Alle sette e mezzo di mercoledì 19 giugno, Emma arrivò sulla soglia della camera da letto.
«Carl Gustav?»
Jung si voltò verso di lei, ancora nel sonno.
Emma si avvicinò. Il suo volto si librava sopra il letto.
«Lascia andare il cuscino», disse, e gli prese le mani. «Hai già rovinato il pigiama. Ti sei strappato i bottoni. Su... lascia che...»
Gli prese le dita e le costrinse ad aprirsi. «Non è il Titanic», gli disse. «Non stai annegando. Svegliati».
Jung non solo aveva mani, braccia e spalle irrigidite, ma anche le gambe e i piedi.
«Non riesco a respirare».
«Stai respirando. È tutto a posto».
«Che cosa è successo?»
«Come faccio a saperlo? Non sono più la tua compagna. Devi aver sognato. Hai gridato».
Jung si sedette sul letto. Guardò la moglie.
«Hai intenzione di lasciarmi?» disse all’improvviso, senza sapere che l’avrebbe detto.
«Mai, Carl Gustav», disse Emma. «Sono legata a te per la vita. Ma tu, l’ho scoperto adesso, vivi solo per la tua vita, e in nessun modo per la mia».
Emma si sedette in fondo al letto e si sistemò la vestaglia. Stava dormendo nella camera degli ospiti, piuttosto piacevole, ma di solito riservata alle visite di sua madre. Frau Rauschenbach amava esageratamente i fiori, e la tappezzeria, le tende e il copriletto erano come giardini interni, splendenti di rose, iris e peonie. Era una cosa che poteva stancare gli occhi, ma Emma teneva il minimo di lampade accese e l’effetto non era così opprimente.
«Ho pregato per la tua morte», disse a Jung con una voce incolore. «Ho pensato che dovevi saperlo. Ho pregato per la tua morte e sognato una vita che tu non conoscerai mai: la vita di un genitore amorevole e di un compagno protettivo. Pensavo semplicemente che dovessi saperlo. Vedo che sei tormentato. Ti osservo e ti ascolto. Voglio aiutarti, ma tu non me lo lasci fare. Così sia. Pensavo solo che dovessi saperlo. Ti amo ancora, ma tu non mi piaci più. Fa’ quello che vuoi, io baderò sempre a te; ma qualunque cosa accada, non ci sarà più amore. Portati la tua malattia dai tuoi pazienti. Usala lì. Diffondila. Non me ne importa più. Hai perso la tua ballerina. La contessa è morta. Opera tua, Carl Gustav. Tua. Ritiro quello che ho detto. Ci stavo pensando, e adesso mi rendo conto che lei è stata abbandonata da Carl Gustav Jung esattamente come sono stata abbandonata io, e sono stati abbandonati i suoi bambini, perché il suo interesse era altrove».
«Emma...»
«No, Carl Gustav. No. Va’ per la tua strada. Noi sopravvivremo senza di te».
Emma si alzò e lasciò la camera da letto.
Jung ricadde contro i cuscini.
Sette e quarantacinque. Canto di uccelli. Tende che si gonfiano.
Una nuova giornata. Una nuova vita. Ma era la vita che voleva?
Come promesso, alle dieci Jung arrivò alla suite 306.
«Bene, e come stiamo questa mattina?» chiese.
«La prego», disse Pilgrim, «non mi chiami per noi».
«È solo un modo di dire». Jung sorrise.
«Lo sarà anche», disse Pilgrim stizzito, «ma io non sono un modo di dire. Mi chiamo Pilgrim».
«Le chiedo scusa».
«È già orribile che Kessler si riferisca a noi con nauseante regolarità, ma lei dovrebbe capirlo. Kessler ha la scusa della stupidità. Lei no».
«Mi dispiace».
«Le crederò quando si rivolgerà a me chiamandomi per nome».
«Signor Pilgrim», disse Jung, e fece un secco inchino.
Erano entrambi in piedi.
