T.
Incisa nella corteccia di un pino.
T.
Jung si appoggiò allo schienale.
Era stata Emma a intuire il collegamento. Col procedere della gravidanza, si era sempre più immersa nella lettura dei diari di Pilgrim, gran parte dei quali languivano ancora nel cassetto dello studio di Jung. Carl Gustav le aveva finalmente dato la chiave e le aveva chiesto di leggerli per lui, dato che il suo tempo era occupato da altre inchieste sulla vita di Pilgrim e dagli impegni con gli altri pazienti. Purché i diari non uscissero dallo studio e fossero rimessi a posto dopo la lettura, Jung le aveva concesso di esaminarli. Emma aveva rispettato le consegne.
Forse, tuttavia, per Jung quei diari erano per qualche motivo intimidatori. Questa almeno era l’interpretazione di Emma. Negli ultimi giorni, aveva notato che il marito sembrava ritrarsi da loro, e aveva concluso che dovevano essere troppo “personali” per lui: insistevano troppo su un’unica trama raccontata dal punto di vista di un solo uomo, e così non lasciavano spazio al tipo di esplorazione a cui si dedicava Jung nel confronto personale. Parlando di un altro paziente, aveva detto a Emma che «l’uomo, non l’opera è la mia sfera d’indagine». Stava parlando di un artista, un pittore, e aveva concluso che «alcuni uomini si nascondono in ciò che creano, in un deliberato tentativo di restare sconosciuti». A questa presa di posizione, Emma aveva risposto: «E allora? Ha importanza? L’arte non riguarda l’artista. L’arte riguarda solo se stessa».
Jung si era limitato a scrollare le spalle.
Tre giorni dopo che lui e Archie Menken avevano scoperto la T incisa, Emma aveva mostrato a Jung i passi del diario che aveva letto, sottolineando i riferimenti agli alberi, al martin pescatore e a Teresa.
Teresa.
Era una figura che Jung non aveva difficoltà a riconoscere. Ma della quale diffidava. Era una mistica, una mistica improbabile, anzi è ben più probabile che organizzasse imposture. La levitazione, per esempio. Sciocchezze, aveva sbuffato Jung.
Emma sosteneva che anche quello faceva parte della realtà di Teresa. La gente l’aveva vista levitare mentre pregava.
«Basta pagare per avere testimoni del genere», disse Jung quella notte mentre erano a letto, con le coperte ripiegate all’indietro. «Sto semplicemente facendo ipotesi, supposizioni», aggiunse.
«Faresti ipotesi e supposizioni anche sulle scoperte di Haeckel?»
«Una volta sì. Adesso non più».
«Perché adesso ci credi».
«Perché adesso ci credo».
«E dove sono le prove?»
«Prove?»
«Prove. Insisti perché Teresa dimostri che era vittima di levitazioni...»
«Non dire vittima!»
«Benissimo. Insisti perché Teresa provi che, mentre pregava, s’innalzava verso Dio. Ma non potrebbe trattarsi di un’allegoria? Era il suo unico desiderio: innalzarsi alla presenza di Dio, la sua presenza letterale e assoluta. Lei chiamava Dio Sua Maestà e innalzarsi al luogo in cui lui esiste, dove lui è, era tutto ciò che le importava. Non è la perfetta rappresentazione della levitazione? Non riesco assolutamente a capire perché sia un problema per te».
«Era una ciarlatana».
«Era cattolica, ecco cosa vuoi dire. Era cattolica e credeva. E tu sei un protestante apostata – a causa del ministero dimenticato da Dio del tuo genitore dimenticato da Dio – e non credi in niente. Il tuo problema fondamentale, mio caro, è che tu odi e diffidi di chiunque – chiunque – creda in Dio. E forse anche di chiunque creda in qualsiasi cosa».
«Perché ti arrabbi?»
«Non mi arrabbio. Sto solo parlando. Fa’ attenzione alla logica che stai seguendo. Non vuoi ammettere che sai chi è questa donna perché non vuoi ammettere che il signor Pilgrim abbia un vantaggio su di te».
«Un vantaggio su di me? Cosa diavolo vuol dire? Un vantaggio su di me! Per favore!»
Emma si girò su un fianco, mostrandogli la schiena.
«A te non piace essere sfidato, caro mio», disse Emma. Non vuoi che il signor Pilgrim sappia senza ombra di dubbio ciò che tu non sai affatto; che lui abbia conosciuto e compreso una santa, una cosa che tu forse non farai mai. Posso metterla così? Nel caso del signor Pilgrim, tu potresti essere lo scolaro e lui il maestro».
