3.

A Parigi, venerdì 28 giugno, Pilgrim e Forster firmarono il registro dell’Hôtel Paul de Vère, in rue Berger, sulla riva destra della Senna, a circa sei isolati dal Louvre.

L’hotel era stato scelto su una guida e offriva tutte le comodità a un prezzo modesto. Un albergo borghese invece che uno agli estremi della scala sociale, ragionava Pilgrim, sarebbe stato l’ultimo posto dove chiunque lo avrebbe cercato a Parigi, ammesso che qualcuno avesse indovinato la sua destinazione.

Il viaggio aveva richiesto sette giorni in tutto, dato che il loro itinerario era stato determinato dalla disponibilità di strade adatte. Gran parte delle strade che avevano percorso erano state un tempo sentieri di mandrie e di greggi, innalzate alla dignità di grandi strade ai tempi delle vetture di posta del diciottesimo e diciannovesimo secolo. Città e villaggi che attraversarono o in cui fecero tappa offrivano un’ampia disponibilità di caffè, ristoranti, locande e alberghi. Da Basilea, avevano percorso l’Alsazia e raggiunto Belfort, e da Belfort per Langres e Chaumont erano arrivati a Troyes.

A Troyes avevano affidato l’automobile alle cure di una stazione di posta il cui fabbro aveva studiato meccanica ed era estremamente addentro ai misteri dei motori a combustione interna.

Mentre Forster e il fabbro chiacchieravano e il fabbro puliva le candele e oliava la manovella, Pilgrim entrò nelle stalle e assaporò l’odore di fieno e di cavalli. Fu un momento felice in una vicenda altrimenti segnata dall’angoscia, un momento da gustare e di cui inebriarsi. Fieno e cavalli, pensò, fieno e cavalli. Sembra che abbia sempre amato il loro odore.

La sua mente formò pian piano un’immagine in precedenza dimenticata, di lui come ragazzo di stalla in una grande proprietà. Spuntò la parola Waterford, ma tutto quello che evocava erano vetri e cristalli. E Irlanda. Se una volta fossi stato irlandese, non mi dispiacerebbe affatto.

Si vide innalzato al rango di stalliere allenatore, quando usciva nelle mattinate nebbiose, con la rugiada fredda come ghiaccio contro le caviglie nude. E accompagnava i cavalli uno a uno, insieme a uno o due altri ragazzi, e quando la vista delle stalle e della casa padronale era ormai impedita da un velo di nebbia, i ragazzi montavano gli animali e correvano di gran carriera verso il mattino.

Oh, la sensazione di averli sotto di sé, il loro odore, e io che mi sdraiavo sul loro collo... I destrieri neri, quelli roani, i grigi e i rari, rari bianchi. Se potessi riaverla, è stata la migliore delle mie vite, la più semplice di tutte, anche se non so quando e dove fosse...

Più tardi, andò ad appoggiarsi a un muro di pietra nel cortile della stazione di posta e guardò i campi coltivati verso la città di Troyes, e la città in sé, i suoi fuochi e il fumo, i tetti e gli alberi e le torri. Strinse gli occhi ed evocò un’altra città in un altro luogo e in un altro tempo, dove i boschi illuminati dal sole erano del tutto diversi da questi, meno lussureggianti, più secchi, meno sereni, più tormentati. La regale città di Troia si levò in tutta la sua maestà dalle steppe che scendevano verso il mare e l’Ellesponto.

Giocò con quell’immagine come un bambino giocherebbe con i luoghi delle fiabe. Era la sua Camelot e la sua Atlantide. Era la sua Città di Smeraldi di Oz.

Era stata cintata di mura, mura di immenso spessore e altezza, e oltre le mura si innalzavano le pendici di colline che conducevano attraverso la polverosa foschia della calura al lontano monte Ida e alla sua catena. Gli alberi delle colline circostanti erano platani e querce, e in alcuni luoghi erano stati decimati per costruire merlature e torri da battaglia e carri da battaglia e arieti da battaglia, ponti da battaglia e navi da battaglia. Battaglia, battaglia, battaglia, battaglia...

Pilgrim chiuse gli occhi.

Sentiva l’odore del carbone di legna che ardeva nella fornace alle sue spalle. Udiva il suono dei martelli.

Nulla cambia, pensò. Tutta la nostra genialità è stata volta alla costruzione e all’invenzione di macchine da guerra. Abbiamo seguito Leonardo nelle zone più oscure della sua immaginazione, dimenticando che lui diffondeva anche la luce.

Pilgrim aprì gli occhi e fissò di nuovo la città. Troyes. Già erano spuntate fabbriche d’armi e magazzini militari. Edifici di taglia gigantesca e di monumentale bruttezza sfregiavano la periferia. Treni che eruttavano fumo e cenere tagliavano i campi, disperdendo pecore e vacche e facendo fuggire i cavalli. Una nube grigia e bassa di denso vapore era sospesa sui tetti. Ed era sempre...

