udito la voce di Pilgrim. Avrebbe potuto essere benissimo la voce di un estraneo.
Si alzò in piedi e avanzò inciampando fino al letto.
«Signor Pilgrim?»
«C’è qualcuno? Un dottore?»
Kessler accese la lampada del comodino.
«Signor Pilgrim?»
Pilgrim era voltato dall’altra parte.
«Signor Pilgrim?»
Nessuna risposta.
Kessler non voleva rischiare di spaventarlo, e così prima di parlare di nuovo girò dall’altra parte del letto dove poteva vederlo.
«È sveglio?» disse.
Di nuovo nessuna risposta. E non era nemmeno chiaro, a giudicare dalla posizione di Pilgrim, in che stato fosse. A Kessler, tuttavia, sembrava improbabile che fosse sveglio. Non c’erano reazioni motorie, a parte il respiro, appena visibile.
Kessler andò alla scrivania e scrisse un appunto in tedesco: Ha cominciato a parlare all’incirca alle 2,05. Dopodiché, rimase seduto con l’avambraccio sul foglio dove aveva appena scritto e con la penna senza cappuccio nell’altra mano. Attese.
«Parli, signor Pilgrim», disse infine. «Parli di nuovo».
Non giunse nessun suono.
Kessler guardò l’orologio sulla scrivania e tornò ai suoi appunti. Ha smesso di parlare all’incirca alle 2,14, scrisse. Poi mise il cappuccio alla penna, spense la luce e rimase seduto al buio.
Mentre tutti gli altri lo abbandonano, pensò, io resto qui. Resto io al suo fianco, non il dottor Jung, non il dottor Furtwängler, non la sua amica Lady Quartermaine. Sono io a restare seduto qui. Sono la sua sentinella. Sono il suo custode. Sono il suo protettore. Ma il merito lo prenderanno loro. Per loro, sono semplicemente un inserviente. Eppure sarò io a conoscerlo meglio quando sarà pronto per la guarigione. Non gli altri, non i suoi medici, ma io, che sono rimasto con lui durante la notte.
Sentì russare dal letto. Sonno profondo.
Kessler si alzò e tornò alla sua brandina.
Era stanco. Era impossibile restare svegli un secondo di più. Rimase in attesa di sentire il battito delle ali. E quando cominciò, come sempre gli accadeva prima di addormentarsi, si assopì.