«Vuole sedersi?» disse Pilgrim, e si accomodò. Indossava un vestito scuro, né nero né blu, ma di un tessuto che combinava i due colori. La cravatta era gialla. Nel taschino c’era anche un fazzoletto intonato, che sembrava un fiore rovinato. Pilgrim si compiaceva di cose simili, come sfoggiare il suo disgusto per il buon gusto riuscendo a non essere mai meno che impeccabile. L’arte di presentare se stessi, aveva detto una volta a Sybil, consiste nel suscitare un immediato sconcerto che viene contrastato da una lenta ritirata verso l’abitudine. La gente non si riprende mai dalle mie cravatte, ma non troverà mai un sarto paragonabile al mio. Essere memorabili è tutto, quando si tratta di vestiti.
Jung, vestito di tweed e con il camice bianco, per contrasto sembrava perversamente tetro. E aver dormito così male l’aveva lasciato livido e spossato. Tentò tuttavia di recuperare un po’ di energia e di sembrare almeno pronto per la seduta che li attendeva.
«Kessler mi ha detto che ha ricevuto in dono dei piccioni».
«È vero».
«Posso chiedere da chi?»
«Da un uccellatore».
«Un uccellatore?»
«Un uccellatore è uno che caccia, vende o alleva uccelli».
«Sì, certo. Così sarebbe un anonimo appassionato di uccelli».
«Sì. Anonimo. Solo un uccellatore».
«Sa spiegarsi perché potrebbe averglieli mandati?»
«No. Forse ha sentito della situazione spiacevole in cui mi trovo».
«E sarebbe?»
«La mia prigionia. In fondo, anche quando sono in gabbia, gli uccelli sono un simbolo di libertà».
«E secondo lei come ha fatto questo anonimo allevatore di uccelli a sentir parlare della sua situazione?»
«È ovvio. Io non sono più nel mondo».
«Questo non lo considera mondo?» disse Jung.
«Perché, lei sì?»
«Certo. È dove passo più di metà della mia vita».
«E l’altra metà?»
«A casa».
«Credo che lei voglia dire in libertà, dottore. Se qui lei passa più di metà della sua vita, la prego di ricordare che io passo qui tutta la mia».
«E le pesa, naturalmente».
«Non faccio nemmeno commenti».
«Perché parla di prigionia?»
«Sono libero di andarmene?»
«Quando starà bene sì, naturalmente».
«E quando starò bene? Quando lo dico io, o quando lo dice lei?»
«Quando lo dico io, come è giusto. In questo momento sono un miglior giudice della sua salute mentale di quanto non lo sia lei».
«Cosa diavolo è la salute mentale? Sembra una malattia».
Jung scoppiò a ridere. «Immagino che, nel caso di alcune persone, lo sia proprio», disse.
«Chi, per esempio?»
«Persone che hanno una vita eccessivamente ottusa a causa della mancanza di immaginazione».
«E?»
«E cosa?» chiese Jung.
«E quando lei parla della mia salute mentale, a quale salute mentale la paragona? A quella delle persone che hanno una vita troppo ottusa? Spero proprio di no».
«La confronto con il suo potenziale, che deve essere pienamente sviluppato».
«Non ho nessun potenziale da sviluppare, e non me ne potrebbe importare meno. Tranne che in un caso. Sarei felice se potessi morire».
«In questo caso, lei non sta bene».
Pilgrim distolse lo sguardo.
«Non è mai stanco, dottore?» chiese. «Non è mai esausto?»
«Ho i miei momenti. Certo».
«Io non ho momenti. Per me è uno stato costante. Ho cercato di farle capire con tutti i mezzi a disposizione che vivo da sempre, e lei non mi crede, non vuole credermi. Già questa è di per sé una cosa straordinariamente estenuante...»
Jung si alzò e andò a guardare fuori dalla finestra.
«Perché», disse, «lei che ha tali talenti, e un tale potenziale per raggiungere la grandezza, non vuole vivere?»
«Non ho nessun potenziale per una cosa del genere».
«Ce l’ha, e lo sa».
«Una volta, magari. Non adesso. Non più. E non me ne importa. La mia unica ambizione è la morte».
«E dice che vive da sempre».
«È così».
«Ma come fa a credere una cosa simile?»
«Non è questione di credere. È questione di sapere».
Jung sospirò. «Allora mi dica», cominciò, tornando da Pilgrim. «Se la sua immortalità ha preso la forma di vivere molte vite diverse – cosa che mi ha detto in varie occasioni – perché crede che porre fine a questa vita metterà fine all’intera parata delle altre? Lei non riapparirà semplicemente in forma di qualcun altro? O il fatto è che lei vuole mettere fine a questa vita?»
