1.

Al tramonto, Pilgrim e Forster avevano raggiunto Basilea. La Renault era piccola, robusta e agile. Era nera. Forster aveva seguito un corso elementare di meccanica presso l’officina del venditore, che gli aveva illustrato le esigenze fondamentali della macchina. Erano relativamente poche e semplici: come cambiare una gomma, dove mettere olio e acqua, come usare la manovella e cosa fare se il motore non si accendeva. Forster aveva anche preso lezioni di guida ed era diventato un autista indemoniato. Aveva acquistato un berretto di tweed con visiera, uguale a quello che aveva visto in un articolo di giornale sull’abbigliamento ideale per guidare l’automobile, e adesso lo portava al contrario, per avere un’aria ancora più impetuosa, ricordando fotografie di giovani temerari che correvano a cento chilometri l’ora! Il cappello era corredato di occhiali colorati stretti da una cinghia. Indossava anche un paio di guanti robusti, perché gli avevano detto che l’olio rovina le maniche dei vestiti se schizza dalle latte mentre lo si versa.

Non solo gli abiti correvano rischi a causa delle latte d’olio, ma ci si poteva scottare toccando il radiatore, perché il radiatore non si limitava a schizzare. Eruttava sibilando e sparava vapore in faccia. Altra buona ragione per indossare guanti, occhialoni e un robusto soprabito. Forster ne aveva scelto uno garantito per affrontare le tempeste. Lo faceva assomigliare all’eroe di un libro d’avventure.

Durante il viaggio, Pilgrim e Forster restarono quasi sempre in silenzio. Pilgrim, la cui memoria era stata fiaccata dalla prospettiva di una prigionia che pareva infinita, stava tornando consapevole del recente passato. Il suo cameriere era lentamente emerso dalla nebbia dei vaghi ricordi ed era ormai una figura pienamente riconoscibile, il cui posto nella vita di Pilgrim era familiare e rassicurante. Sembrava quasi che non ci fosse nulla da dire, dato che si conoscevano l’un l’altro tanto profondamente. Inoltre, non avevano mai parlato molto fra loro. Non era necessario. La comune passione per i piccioni era silenziosa. Bastavano poche frasi discrete per comunicare come ci si sentiva in un dato giorno o come si voleva passare un’ora, e pertanto anche le richieste di un particolare abbigliamento venivano espresse in poche parole.

Quando era indispensabile si organizzavano cene – Pilgrim odiava il ruolo del padrone di casa – ma in quei casi Forster non mancava mai di ottenere uno strepitoso successo, che gli ospiti avrebbero commentato per settimane. Aveva letto venti volte da cima a fondo le opere della signora Beeton, e teneva una copia di ogni suo libro su uno scaffale della dispensa. Se e quando era in disaccordo con lei, semplicemente ignorava i suoi consigli e seguiva il proprio giudizio. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, obbediva al gusto superiore della signora. Amava mandare avanti la casa, la silenziosa efficienza e la dignità di servire un gentiluomo le cui esigenze erano poche ma assolute. In presenza di un ospite, portare esattamente quindici minuti dopo il suo arrivo la caraffa dello sherry e i bicchieri; condurre fuori il cane due volte al giorno; preparare il bagno e i vestiti da indossare. Per non parlare del servire i pasti.

Forster governava la cucina insieme alla signora Matheson, in una maniera cordiale e con poche discussioni. Sceglievano i menu e in rarissime occasioni si trovavano in disaccordo sul fornitore da preferire. Ma nel complesso era una casa ben ordinata sotto la supervisione di Forster, e la recente inclusione del ragazzo Alfred aveva dato sia a lui sia alla signora Matheson la gradita possibilità di spostare l’attenzione sul futuro. Quanto alla gestione dei bisogni personalissimi di Pilgrim, era tutta un’altra questione.

Forster sapeva che una casa non è tutta la vita. È semplicemente il luogo in cui una persona agisce. Il senso della riservatezza che aveva Pilgrim era assoluto. Aveva bisogno di stare molte ore da solo, quando scriveva. Lo stesso quando studiava. Sapere in che modo si poteva interromperlo era di fondamentale importanza, e in questo campo Forster si era conquistato la palma del trionfo.

