8.

Per Natale Emma Jung aveva regalato al marito una macchina fotografica, un giocattolo, come aveva detto. Tutti i bambini dovrebbero avere almeno un giocattolo per Natale, aveva scritto sul biglietto, e questo è per il mio bambino più piccolo e più amato.

Era così che lo vedeva. Non che non fosse posseduto dal genio; ma lo stesso si poteva dire di Mozart a otto anni. Anzi, aveva detto a Frau Emmenthal mentre sbucciavano piselli l’estate precedente, è il bambino che c’è in Carl Gustav che proclama il suo genio. Vede e sogna e si meraviglia come solo i bambini possono fare, senza il minimo dubbio. Quello che sa, lo sa. Ciò che non sa, sa di non saperlo. Questo è un tratto sicuro del genio: non aver paura della propria ignoranza.

La macchina fotografica era una Kodak di quelle a soffietto. La mia macchina fotografica fisarmonica, la chiamava Jung. Devo suonarti una canzone?

L’8 maggio 1912, un mercoledì, Jung guardò fuori dalla finestra durante la colazione e vide un narciso in giardino.

«C’è un narciso in giardino», disse a Emma. «Appena abbiamo finito di mangiare, vado a fotografarlo».

«Non fare sciocchezze per un narciso, Carl. Mettiti le galosce e la sciarpa prima di uscire. Tu non hai tempo per ammalarti e io non ho tempo per farti da infermiera».

«Sì, ma’am». Jung sorrise alla moglie e le strinse forte la mano.

«Ma’am?» disse Emma. «Ma-am? Cosa diavolo è?»

«Lo dicono gli inglesi. Appellativo di rispetto rivolto a una donna più anziana e più saggia. Contrazione di madam, che gli inglesi scrivono senza e finale per distinguersi dai francesi, che detestano. O fingono di detestare. Gli inglesi gli rubano tutte le parole e le cambiano in modi molto sottili che in realtà, se vuoi sapere la verità, sono sottili come un pugno sul naso. Mantengono l’ortografia e sbagliano la pronuncia, oppure mantengono la pronuncia e sbagliano l’ortografia. Certe volte tutte e due le cose. Come in madam. Mah-dem. Ah. Sembra il verso di una pecorella smarrita. Madame è troppo francese, troppo! Troppo spaventosamente straniero! Troppo spaventosamente pretenzioso! Poi cambiano idea e usano una parola come ambuscade, che pronunciano con toni flautati, molto francesizzati. Però la scrivono con la a iniziale al posto della e».

«Molto interessante, Carl. Grazie per la lezione». Emma posò la tazza del caffè e si asciugò le labbra. «Perché hai scelto ambuscade

«In che senso perché

«Perché hai scelto come esempio ambuscade

«È la prima parola che mi è venuta in mente, immagino. Non lo so».

«Se fossi in te, ci penserei un po’ sopra. Anzi, se fossi in te mi preoccuperei».

«Preoccuparmi? E perché dovrei preoccuparmi? È solo una parola».

«Non è solo una parola. È un’affermazione minacciosa. È un avviso. Un’indicazione del tuo stato mentale. O forse un segnale della tua preoccupazione per quel povero narciso là fuori in mezzo alla neve. Sei lì seduto a organizzare la tua imboscata: avanzerai di nascosto nel giardino, armato della tua macchina fotografica, per poter sparare una foto a quel povero fiore ignaro».

Emma stava sorridendo e Jung sorrideva con lei. Ma quando lei tornò seria, sul volto di lui restò il sorriso.

«D’altra parte», disse Emma, e gli passò i fiammiferi, «potrebbe semplicemente voler dire che in qualche angolo della mente hai paura che qualcosa o qualcuno sia nascosto nell’ombra per saltarti addosso. Pensaci. Adesso, mentre io mi do da fare con la tua ricerca su Savonarola, vai a sparare la foto al tuo narciso».

 

Quando fu in giardino, con le galosce aperte piene di neve, Jung parlò al narciso, spiegandogli che voleva solo fargli una fotografia, non tagliarlo per metterlo in un vaso di casa. «Sta’ tranquillo», disse ad alta voce.

Emma, osservandolo dalla finestra, vedeva le sue labbra che si muovevano. Lo fa di nuovo, pensò. Parla con le cose. E poi, con un sorriso: Altro segno sicuro del genio.

