13.

L’incidente successivo occorse alle quattro e un quarto di quel pomeriggio. È ricordato nel diario di Jung, nella cartella clinica di Pilgrim e nei rapporti giornalieri di Kessler e di Dora Henkel: tutto può essere consultato negli archivi.

Ci furono sei testimoni quattro pazienti e due membri del personale, Kessler e Dora Henkel. I pazienti erano la contessa Blavinskaja, la schizofrenica con le mani ribelli di Robert Schumann, l’uomo che scriveva con la penna immaginaria e un uomo che aveva rinunciato del tutto a comunicare con le parole. Erano tutti radunati, tranne Kessler, nella sala da musica. Il grammofono suonava un brano dal Carnevale degli animali di Saint-Saëns. Tatjana Blavinskaja danzava la Morte del cigno della Pavlova.

Dalle finestre aperte entrava la luce del sole. L’uomo che scriveva con la penna immaginaria si sentiva obbligato a esprimersi e si era alzato a scrivere il suo messaggio sulla parete accanto alla porta. Dora stava facendo a maglia uno scialle per la sua amata paziente. Gli altri erano seduti a guardare e ad ascoltare, persi nei propri mondi privati.

All’improvviso giunse un suono dal corridoio. Qualcuno veniva inseguito e si sentì una voce che gridava: «Fermo! Fermo! Fermo!»

Dopo qualche secondo, la porta si spalancò ed entrò Pilgrim in accappatoio e pantofole. L’intenzione di Kessler era di portarlo ai bagni per calmarlo dopo il suo sogno, ma Pilgrim si era messo a correre verso la sala da musica, prendendo a pugni tutte le porte mentre correva.

Quando Pilgrim irruppe nel salone, la contessa stava per concludere il suo assolo. Si era accasciata sul pavimento, con la gamba sinistra stesa davanti a sé, ed era vicina al celebre epilogo, con le braccia che sbattevano, la testa china e la schiena che si arcuava.

Pilgrim era quasi irriconoscibile. Aveva completamente perso il controllo delle espressioni. La sua faccia era una maschera di rabbia, gli occhi fissi e spalancati, la bocca divisa in due da ciò che sembrava un gorgo di schiuma e saliva. Attraversò i metri di spazio illuminato dal sole con l’allarmante velocità di un ghepardo pronto a balzare sulla preda, svelse il braccio del grammofono e lo gettò contro la più vicina finestra aperta. Un vetro si frantumò in mille pezzi.

La contessa Blavinskaja alzò gli occhi aspettandosi che un tornado si fosse abbattuto sulla clinica. La donna con le mani di Schumann strillò e corse in un angolo, dove si accucciò sui talloni. L’uomo con la penna immaginaria smise di scrivere, ma non riusciva a voltarsi. Restò fermo di fronte al muro con il braccio destro levato e la fronte a pochi centimetri dall’intonaco.

Dora Henkel si alzò e mise da parte il lavoro a maglia, pronta a mettersi al fianco della sua paziente, ma fu bloccata dalla violenza delle mosse successive di Pilgrim.

Questi sollevò il grammofono dal ripiano e lo schiantò per terra. Il coperchio si divise in due e i suoi visceri meccanici si rovesciarono sul pavimento. Poi tolse sistematicamente i dischi dagli scaffali e li lanciò uno a uno verso le quattro pareti, distruggendoli. Per caso o per folle calcolo, il disco con la Träumerei di Schumann colpì la pianista rannicchiata nel suo angolo e le procurò una ferita che in seguito richiese l’applicazione di alcuni punti.

Nel frattempo, Kessler cercava di bloccare il suo paziente, ma ogni volta Pilgrim gli sfuggiva. La sua energia era sfrenata. Avrebbe potuto essere un giovane atleta, un lottatore, un corridore, un ginnasta. Gettò a terra il violoncello e cominciò a colpire il suo corpo disteso, gridando: «Maledetta tutta la musica! Maledetta tutta l’arte! Maledetta la bellezza! Uccidi! Uccidi! Uccidi!»

Quindi fracassò il violino e ne usò i resti per colpire gli armadi vetrati che contenevano i libretti e le partiture di cui il bibliotecario musicale era stato così orgoglioso.

Alla fine, Kessler riuscì a sgambettarlo proprio mentre Pilgrim stava per usare i ferri da calza di Dora – con la lana appesa – per pugnalarsi la faccia.

Mentre Kessler trascinava al suolo il suo paziente e gli bloccava le braccia dietro la schiena, la contessa Blavinskaja gridò: «No!» e Pilgrim si quietò.

Dora andò a chiamare aiuto mentre Kessler sedeva sulle cosce di Pilgrim e gli torceva le braccia ogni volta che lui tentava di liberarsi.

Cinque minuti dopo arrivò un quartetto di interni che costrinsero Pilgrim in una camicia di forza. Il suo ultimo gesto fu di sputare in faccia a Kessler, dopodiché gettò un grido animalesco e perse conoscenza.

 

In seguito, quando Pilgrim era già stato portato via, Jung ascoltò il racconto dell’incidente e domandò a Kessler che cosa, secondo lui, poteva aver scatenato quella furia.

«Ha fatto il riposo pomeridiano», disse Kessler. «E deve aver sognato. Quando l’ho trovato, stava gridando: non so cosa, ma gridando. Gli ho tolto i vestiti e gli ho infilato l’accappatoio per portarlo ai bagni, perché pensavo che l’acqua l’avrebbe calmato. Continuava a gridare: Non finirà mai, non finirà mai! Ma non era chiaro che cosa secondo lui non sarebbe finita mai. Quello che ha detto e non gli avevo mai sentito dire prima era aeroplano».

«Aeroplano?»

«Aeroplano. E continuava a ripeterlo. Aeroplano. Aeroplano. E poi mi è scappato ed è andato a rompere tutte quelle cose».

Jung scosse la testa. «Be’», disse. «Aeroplano. Questa è nuova».

«Sì, dottore. Io non ne ho mai visto uno», disse Kessler.

«Nemmeno io», disse Jung. E poi, senza sapere che l’avrebbe detto, aggiunse in un sussurro: «Ma sospetto che ne vedremo».

«Sì, dottore. Sospetto che ne vedremo».