Mentre attraversavano montagne e valli, Forster sorrise al ricordo di una particolare lezione sui modi di interrompere. Una sera, durante una cena, Forster si era trovato ad ascoltare, con discrezione naturalmente, lo storico F.R. French parlare del cerimoniale alla corte di re Luigi XIV, il Re Sole. Il professor French era, come si conveniva al suo nome, uno dei maggiori esperti inglesi di storia francese, e assomigliava vagamente a Voltaire, con il mento sporgente e un naso enorme. Parlava delle disgustose abitudini dei cortigiani di Versailles, la reggia progettata da Luigi XIII e portata a termine dal Re Sole, che vi aveva trascorso l’ultima parte della vita.

Pilgrim e il professor French erano soli a tavola. Avevano mangiato agnello (mai montone!) e l’aria profumava della menta che la signora Matheson aveva tritato per una salsa a base di aceto e zucchero. Forster stava servendo i piselli freschi mentre il professor French raccontava che, poiché vigeva un rigoroso cerimoniale sull’ordine secondo il quale i vari membri dell’aristocrazia erano ammessi alla presenza del re, i cortigiani erano restii a rinunciare al posto nella famosa Galleria degli Specchi che conduceva alle camere reali. Ma le persone, anche quelle di alto rango, hanno le loro esigenze, e per questo dietro gli aranci in vaso erano nascosti pitali, che emanavano – come disse il professor French – une odeur infecte! Non solo: gli uomini si svuotavano la vescica dietro gli arazzi senza nemmeno uscire. Le meraviglie offerte agli occhi dallo scenario nascondono ancora oggi le vere azioni dei personaggi, secondo il professor French. Era una corte vestita di sete e broccati, con le maniere di un ospizio di straccioni.

Forster aveva portato le patate al burro con prezzemolo.

Il professor French continuò. Nei giorni in cui era ancora bambino, il futuro re fu mandato a dire addio al padre, Luigi XIII, che giaceva sul letto di morte. Il cerimoniale che riguardava l’entrata in una camera reale era ricco di gesti simbolici. Nessuno bussava, ma nessuno naturalmente apriva la porta ed entrava senza chiedere permesso. Per entrare bisognava grattare.

Grattare? aveva detto il signor Pilgrim. Grattare?

Sì. Con l’unghia dell’indice bisognava grattare la porta e aspettare l’entrez. Molti cortigiani, in verità, si facevano crescere l’unghia dell’indice più delle altre, proprio per lasciare il segno. In ogni caso – Forster ormai stava servendo pomodori in umido – mentre Luigi XIII stava morendo, il bambino che gli sarebbe succeduto giunse alla porta della camera da letto e diede l’abituale grattata. Era un diavolo di bambino, come sappiamo adesso, e di spirito dispettoso. Chi c’è là fuori che disturba i miei ultimi momenti? chiese Louis Treize. Louis Quatorze, disse il futuro re di Francia.

Il signor Pilgrim rise tanto forte e a lungo che Forster decise in quel momento che una grattata col dito sarebbe stata di lì in poi il suo segnale, quando aveva bisogno di entrare; un gesto debitamente notato e apprezzato dal signor Pilgrim, che per un breve periodo rispose alle grattate di Forster dicendo: Entra, Louis, entra.

Adesso, Forster era diventato non solo cameriere, maggiordomo e autista di Pilgrim; stavano per cominciare una vita di delitti alla quale il loro passato in comune non li aveva preparati. Finite erano le esibizioni di fascino e di piacere; finiti anche i giorni dell’erudizione solitaria e delle doverose attenzioni. Se c’era stato un periodo in cui bisognava sopravvivere a tentativi di suicidio e a profonde depressioni, adesso si prospettava un sentiero di distruzione verso la morte che non aveva precedenti nella discesa di Pilgrim verso l’oscurità. In precedenza, Forster non aveva mai messo in dubbio la salute mentale del padrone, nemmeno nei peggiori momenti della disperazione e della sua apparente incapacità di accettare la vita. Allora, Pilgrim era sempre risalito verso la luce.

Ma adesso c’era una differenza, e Forster, seduto a cena di fronte a Pilgrim nel ristorante dell’Hôtel du Rhein a Basilea, vedeva con tutta chiarezza che qualcosa non andava. Il signor Pilgrim, un tempo arbitro del gusto, era evidentemente trasandato. La cravatta era storta. I capelli, in cima alla testa, erano ritti come quelli di un giovane atleta appena tornato dal campo sportivo, e le mani erano ancora avvolte in quella specie di mezzi guanti formati dai fazzoletti. Forse Pilgrim aveva allentato la presa sulla sua ragione, e gli occhi lo rivelavano. Erano gli occhi di un anarchico che si è accorto che lui e solo lui potrà salvare il mondo.