 

Alla clinica, Jung trovò Lady Quartermaine che passeggiava in giardino.

Maledizione. Pilgrim è con lei. Così non potrò chiederle del diario.

La coppia girava, a prima vista senza meta, per i sentieri di ghiaia verso la pineta, oltre la statua di Psiche e il busto di Auguste Forel sul suo piedistallo. Il dottor Forel aveva portato la clinica Burghölzli all’attenzione del mondo. La sua reputazione era monumentale, ma, agli occhi di Jung, Forel era un uomo che da un pezzo non era più di alcuna utilità e tuttavia rifiutava di farsi da parte. Faceva visite continue, sempre senza avvisare, e aveva un desiderio insaziabile di interferire. Non si rende conto di questo e di quello? pontificava. Non capisce? Non vede a cosa condurrà questa o quella terapia? Al disastro! Così bisognava passare ore a difendere i propri metodi. Era esasperante.

Lady Quartermaine guidava Pilgrim lungo il pendio, verso il portico dove era parcheggiata la sua automobile. Avrebbe potuto essere sua madre, a giudicare dal suo atteggiamento. Osservandoli, Jung concluse che allo stesso modo avrebbero anche potuto essere amanti.

Pilgrim era avvolto dal collo ai piedi nel suo cappotto pesante, e trascinava le code di un infinito – si sarebbe detto – numero di sciarpe. Il volto era ombreggiato dalla tesa di un cappello di feltro tirato da una parte e tenuto lì da una mano. L’altra mano stringeva il braccio di Lady Quartermaine come se Pilgrim avesse paura di cadere.

Jung li raggiunse accanto alla statua di Psiche.

«Buongiorno», disse. «Vi dispiace se mi unisco a voi?»

Quel giorno Sybil non aveva sorrisi per lui. «Se lo desidera», disse. Aveva l’aspetto di una persona che non dormiva da settimane. Il suo viso era senza colore. Sotto la cipria incombevano ombre scure. Gli occhi, come quelli di un animale, rivelavano la paura della luce del giorno.

«Buongiorno, signor Pilgrim», insistette Jung. «Fa la sua passeggiata mattutina?»

«Sì, dottor Jung», disse Sybil. «E lei come sta?»

Jung rispose che stava bene, e aggiunse che aveva portato con sé la macchina fotografica. «Dopo colazione ho fotografato un narciso», disse. «Il primo quest’anno. Un segno sicuro dell’arrivo della primavera. Da un momento all’altro li vedremo dappertutto».

«Spero proprio di sì», disse Sybil. «Questa neve eterna è deprimente. Non so come facciate voi a sopportarla».

Jung alzò gli occhi verso Psiche.

Era scolpita nel marmo, cosa che le donava. Sullo sfondo della neve era quasi immateriale, simile a un fantasma. Era sospesa sopra la sua vasca ghiacciata, incorniciata da sottili tronchi di betulla. Le sue ali da farfalla erano rivestite di ghiaccio.

«Bianco, bianco, tutto bianco», mormorò Jung.

«Sì», disse Sybil. «Bianco». E poi: «Non c’è un posto dove potremmo sederci per un po’, dottore? Una panchina, magari? Non so perché, ma sono esausta».

«C’è una panchina accanto al dottor Forel, subito qui». Jung fece da battistrada. «Sa», aggiunse, «una ragione per la quale lei si stanca così facilmente potrebbe essere l’altitudine. Siamo piuttosto in alto, sa, e così manca il fiato. Soprattutto se uno proviene dalla pianura».

«È vero. Non ci avevo pensato».

«Siamo a più di quattrocento metri sul livello del mare», disse Jung. «Si sieda».

Sybil rimase in piedi mentre Jung spolverava con un fazzoletto la neve dalla panchina. Il dottore non portava i guanti. La macchina fotografica gli pendeva dal collo.

Sembra un uccello morto, pensò Pilgrim.

Quando fu tutto pronto, Sybil si sedette, e Pilgrim la seguì.

