Arent era appena uscito dalla cabina del velaio, quando a mezza nave suonò una campana, il batacchio azionato dal nano in piedi su uno sgabello.
«Fuori, bastardi!» gridava, sputacchiando tutt’attorno. «Tutti sul ponte».
I boccaporti si spalancarono e i marinai emersero a frotte dai ponti inferiori come topi che fuggono dal fuoco. Ammassandosi l’uno sull’altro, arrampicandosi veloci sul sartiame o sedendosi sui parapetti, insomma gettandosi su ogni centimetro di superficie disponibile, riempirono il ponte di coperta tra spintoni e risate.
Arent fu rispedito verso la prua della nave, fino a trovarsi schiacciato contro la stessa porta da cui era appena uscito, mentre l’aria si riempiva sempre di più degli odori di sudore, birra e segatura.
Il capitano della guardia Jacobi Drecht gli diede il bentornato con un colpetto alla tesa del proprio cappello.
Lui non si era mosso di lì, tranne che per addossarsi al castello, con la suola della scarpa contro la parete. Da una pipa in legno intagliato che teneva tra i denti usciva un fumo nauseante. La sciabola che fino a pochi minuti prima era stata puntata contro il petto di Arent, era ora appoggiata accanto al capitano della guardia, come un’amica che gli tenesse compagnia.
«Che cosa succede?» chiese il mercenario.
Drecht si tolse di bocca la pipa, grattandosi la commessura delle labbra con il pollice. Alla luce del sole, i suoi occhi semichiusi, incastonati tra il largo cappello e il groviglio della barba bionda, simile a un nido d’uccello, erano sorprendentemente azzurri.
«È un rito del capitano Crauwels» disse, indicando con il mento il cassero, dove un uomo tarchiato dalle spalle larghe e le gambe robuste se ne stava con le mani incrociate dietro la schiena. La sua bocca volta all’ingiù suggeriva un’indole severa.
«Quello è il capitano?» chiese Arent, sorpreso. Era vestito meglio di molti generali che aveva incontrato. «Elegante come la moglie di un predikant, non credete? Che cosa ci fa alla guida di un Indiaman? Potrebbe vendere il suo guardaroba e ritirarsi con tutte le comodità».
«Fate sempre così tante domande?» gli chiese Drecht, guardandolo di traverso.
Arent gli rispose con un grugnito, seccato di essere stato scoperto tanto facilmente. Quella costante curiosità era opera di Sammy. Accadeva a chiunque trascorresse un po’ di tempo insieme a lui.
Lui ti cambiava.
Cambiava il modo in cui pensavi.
Prima di diventare la guardia del corpo di Sammy, Arent era stato un mercenario per diciotto anni. All’epoca, il suo unico interesse erano le sciabole, i proiettili e qualunque cosa stesse cercando di ucciderlo in quel momento. Non era tipo da agitarsi inutilmente: non poteva permetterselo. Il mercenario che, vedendo una lancia, ci pensava su un po’ troppo, finiva con metà della sua lunghezza ficcata nel petto. Ora invece, vedendo una lancia, si chiedeva chi l’avesse realizzata, come fosse arrivata nelle mani del soldato, chi fosse il soldato, perché si trovasse lì... e così via all’infinito. Era un dono maledetto, grazie al quale non era più né carne né pesce.
Crauwels sorvolò con lo sguardo l’equipaggio riunito, registrando ogni dettaglio di ogni uomo sotto il suo scrutinio.
Attorno a loro la pioggia picchiettava sul ponte.
A una a una, le conversazioni si smorzarono, fino a che si udirono solo i tonfi delle onde contro lo scafo e lo stridio degli uccelli che volavano in circolo sopra le loro teste.
Il capitano aspettò ancora un secondo, lasciando che il silenzio si consolidasse.
«Ogni uomo a bordo di questa nave ha dei motivi per rivedere terra» disse poi con voce piena e profonda. «Magari è una famiglia che lo aspetta, o il suo bordello preferito, o solo il portamonete vuoto da riempire».
La dichiarazione fu accolta da sommesse risate.
«Per vedere le nostre famiglie, per riempire i nostri portamonete, per continuare a respirare, dobbiamo tenere a galla questa nave» continuò il capitano, posando entrambe le mani sulla balaustrata davanti a sé. «Insidie ce ne sono in abbondanza. Verremo perseguitati dai pirati, sferzati dalle tempeste, e questo maledetto mare agitato cercherà di scagliarci contro gli scogli».
L’equipaggio riprese a mormorare con fervore, raddrizzando un poco le schiene.
«Credete almeno a questo, se non credete a nient’altro». Crauwels alzò la voce. «Dietro ogni bastardo ce ne sarà sempre un altro e, per tornare a casa, per rimettere le mani su tutto ciò che ci sta aspettando lì, dovremo essere più bastardi di loro». Le sue parole si diffusero come fiamme, e l’equipaggio esultò. «Se i pirati ci attaccheranno, vivranno abbastanza a lungo da vedere i loro compagni massacrati e la loro nave battere la nostra bandiera. Una tempesta non è altro che vento nelle nostre vele; e qualunque onda ci venga incontro, noi la cavalcheremo fino ad arrivare ad Amsterdam».
La clessidra venne girata, la campana suonò di nuovo un unico rintocco, rispedendo i marinai al loro lavoro, e sul ponte si levò un altro grido di esultanza. Due ponti più sotto, quattro uomini corpulenti presero a girare la ruota dell’argano, il cui meccanismo stridente iniziò a sollevare le tre ancore del Saardam dal fondo dell’oceano. Fu dato l’ordine per una rotta e una velocità, le istruzioni trasmesse dal capitano al primo ufficiale e da questi al timoniere.
Infine, fu spiegata la vela di maestra, e il buonumore si tramutò in sgomento.
Sulla grande tela bianca increspata dal vento, era stato disegnato con la cenere un occhio con una coda.