Lo stesso.

Non c’è da meravigliarsi che gli dèi se ne stiano andando, pensò. Li abbiamo cacciati via. Un tempo, ogni albero era sacro, ogni albero, ogni filo d’erba, ogni zolla di terra. Le stesse pietre erano sacre e tutto ciò che viveva, piccolo o grande che fosse... Ogni elefante e ogni formica, ogni uomo e ogni donna. Tutto era sacro. Tutto: il mare, il cielo, il sole, la luna, il vento, la pioggia, il più splendido e il più orribile dei giorni... Tutto questo è finito ed è rimasto un Dio sordo, che non può vedere, e reclama come sua tutta la creazione. Se la gente investisse un centesimo della sua devozione per questo Dio nei vivi fratelli e sorelle in mezzo ai quali abitano, forse potremmo avere una possibilità di sopravvivere... Ma per come stanno le cose...

Pilgrim chiuse di nuovo gli occhi e il paesaggio davanti a lui svanì. Si voltò verso la stazione di posta e parlò a Forster.

«Prossima tappa Fontainebleau», disse, un nome che aveva il profumo delle foreste e il suono argentino dell’acqua che cade nell’acqua.

La Renault era pronta e, dopo aver ringraziato e pagato il fabbro e salutato i cavalli, ripresero il viaggio.

A Fontainebleau avevano portato nel bosco un cesto da picnic preparato da Forster, e si sedettero tra felci e fiori di campo a mangiare panini con petto di pollo, pere, formaggio Boursault e petits fours assortiti, bevendo anche due bottiglie di Montrachet.

Pilgrim si era sdraiato alla fine del pasto e si era lasciato accompagnare nel sonno dalla ninna nanna delle foglie sopra di lui. Anche Forster riposò, ma restò sveglio. Solo uno che dorme, d’ora in poi, stabilì. Siamo diretti verso il pericolo.

Svegliandosi, Pilgrim aveva preso appunti in un quaderno che Forster gli aveva messo da parte. Scrisse le parole: Da qui alla fine, solo terra, aria, fuoco e acqua. Nient’altro...

Aveva alzato lo sguardo su Forster e disse: Grazie di essere con me adesso.

Fu l’unica sembianza di tenerezza che passò tra loro, ma per Forster valeva un intero mondo, e l’avrebbe ricordata a lungo.

 

L’Hôtel Paul de Vère non era molto grande. Aveva venti stanze e non serviva pasti. Però offriva stanze comunicanti con bagno e toilette, e la mattina una scelta fra tè, caffè o cioccolato e brioche.

La prima sera cenarono in un vicino ristorante nella rue Berger. La piena estate aveva attirato un gran numero di turisti e le voci attorno a loro parlavano – oltre che francese – inglese, tedesco, italiano, spagnolo e l’ormai onnipresente americano.

«Non è incredibile, Calvin?» diceva una donna. «Siamo seduti qui in un bistrot francese! Non mi sono mai sentita così sofisticata in tutta la mia vita».

I sofisticati erano dappertutto, e non erano solo americani. Un gruppo di inglesi si lamentava del fatto che nessuno sul continente sembrava capire la ragione della grandezza britannica.

«È la nostra fibra», insisteva uno.

«È la nostra laboriosità», diceva un altro.

«È il nostro entusiasmo nel portare la civiltà a tutti i poveri negri ottenebrati che ci sono nel mondo», disse un terzo.

È la nostra sete di sangue, mormorò Pilgrim tra sé.

Quando arrivarono il caffè e il cognac, Forster si arrischiò a chiedere: «Potrei sapere, signore, perché abbiamo scelto Parigi?»

Pilgrim posò la mano sinistra sulla tovaglia bianca, allargando il più possibile le dita. Con l’altra mano seguiva il bordo del bicchiere, inumidendosi il dito in bocca per facilitare il movimento.

«Siamo qui per rapire una certa signora», disse.

Per Forster, la frase aveva un inconfondibile suono sherlockiano. Un brivido lo attraversò. A lui sarebbe toccata la parte del dottor Watson.

In una sorta di tributo al ruolo che stava per assumere, si sfiorò i baffi con le dita.

«E di quale signora si tratterebbe, signore?» chiese.

«Madonna Elisabetta del Giocondo», disse Pilgrim. «Monna Lisa».

La Gioconda.

Forster impallidì.

«Ma non possiamo, signore. Non ce lo permetteranno».

Pilgrim sorrise.

«Certo che non ce lo permetteranno», disse. «Perché dovrebbero? È il più grande tesoro che possiede la Francia. E un giorno di questi sarà nostro».

Forster lo fissò e poi si costrinse a distogliere lo sguardo. Non dire niente, si raccomandò. Non dire una parola.

Pilgrim bevve il cognac e disse: «Piacevolissima serata, Forster. Assolutamente gradevole».

«Sì, signore, proprio così».