Jung fece un passo indietro e li osservò con un misto di preoccupazione e piacere. Era chiaro che Lady Quartermaine non stava bene o era profondamente tormentata, e il silenzio pugnace e persistente di Pilgrim cominciava a irritarla. D’altra parte, erano una bellissima coppia, seduti com’erano in un giardino coperto di neve, con Psiche alle loro spalle che fissava la sua vasca ghiacciata. In basso, Jung notò un’altra figura che si dirigeva verso le porte della clinica.

Archie Menken, il suo collega americano.

Cosa farebbe Archie del diario di Pilgrim? si chiese.

Puah! avrebbe detto con tutta probabilità. Le divagazioni di una mente disturbata, G.C. Smettila di dare un senso alla follia.

Jung posò di nuovo lo sguardo sui suoi compagni di passeggiata e disse: «Vi dispiace se vi faccio una foto? Siete meravigliosi su questa panchina, voi due. E mi piacerebbe conservare questo ricordo. In privato, naturalmente. È una giornata così bella. Il sole, la neve. La fotografia di due amici, se posso osare chiamarvi così».

Sybil guardò Pilgrim.

«Ti dà fastidio farti fotografare?» gli chiese.

Pilgrim guardò da un’altra parte, come un bambino a cui è appena stato detto di comportarsi bene.

«D’accordo, grazie», disse Lady Quartermaine. «Una fotografia sarebbe splendida. Un souvenir per noi tutti».

 

Archie Menken andò alla finestra del suo studio e osservò per un istante il trio nel giardino.

Poi scrollò la testa e tornò alla scrivania. C’era già molto da fare anche senza preoccuparsi del vecchio C.G. e dei suoi problemi.

Archie Menken era un allievo di William James. Gli anni passati a Harvard con James lo avevano quasi soffocato di devozione. Tutto ciò che pensava e faceva – compreso tutto ciò che pensava e faceva per i suoi pazienti – era proiettato nell’immagine del precetto del Maestro, secondo il quale tutto ciò che è, è ciò che è. Non esiste nient’altro.

Il suo modo di vedere il caso della contessa Blavinskaja era: Non esiste la vita sulla luna; torni a casa. La sua visione di Pilgrim era: Lei ha raggiunto il silenzio che cerca nella morte, mentre è immerso in un vivo flusso di coscienza. Parli, e la finisca. La reazione di Pilgrim a questa posizione era stata un sorriso enigmatico e l’osservazione tra sé che il vivo flusso di coscienza è raggelante.

Quanto a Jung, Archie ne ammirava la passione, ma credeva che potesse essere adibita a usi più pratici. Archie non poteva percepire, dato che era ancora così giovane, che la sua propria “passione” era così sincronizzata con i precetti del suo mentore che non gli era rimasto un vocabolario proprio. I suoi infiniti riferimenti, negli appunti e nella conversazione, al tutto ciò che è, è ciò che è di James e al suo flusso di coscienza rivelavano la sua incapacità di liberarsi dello studente che era stato e di diventare l’analista che poteva ancora diventare. James era morto due anni prima, ma per Menken era ancora seduto nella stanza accanto, ad aspettare di essere consultato.

Jung riusciva quasi a portare Archie sull’orlo della pazzia con quel suo inesauribile desiderio di accettare i termini della resa dei pazienti.

«È nostro compito», gli aveva gridato una volta Archie, «condurli ad accettare la nostra compagnia, non far compagnia alle loro fantasie! Smettila con tutti questi viaggi sulla luna, C.G.! Riporta la contessa nel cerchio della vita, dove c’è la legge di gravità e le vite vengono vissute, non sognate!»

Quanto a Pilgrim: «Ti compiaci del suo enigma. Ne trai godimento. L’hai rubato a Josef, che ormai avrebbe potuto cominciare a curarlo, perché non potevi sopportare l’idea che qualcun altro potesse beneficiare dell’intimo Sturm und Drang che ha condotto Pilgrim al suicidio e al silenzio. Sei come un bambino geloso della bambola parlante di un altro. Se quella bambola deve parlare, lo farà alle tue condizioni, non alle sue, e mai sotto gli occhi di un altro! In un certo modo», aveva gridato Archie, «sei un mostro, C.G.! Mio è la tua parola preferita, e, in nome di Gesù onnipotente, scommetto che faresti morire un uomo piuttosto che lasciarlo rivivere sotto l’egida di Josef, o la mia, o quella di chiunque altro

Tutte queste accuse erano state gridate a pieni polmoni da Archie. Per Jung, quelle urla erano uno dei tratti più deliziosi della personalità di Archie. Quell’aria da ragazzo sfacciato, il giovane eccitabile che sembra sempre sul punto di un orgasmo intellettuale...