Lo sguardo di Pilgrim era fisso sulle sue mani. Dapprima non disse nulla. Poi: «Per un certo periodo, tutto quello che potevo fare era sperare. Sperare e pregare che una morte potesse essere la morte finale. La morte assoluta. La fine. Adesso, ho più di quella speranza. Ho ragione di credere che una vera fine sia possibile».
«Qual è questa ragione?»
Pilgrim alzò gli occhi su Jung. «Sono sicuro che non mi avrebbe dato la lettera di Sybil se non l’avesse letta anche lei. E se l’ha letta, saprà che lei è stata richiamata».
«Richiamata?»
«Convocata. Chiamata indietro. Gli inviati sono venuti a consegnare il messaggio. La sua missione è finita».
«Non capisco».
«La sua missione era di essere la mia testimone. La mia protettrice. Il mio legame con gli Altri. E se non c’è più bisogno di quei ruoli, allora la sola conclusione ovvia è che anch’io, presto, potrò essere richiamato».
Jung decise di passare a un’altra linea d’azione.
«Era innamorato di Lady Quartermaine?»
«In un cero senso, sì. Anche se non c’era nulla di fisico. Lei era da tanti punti di vista così simile a me, che la nostra relazione era inevitabile».
«Può spiegarmi che cosa intende dire?»
«Ne dubito».
«Non vuole provare?»
«Farò del mio meglio».
Pilgrim si sistemò sulla poltrona.
«In un certo senso», disse, «lei era mia sorella. Era il primo essere umano che ho conosciuto, o meglio, il primo essere umano che ho incontrato in questa incarnazione, anche se sono contrario alla parola incarnazione. Alcuni rinascono. Altri, come me, si limitano a cambiare una vita con un’altra. Fondamentalmente, restiamo sempre la stessa persona, e la nostra vita prosegue per sempre. È, è sempre stato un processo continuo. Ci si sveglia, ci si addormenta, ci si risveglia. Un giorno, uno si risveglia come vecchio cieco, la volta seguente come pastore spagnolo, la seguente come scolaro inglese. Ecco perché uno desidera morire e porre termine a tutto ciò. La nostra nascita non è che sonno, dottor Jung, sonno e oblio: l’anima che sorge con noi, la stella della nostra vita, ha avuto altrove la sua origine; e viene da lontano... Lo riprendo da William Wordsworth, che si è espresso con precisione. Ha detto anche: Il mondo sta troppo con noi; troppo tardi e troppo presto. Ancora una volta aveva ragione. Il mondo è rimasto troppo con me. E io sono rimasto troppo con il mondo».
Jung non aveva mancato di cogliere il riferimento al pastore spagnolo. Eppure, Manolo non era mai stato nominato nelle loro conversazioni, dato che Jung aveva mantenuto il silenzio sui diari.
«Lei parla di un pastore spagnolo e di un vecchio cieco. Può dirmi chi sono, chi erano, queste persone?»
«Il vecchio cieco lo conosce di sicuro. Il suo nome – il mio nome – era Tiresia. Il pastore? Mi ricordo appena di lui, ma ricordo il suo nome, Manolo».
La mente di Jung fu stretta da una stordente apprensione. Fu costretto a voltarsi.
«Ha qualche problema, dottor Jung?» disse Pilgrim dopo un po’.
Jung chiuse gli occhi. Tiresia era stato condannato dagli dèi a vivere per sempre? Di certo, come Cassandra, era un veggente, ma cieco.
Un veggente, ma cieco.
Come se leggesse nel pensiero di Jung, Pilgrim disse: «Le sacerdotesse di Delfi venivano accecate dal fumo. Era un atto volontario. Stavano su bacili al di sopra del fuoco e davano voce agli dèi, soprattutto Apollo. Cassandra, d’altra parte, non era cieca, e pertanto nessuno credeva alle sue profezie. Era condannata a non essere mai creduta, anche se di volta in volta le sue profezie si avveravano sempre. Lo so. Era mia amica».
No, pensò Jung. Non può essere. È un’invenzione. Una storia intricata, confusa, astuta. Demenza. Schizofrenia.