Emma assestò le spalle e si posò una mano sul ventre, lasciandola lì senza intenti inquisitivi sul bambino accoccolato.
«Prova a immaginarti senza domande», disse. «Mettiti al suo posto, a quello di Teresa. Lei non aveva domande. Lei semplicemente aspettava. Aspettava e basta. Era quello il suo miracolo: non predeterminare, non dire sarà così e così, non sapere. Lei non esigeva di sapere, Carl Gustav. E tu esigi di sapere. In questo modo, sei un mostro».
Jung si mise sulla pancia voltandosi verso di lei.
Mostro?
«Ti amo», disse lui, senza sapere che l’avrebbe detto.
«Ci penserò», disse Emma, e sorrise.
Jung posò la mano sulla natica sinistra della moglie e cominciò a farle risalire la camicia da notte.
«Non sei mai stata presa da dietro», disse, stupito della sua stessa voce, dalla sua improvvisa lascivia, che era sempre rimasta segreta. Pura, incontaminata lascivia. Senza travestimenti. Niente: Sono tuo marito. Niente: Facciamo finta che.
Si sciolse i legacci dei calzoni del pigiama e li fece scivolare verso le cosce.
Sto per stuprarti, pensò. Sto per prenderti in tutti i modi in cui un uomo può prendere una donna. Sarai occupata per ore.
«Carl Gustav?»
«Sì?»
Aveva parlato. Come osava?
«Togli la mano dal mio sedere».
Jung indugiò. La sua mano si spostò. Gli sembrò di non esserne nemmeno il proprietario. La mano, di sua volontà, aveva cambiato posto. Jung esitò, tumescente e confuso.
«Dio c’è», disse Emma, vicina al sonno. «Lo sai anche tu, vero?»
Lo sapeva? Forse. Benché odiasse l’idea di dirlo, Jung sapeva che c’era Qualcuno, o Qualcosa. Se non ci fosse stato nessuno, la sua stessa smania di trovare connessioni sarebbe stata priva di senso.
«Sì», disse. Sussurrò.
«Che cos’è la certezza?» chiese Emma.
«Non sapere nulla», disse Jung.
«Bene», sospirò Emma. «Stai imparando». Si fece più in là. «Vuoi che faccia supposizioni su un orgasmo con la mia mano? O è una certezza senza la mia partecipazione?»
Jung grugnì. Oh, perché non me lo succhia? pensò.
Cercò di afferrare il sonno. Era lì, come un pesce all’altro capo della lenza in una luminosa mattina di settembre. Alba. Aria fresca, acque fresche.
Martin pescatore.
Che cos’è la certezza? gli aveva chiesto Emma. Non sapere nulla, le aveva risposto lui.
I pesci c’erano, ma li avrebbe trovati?
La luce del sole scintillava sull’acqua. Per un istante lo accecò.
E Dio?
Cominciò a scivolare nel sonno.
Dio è nell’accecamento.
Vero. Vero. Era possibile che fosse vero.
L’amo si mise a vibrare.
Dubita meno, credi di più, disse il Grande Inquisitore. Pochi momenti fa, Carl Gustav, hai considerato l’ipotesi di levitare.
Mai.
Quasi addormentato.
Mai? Allora qual è la tua definizione dell’orgasmo? Cos’altro può essere se non innalzarsi a un altro livello di esistenza? Dovresti pensarci.
Forse.
Forse? Sii meno dubbioso, pescatore. La verità è che hai anime da prendere all’amo. Anime da “amare”. Scusa la battuta. Ho un terribile senso dell’umorismo. Avrei dovuto dire anime da pescare. Ma è vero. Il pesciolino di Emma. Il centro perduto di Pilgrim. La luna della contessa Blavinskaja. La tua fede perduta...
Vero. Forse è vero.
Buona notte, Carl Gustav.
Sì. Buona notte. Vecchio bastardo.
Sorrise.
Buona notte. Proprio le parole giuste. Una buona notte nonostante il fatto che Emma lo aveva respinto.
L’avrebbe mai presa con la forza? Senza pietà? Credeva di no. Non a causa di ciò che Emma avrebbe potuto pensare di lui – quello mai – ma a causa di ciò che lui avrebbe pensato di sé. Non gli importava sul serio ciò che lei pensava di lui, a patto che non perdesse il rispetto di lui come...
Artista?
Da dove era venuta quella parola?