L’8 maggio, il giorno nel quale Jung fotografò Sybil Quartermaine e Pilgrim, i due medici avevano ormai poco da dirsi. Quanto a Josef Furtwängler, lui e Jung non avevano più niente da dirsi. Josef aveva chiuso la porta una volta per tutte.

Ma Jung era sordo al silenzio. Semplicemente, non ammetteva la sua esistenza. In ogni ora di silenzio che trascorreva con Pilgrim c’erano – nella sua opinione – altrettante discussioni di quelle che avrebbe potuto avere con qualunque paziente in grado di parlare. Lui e Pilgrim avevano “discusso” in silenzio lo stato dell’essere di Pilgrim, la musica che preferiva ascoltare sul Victrola, le vedute preferite dalle finestre della clinica, il piacere che trovava nel vino e il disgusto che provava per alcuni cibi. O le sue preferenze tra le cravatte, e il suo rifiuto di indossare qualunque cosa con le righe. Agli occhi di Jung, i rifiuti e le predilezioni di un uomo, anche se espressi solo con i gesti, erano un sostituto perfettamente valido della conversazione per mezzo di parole. Quanto alle sfumature: uno sguardo abbassato, un’alzata di spalle, un cambio di postura valevano un aggettivo. Ogni commento si esprimeva per mezzo di un atteggiamento, non con le parole. Per Jung, il suo lavoro consisteva nell’osservare proprio come nell’ascoltare. Questo Menken non lo capiva.

Ormai Jung era affezionato a Pilgrim, nonostante il suo rifiuto di parlare e la stizza nei confronti delle investigazioni psichiatriche. Avrebbe sentito la sua mancanza, quando Pilgrim sarebbe guarito e tornato in Inghilterra. Se mai fosse riuscito a guarire.

Se mai fosse riuscito a guarire...

Cosa gli aveva fatto pensare una cosa del genere?

Eccola lì. L’imboscata.

Era caduto nell’imboscata tesa dalla disperazione.

Pilgrim non sarebbe mai guarito.

Non puoi farci niente.

No. Non dire così. Non devi.

Va bene. Guarirà. Guarirà. E andremo tutti a vivere sulla luna. Bravo!

Gesù.

Gesù.

Cosa voleva dire? Chi stava parlando? Una voce non invitata che era entrata nella mente di Jung, negativa e maligna, che insinuava la possibilità del fallimento là dove lui pensava che ce l’avrebbe fatta.

È possibile, diceva in quel momento la voce, che tu sia uno di loro, Carl Gustav, e non uno di noi? Posso ricordarti tua madre? Pensa a tua madre. Tutte le sue notti insonni, le imprecazioni mormorate, le minacce e gli avvertimenti dispensati a tutte le porte, compresa la tua. I suoi sogni, i suoi incubi, le urla e i sussurri nel buio. Lei era una di loro, non una di noi, Carl Gustav. L’hai detto anche tu, o l’hai pensato, non è vero? Non è vero?

Sì.

E allora, perché non tu? Nulla impedisce a un medico di ammalarsi.

Jung si colpì la fronte con la mano aperta. «Taci», sussurrò. «Taci, lì dentro. Vattene via».

Voglio solo aiutarti, disse la voce. Voglio solo esserti utile.

Puoi essere più utile tacendo.

Benissimo. Tacerò.

Ci fu una brevissima pausa.

Per il momento, aggiunse la voce. Ma non me ne vado. Sono qui per restare, Carl Gustav. Sono qui per restare.

Questa straordinaria “conversazione” – Jung non poteva chiamarla in altro modo – ebbe luogo verso le undici di mattina dell’8 maggio, lo stesso giorno in cui aveva scattato le sue fotografie di Pilgrim e Lady Quartermaine, e del narciso con cui aveva parlato in giardino.

Jung non tornò a pranzo a Küsnacht, ma rimase da solo nello studio, dove bevve una moderata quantità di brandy e fumò un sigaro e rimase seduto in contemplazione, come se si aspettasse che qualcuno si mettesse a parlare.