«E lei», disse, «anche lei è stato condannato a non essere mai creduto?»
La risposta di Pilgrim fu allo stesso tempo disinvolta e seria, come se fossero impegnati in una conversazione del tutto ordinaria. «Sono stato condannato più volte. È fin troppo facile contrariare gli Altri. Essere convocati alla loro presenza. Mi hanno condannato a vivere per sempre perché, cercando di non offenderne uno dicendo la verità, ne offesi un altro. Di conseguenza, ho dovuto subire un’eternità di incredulità. La stessa incredulità che prova adesso lei riguardo alla mia storia, l’incredulità che ha sempre accolto le mie affermazioni. Sono stato condannato anche a sperimentare vite di donna oltre che di uomo, e solo perché, giovane di diciotto anni, fui per caso testimone dell’accoppiamento dei Serpenti Sacri nel Bosco Sacro, e questo era contro tutte le regole fissate per i mortali dagli dèi. Era una forma di sacrilegio».
Jung si chiese se dovesse prendere appunti. Il Bosco Sacro. Era ciò a cui si riferiva Lady Quartermaine nella lettera, quando parlava del Bosco? Pazzi, tutti e due completamente pazzi...
Pilgrim sembrava perduto nel tempo. «La guerra», disse. «La prima di tutte le guerre che ho visto. È sempre con me». Sorrise chiudendo gli occhi. «Durante l’assedio di Troia, noi troiani avevamo la fama di decadenti. Mentre gruppi di aristocratici si radunavano sulle mura per osservare il massacro, schiavi in giacca bianca servivano il tè. Tè, e biscotti al burro con miele e uvette. Tè e ciò che adesso chiamiamo cocktail – liquori distillati da vari tipi di vini – versati da brocche d’argento in calici di vetro di Murano e tazze di porcellana cinese».
Jung lo fissò senza parole, poi distolse lo sguardo.
Pilgrim continuò: «E anche se non ci radunavamo mai durante le grandi battaglie, ci incontravamo sui bastioni sotto i parasole quando si svolgevano divertenti scaramucce, e sempre quando due eroi dovevano combattere in duello, uomo contro uomo o – avrebbe detto qualcuno – dio contro dio. Fu così che vidi la morte di Ettore. Pioveva, sa, quando morì. Un torrente. Achille lo legò per i piedi dietro un carro e partì con le braccia di Ettore gettate all’indietro e i suoi lunghi capelli neri sparsi nel fango... E non lo vedemmo mai più. Lo ricordo come se fosse stato ieri».
Jung diede una rapida occhiata a Pilgrim, che adesso aveva voltato la testa verso la camera da letto illuminata dal sole e la gabbia degli uccelli.
Abito scuro. Cravatta gialla. Impeccabile. Dita lunghe, belle mani, unghie lucide e curate. Ginocchia squadrate, caviglie sottili, cosce snelle ma proporzionate. Spalle larghe (le migliori per reggere le ali, avrebbe detto Kessler), collo lungo, mento vigoroso, un volto magro e cesellato con naso e zigomi prominenti, fronte ampia e occhi malinconici. I capelli, che ricadevano sulla fronte come neve accumulata dal vento, erano più bianchi adesso di quanto fossero in aprile, al momento del suo arrivo. Del tutto comprensibile.
«Una volta ho avuto i denti neri», disse pensosamente Pilgrim, sempre fissando la gabbia dei piccioni. «Le vetrate colorate, sa. Il piombo. Avvelena una persona. Diventa tutto nero – i denti, le unghie, la pelle – e poi si muore».
«Ma lei non può morire», disse Jung con una voce che era un sussurro.
«Io no, ma gli altri sì».
«In che modo ha avuto a che fare con le vetrate colorate?»
«Chartres. Ci è mai stato?»
«No. Mia moglie sì, ma io no».
«Sua moglie è fortunata. Lei è uno sciocco. È la più grande meraviglia del mondo occidentale». Pilgrim sorrise. Continuavano a non guardarsi l’un l’altro. «Ero mastro vetraio. Prendevo i pezzi di vetro tagliati da altri e li univo con il piombo. Lavoravamo insieme. È stata una delle cose più entusiasmanti che abbia mai fatto, nel corso del tempo».
«E quando dovrebbe essere stato?»