Voleva dire scienziato. A patto che non perdesse il rispetto di lui come scienziato.
Un giorno tutto il mondo avrebbe riconosciuto la sua grandezza. La sua opera di pioniere della scienza, le sue scoperte, i nuovi territori conquistati.
C’era una certa consolazione nel pensiero.
No. Non avrebbe mai preso Emma con la forza. Non avrebbe nemmeno dovuto chiedere. Sarebbe venuta lei a supplicarlo. Nel frattempo, ce ne sarebbero state altre, intanto che lui stringeva la sua presa sull’obiettivo finale: il pieno diritto del suo genio.
In questo modo riuscì a prender sonno.
La mattina, quando Emma si svegliò, Carl Gustav se n’era andato. Lei non aveva sentito niente, percepito niente della sua partenza. Eppure, quando andò in bagno, le prove della presenza di lui erano ovunque. La cesta della biancheria sporca traboccava di asciugamani bagnati. L’odore del sapone e quello della colonia alla limetta con la quale il marito profumava i fazzoletti erano freschi come se lui avesse lasciato il bagno da pochi secondi. Lo specchio aveva ancora tracce di vapore.
Nell’angolo in basso a destra del vetro, il dito di Jung aveva tracciato una T. Piuttosto grande. Importante.
T. Teresa.
Emma si chiese cosa poteva fare per convincerlo a tollerare quella donna così difficile. Quella santa. Condurlo a lei e nel frattempo istruirlo sul genio unico di Teresa.
No. Mai istruirlo. Rifiutava ogni istruzione a meno che non l’avesse richiesta lui.
I diari di Pilgrim erano colmi di rivelazioni. Leonardo, Monna Lisa. Cani chiamati Perro e Agamennone. Stupri e seduzioni. Scoperte e perdite. Pecore spagnole e pecore nei sogni. Il signor Bleat e Henry James. Pastori, sante e paesaggi dorati. Martin pescatori, pellicani, colombi e aquile... E al centro di tutto, quest’uomo alto e solitario che non scriveva mai di amare o di essere amato se non quando doveva raccontare la storia di un altro, non la sua.
Oppure erano proprio sue, quelle storie, si chiese Emma. Le aveva immaginate, le aveva create, o credeva in tutta onestà di averle vissute? E se era così, in che modo? In sogno? In sogni a occhi aperti? Erano finzioni o erano fatti?
Ma la cura con la quale li aveva descritti andava ben al di là dei sogni o delle fantasie. Carl Gustav diceva che il signor Pilgrim talvolta parlava nel sonno, talvolta esprimendosi con perfetta chiarezza, tanto da dettare ciò che diceva. Già questo era del massimo interesse, data la natura dei sogni.
Carl Gustav aveva una teoria: ciò che si sperimenta nei sogni è equivalente alla realtà, il terrore provato negli incubi poteva essere identico al terrore di veri eventi. Un uomo che sognava di essere sepolto vivo avrebbe potuto essere stato davvero sepolto vivo, perché l’effetto su di lui era lo stesso. Sopravvivere a un incubo o alla realtà lasciava le stesse cicatrici psichiche. Così, molti pazienti dovevano essere trattati con l’idrato di cloralio o l’etere finché non si convincevano che medici, infermiere e inservienti non avevano intenzione di rimetterli nella tomba.
Tuttavia, il desiderio che il signor Pilgrim non riusciva a soddisfare era proprio di raggiungere la tomba. Com’era triste, quell’uomo alto e grosso. Emma l’aveva visto in lontananza, mentre camminava nella neve con Lady Quartermaine. I capelli gli stavano diventando bianchi, le aveva detto Carl Gustav, e la sua solitudine cresceva. Passava lunghe ore nella sala da musica ad ascoltare dischi di Mozart, Beethoven, Verdi e Puccini, o seduto al piano inciampando attraverso le note di Schumann e Schubert. E sempre si alzava e pestava i piedi se arrivava qualcuno a disturbarlo. Molta rabbia repressa, molte tempeste improvvise in quell’uomo alto e grosso.
Emma tornò in camera da letto e indossò la vestaglia. Avrebbe passato la mattinata nello studio di Carl Gustav, aperto il cassetto magico (perché così le appariva adesso) e finito la storia ambientata nel sole della tierra dorada. Già mentre scendeva le scale, con una mano sulla balaustra e l’altra sul suo bambino, immaginava di sentire l’abbaiare lontano di un cane e il battito delle ali impolverate di un volo di pellicani.