30.

I rumori della ricerca degli stracci del lebbroso echeggiavano per tutta la nave: casse aperte senza troppi riguardi e oggetti personali rovesciati sul pavimento tra le lamentele dell’equipaggio. Le vele erano state ripiegate e le ancore calate, le scialuppe galleggiavano sull’acqua sotto il ponte di coperta, e i capitani della flotta stavano salendo le scale di corda. Erano un gruppetto difficile da mandare giù, sempre a lamentarsi. Larme si era tolto di mezzo, almeno fino a che non se ne fossero andati.

Lavorava con accanimento al suo intaglio.

Era seduto sulla polena a forma di leone che sporgeva dalla prua della nave, le corte gambe sospese nel vuoto, a tagliuzzare un pezzetto di legno con il coltello. Nessun altro si spingeva fin lì. Non avevano la sua agilità.

Inoltre, quel posto puzzava.

Dietro di lui c’era la serpa, un piccolo ponte a graticcio che l’equipaggio utilizzava per scaricarsi nell’acqua sottostante, imbrattando l’intera prua della nave. L’odore gli faceva lacrimare gli occhi, ma gli sembrava un piccolo prezzo da pagare, per essere lasciato in pace.

Rigirò il coltello, cercando di rimuovere dal blocco di legno un frammento ostinato. Era di pessimo umore. Lo era normalmente, ma questa volta c’era una ragione. Attardarsi quando il mare era favorevole portava sfortuna; il vento poteva pensare che non avessero più bisogno di lui. E peggio ancora, c’era la minaccia dei pirati. Infestavano quelle acque, e una flotta mercantile stracarica all’ancora sarebbe stata una facile preda, per loro.

«Lebbrosi» mormorò sprezzante, staccando il frammento. «Come se tu non avessi già abbastanza problemi». Accarezzò lo scafo, come altri avrebbero fatto con un animale domestico.

La Saardam non era solo chiodi e legno, non più di quanto un bue fosse solo muscoli e tendini. Aveva una pancia piena di spezie, grandi ali bianche sulla schiena e un enorme corno che indicava la via di casa. Ogni giorno, le lisciavano il mantello con la pece e le ricucivano la carne lacerata. Mettevano dei punti a quelle delicate ali di canapa e la guidavano gentilmente attraverso pericoli che lei era troppo cieca per vedere.

Non c’era un uomo, a bordo, che non l’amasse. Come potevano non farlo? Era la loro casa, il loro sostentamento e la loro protezione. Molto più di quanto qualunque altro bastardo avesse mai dato loro.

Larme odiava il mondo al di fuori di quei ponti. Per le strade di Amsterdam, era una creatura da picchiare, derubare e deridere. Era stato preso a calci in lungo e in largo, e poi gli era stato detto di fare la ruota, per intrattenere la gente mentre lo maltrattava.

Nell’istante in cui aveva messo piede su un Indiaman, aveva capito di essere a casa.

Quello era un mondo costruito a sua misura. Non importava che fosse alto la metà di tutti gli altri, se sapeva virare e strambare. Sì, l’equipaggio rideva di lui alle sue spalle, ma ridevano di tutti. Era quello che facevano per la metà del tempo, per evitare di impazzire durante la traversata.

Se una tempesta lo avesse spinto fuori bordo, avrebbe messo la mano sul fuoco che ognuno di quegli uomini avrebbe allungato il braccio per afferrarlo. Se l’avessero preso a calci ad Amsterdam fino a ucciderlo, almeno altri cinque passanti si sarebbero uniti al divertimento.

Dal suo intaglio cadde un pezzetto di legno. Non era ancora sicuro di che cosa sarebbe diventato. Non era abbastanza bravo da permettersi azzardate dichiarazioni, ma la sua creazione aveva le gambe. Quattro, a dire il vero, ma era comunque più di quanto avesse mai ottenuto prima. Sentendo dei passi alle sue spalle, si voltò e vide il capitano della guardia Jacobi Drecht spingere un moschettiere e un marinaio su per la scala del castello di prua.

Larme riconobbe Henri, l’aiuto carpentiere che Johannes Wyck aveva malmenato dopo aver scoperto che aveva raccontato delle storie a Sara Wessel. Il suo volto era gonfio come una vecchia rapa.

Il moschettiere, invece, era Thyman. Si era inimicato Arent Hayes sbattendo a terra il cacciatore di taglie durante l’imbarco. Quella volta se l’era cavata con poco, ma adesso no. Gli stava venendo un occhio nero. Evidentemente, Henri e Thyman si erano picchiati.

Larme scese dalla polena, camminando in equilibrio sul bordo della serpa imbrattata per poi saltare oltre il parapetto sul castello di prua.

Da sotto la tesa del cappello, Drecht socchiuse gli occhi e si sistemò la spada.