«In quello che lei chiama dodicesimo secolo».
«Non sono sicuro di capire che cosa intende per quello che io chiamo dodicesimo secolo».
«Io retrodato il calendario cristiano, dottor Jung. In entrambe le sue ridicole forme».
«Ridicole?»
«La nascita di Gesù Cristo è stata l’inizio e la fine del tempo?»
«Alcuni direbbero di sì».
«Alcuni sono pazzi», disse Pilgrim puntando su Jung uno sguardo fisso. «E altri no».
«Oggi è inflessibile, signor Pilgrim».
«Ho le mie buone ragioni. Me ne andrò presto».
«Credo di no».
«Vedremo».
«Torniamo alle vetrate. Che prove ha di essere stato a Chartres e di aver preso parte alla loro creazione?» Jung si preparò a scrivere sul suo taccuino.
«Ho inciso le mie iniziali su un pannello. Era blu, nella vetrata oggi nota come Notre Dame de la belle verrière».
«Nostra Signora della bella vetrata».
«La Vergine. Con Cristo bambino in grembo».
«Sì. Certo».
«Sì. Certo». Pilgrim imitò il tono di Jung. «Sì. Certo. Herr Doktor Citrullo. Chi altro doveva essere? Sono certo che lei la prega ogni giorno. Oppure ha qualche altro santo patrono?»
«Non ho santi».
«Si sarebbe tentati di dire che li aveva, una volta, ma l’hanno abbandonata. Col tempo, gli dèi ci abbandonano tutti. Se ne vanno, e i cieli restano vuoti».
Jung si sedette sul davanzale.
«Quali sarebbero state le sue iniziali, signor Pilgrim, a quel tempo?» La penna era pronta a scrivere.
«S.l.J. Simon le Jeune. Avevo ventidue anni. Mio padre era uno dei più grandi mastri vetrai di Francia. Ed era un mago del colore. Nessuno, ancora oggi, nessuno sa come riuscì a ottenere il blu di quella vetrata. È senza pari».
Senza dubbio i nomi erano veri. Simon e il figlio, il suo omonimo. Jung stava pensando: È uno storico dell’arte. È ovvio che conosce queste cose. Tutta la sua vita è stata consacrata agli studi, tutto ciò che dice e sa deriva da ricerche impeccabili, è stato impeccabilmente immaginato.
Poi pensò: Non sembra rendersi conto che ho potuto consultare i suoi diari, nonostante lo sfortunato incidente della lettera della Gioconda. Strano che non l’abbia ancora nominata. Mi chiedo...
Ad alta voce, Jung domandò: «Tutte queste vite, signor Pilgrim. In che modo, nel corso di ogni esistenza, arriva a conoscere le vite precedenti?»
«I ricordi arrivano esattamente allo stesso modo delle profezie: in sogno. Sogni che cominciano verso i diciotto anni, con ciascun nuovo personaggio. E, gradualmente, i sogni diventano ricordi...»
«Di sicuro non potrà ricordare tutto di ogni esistenza. O sì?»
«Certo che no. Non più di quanto riesca a ricordare lei tutto della sua vita. Ma ricordo chi sono stato proprio come lei o chiunque altro ricorda chi ha conosciuto nel corso del tempo. E, gradualmente, i ricordi delle vite passate cominciano ad annebbiare i primi anni della vita presente. Così succede che ricordo ben poco del ragazzo che sono stato. Intendo di Pilgrim ragazzo».
Jung decise di cambiare un’altra volta direzione.
«Questa sua ricerca dell’immortalità», disse. «Che cosa l’ha spinta a cominciarla?»
Pilgrim spalancò gli occhi su Jung, incredulo.
«Non mi ha spinto proprio niente», disse. «Lei non sta ad ascoltare!»
Pilgrim si alzò e fece girare lo sguardo sulla stanza, come se cercasse qualcosa.
«Non c’è da meravigliarsi che qui dentro siamo tutti matti», disse. «Che abbiamo perso la sanità mentale. I nostri dottori rifiutano di ascoltarci!»
Jung non disse nulla.
Pilgrim andò in bagno e tornò con un bicchiere d’acqua. Se lo portò alle labbra, rovesciò la testa all’indietro e lo prosciugò. Quindi lo gettò per terra.
Jung non si mosse.
Pilgrim disse : «Lei mi ha visto bere l’acqua. Mi ha visto. Ma il bicchiere che la conteneva è in frantumi. Vero? La verità – la mia storia – è l’acqua. È in me. Il bicchiere rotto è la sua reazione alla verità. Also sprach Zarathustra!»
Pilgrim tornò a sedersi e si asciugò con il fazzoletto giallo, che appallottolò e strinse nella mano.
Finalmente Jung disse: «Mi dica chi era Lady Quartermaine».
Era una frase così inaspettata che Pilgrim rimase in silenzio. Poi disse: «Tutto quello che deve fare è pensare al suo nome».
«Sybil?»
«Sybil. Una sibilla, Herr Doktor Testa-di-Legno, è un oracolo. Come a Delfi. Era stata scelta da Apollo per parlare con la sua voce. Alcuni le chiamavano sacerdotesse, altri voci. Nei tempi moderni le chiamiamo medium».
«Tutto questo lo so», disse Jung. «Volevo solo sapere se quel nome era solo una coincidenza».
«Non era una coincidenza. Le era stato dato dagli dèi. Gli stessi dèi, senza dubbio, che l’hanno richiamata a casa».
«Capisco».
Completamente pazzo.
Restarono seduti in silenzio, Jung sul davanzale della finestra, Pilgrim nella poltrona, con il fazzoletto giallo ancora stretto in mano.
«È morta, signor Pilgrim. Era umana ed è morta».
«Lo dice lei».
«Lo dico io». E poi: «Anche Sybil viveva da sempre, come lei?» La voce di Jung era quasi priva di intonazione. Parlava come avrebbe potuto parlare un prete a un penitente, in maniera pratica e senza emozione.
Pilgrim afferrò il bracciolo di vimini della poltrona.
«Non da così tanto», rispose.
«E la sua morte? Vede un significato nel fatto che è morta?»
Pilgrim si piegò in avanti.
«Prego», disse, «che significhi che i miei giorni sono finalmente segnati. Forse è vero che, dopo tanto tempo, gli dèi ci stanno abbandonando e il loro ultimo dono è la morte».
Jung sbatté gli occhi. Distolse lo sguardo.
Il dolore di quell’uomo era fin troppo reale. In realtà, era insopportabile.
Jung si trovò a pensare: Aver atteso così a lungo...
Poi aggrottò le sopracciglia e chiuse il taccuino.
Si alzò in piedi.
«Se ne va?» chiese Pilgrim.
«Sì».
«Non posso dire che mi dispiace».
Jung andò verso la porta, fermandosi a raccogliere la cartella da musica e infilandoci dentro il taccuino.
«Signor Pilgrim», disse, «devo dirle che desidero con tutto il cuore aiutarla. Ma, per il momento, non posso».
Pilgrim non disse nulla.
Con la mano sul pomolo della porta, Jung si voltò e guardò la figura seduta nella stanza illuminata dal sole.
«Stanotte ho fatto un sogno», disse. «Non un sogno: un incubo. Ho sognato che tutto il mondo era in fiamme e che nessuno impediva alle fiamme di dilagare...»
Pilgrim fissò la mano che stringeva ancora il fazzoletto. E se capisci la natura profetica del tuo sogno, pensò, nessuno crederà nemmeno a te.
«Era più terrorizzante di quanto riesco a dire, e pensavo che non finisse mai. Era l’inferno puro e semplice. Ma ho trovato un modo per farlo finire».
«Ah?» disse Pilgrim, rimettendo il fazzoletto nel taschino. «E come ha fatto?»
«Mi sono svegliato», disse Jung. «Cosa che spero farà anche lei».
Quando Jung se ne fu andato, Pilgrim rimase immobile.
Sono un animale, pensò. Sono un animale senza cacciatori. Non ci sono predatori. Se solo venisse qualcuno con un fucile. Se solo una belva ancora ignota uscisse dalla foresta e mi divorasse. Se solo gli dèi che continuano a proteggermi voltassero lo sguardo e lo posassero su qualcun altro, chiunque. Se solo i fiumi si innalzassero per sommergermi o le montagne precipitassero per seppellirmi. Se solo la vita non fosse così tenace. Se solo la vita lasciasse perdere.