Isaack Larme non si spaventava facilmente – buona parte del lavoro di un primo ufficiale consisteva nel farsi odiare al posto del capitano – nondimeno strinse un po’ più forte il coltello che aveva in pugno. Era passato molto tempo dall’ultima volta che si erano incontrati, ma la maggior parte della gente non dimenticava un nano.

«Siete voi, Larme?» gli domandò il capitano della guardia.

«Sì, sono io» rispose il primo ufficiale, senza preoccuparsi di nascondere il proprio disprezzo.

«Non dimentico mai un brutto ceffo» gli disse Drecht, con un sorrisetto malizioso che gli scomparve dal volto non appena si accorse che non sarebbe stato ricambiato.

«Si sono picchiati?» chiese Larme, sfregando il portafortuna con il mezzo volto che portava al collo. Non che sembrasse funzionare granché. O almeno, non aveva funzionato per Bosey, che si era tenuto l’altra metà. Quel bastardo non aveva mai avuto del gran buonsenso, ma meritava di più che venire bruciato su un molo.

«Ho sentito dire che avete un modo speciale di trattare queste cose, sulla nave» replicò Drecht.

«Sulla Saardam, le rimostranze formali si risolvono con i pugni sul castello di prua» spiegò Larme. «Qual è il problema?»

«Ha rubato la mia pialla» disse Henri arrabbiato, guardando Thyman di traverso.

Larme squadrò con occhio professionale i due uomini, poi sospirò. Era sempre felice di assistere a un bel combattimento, ma quello non lo sarebbe stato. Liti come quella degeneravano quasi sempre in ceffoni, e quei due davano l’impressione di due sacchi stracolmi di merda in attesa di essere gettati l’uno contro l’altro.

«Ci sono le prove?» chiese Larme.

«L’hanno visto» rispose Henri, tirando su con il naso.

«Lo neghi?»

«No» ammise Thyman, scalciando le tavole del ponte. «L’ho rubata, sono stato scoperto. Mi sembra più che giusto».

«Puoi restituirla?» domandò Larme.

«L’ho gettata fuori bordo».

«Per l’amor del cielo, soldato» disse Drecht. «Perché mai?»

«Aveva da ridire sui moschettieri, signore. Uno dei due doveva finire fuori bordo. Ho pensato che avreste preferito che fosse la pialla».

Nascosto dalla barba, Drecht sorrise.

«Tornate qui stasera, dopo che abbiamo calato l’ancora» ordinò Larme, con il tono sofferente di chi ha visto un sacco di pialle e un sacco di Thyman, in vita sua. «Thyman, tu hai ammesso la tua colpa, quindi avrai una penalità. Una mano legata dietro la schiena».

Thyman fece per protestare. «Andiamo, è...»

«Queste sono le regole» ringhiò Larme. «Sei stato disonesto e pagherai per la tua condotta. Combatterete fino a che uno dei due non crollerà. Il resto di noi starà a guardare e scommetterà, quindi mettete su un bello spettacolo».

«D’accordo» disse il capitano della guardia Drecht, con una pacca sulle spalle dei due uomini. «Allora andate».

Mentre i due si allontanavano borbottando, Drecht prese dalla sua bandoliera un pizzico di una sostanza dall’odore nauseabondo. Stava per portarsela alle narici, quando ricordò le buone maniere e ne offrì un po’ a Larme.

Il nano la rifiutò con un gesto della mano.

«È vero che Crauwels sa quando sta per arrivare una tempesta?» chiese il capitano della guardia, annusando la mistura. Gli salirono le lacrime agli occhi.

«Sì» disse Larme.

«E dice che ne sta arrivando una?»

Larme annuì, e Drecht sollevò la testa a scrutare il cielo azzurro.

«Immagino che questa volta si sbagli» commentò beffardo.

«Non è mai successo» disse Larme dirigendosi verso la scala. «Devo aiutare nelle ricerche».

«C’eravate anche voi» gli gridò Drecht, lanciando l’accusa alle spalle del primo ufficiale. «Quindi potete risparmiarvi lo sdegno. Abbiamo molta strada da fare insieme, voi e io. Tanto vale che ci comportiamo in modo cordiale».

«Rimanete nella vostra parte della nave e sarò cordiale finché vorrete» gli rispose Larme, scendendo la scala. «Potrei persino tenere il mio coltello lontano dalla vostra schiena».

Drecht lo guardò allontanarsi, poi si chinò a raccogliere l’intaglio che Larme aveva lasciato cadere nella fretta di andarsene. Lo rigirò tra le mani, aggrottando la fronte. Non riusciva a capire chiaramente che cosa avrebbe dovuto essere, ma aveva sicuramente un’ala.

Un’ala di pipistrello, forse.