12.
Il 25 dicembre era un venerdì, Paul avrebbe potuto fermarsi a Saint-Joseph tre giorni interi. Prudence era partita il sabato precedente, ma lui ignorava per dove; probabilmente per la Bretagna, nella casa di vacanze dei genitori, che del resto non era più una casa di vacanze, gli pareva di ricordare che si erano trasferiti lì alcuni anni prima, dopo che suo padre era andato in pensione.
Mentre attraversava la zona giorno, che da quando ospitava le loro conversazioni della domenica pomeriggio stava ricominciando, in una certa misura, a meritare il suo ruolo di cuore della casa, notò un foglio di carta dai colori vivaci poggiato sulla credenza – un acquisto di Prudence, rammentò, si era letteralmente entusiasmata per quella credenza Luigi XVI, che le era parsa “regalata”, era una donna che, in certi momenti, e su certi argomenti, era stata capace di entusiasmo. Si trattava di un invito alla celebrazione del sabba di Yule, che aveva luogo il 21 dicembre a Gretz-Armainvilliers. Era illustrato da una foto di ragazze vestite di lunghi abiti bianchi, con la fronte cinta da corone di fiori, che volteggiavano in un prato soleggiato, abbozzando gesti preraffaelliti. Ricordava abbastanza un porno soft degli anni settanta; che storia era quella? In che cosa era andata a cacciarsi Prudence?
Più in basso, una sfilza di sigle esoteriche sembrava farsi garante della serietà dell’evento. Una breve nota esplicativa, indirizzata più che altro a quel che si intuiva agli adepti disattenti, ricordava che il sabba di Yule era tradizionalmente associato alla speranza, alla rinascita dopo la morte del passato. Volendo, corrispondeva abbastanza bene alla loro situazione di coppia. In ogni caso, non dava l’impressione d’essere una setta particolarmente hard, sembrava più una roba da donne, a base di oli essenziali. Rassicurato, rimise il foglio sulla credenza e uscì per andare a prendere il treno.
Aveva passato una brutta notte e si addormentò pochi istanti dopo essersi seduto sulla sua poltrona in prima classe – aveva il poggiatesta, si stava comodi e la carrozza era praticamente deserta. Era in piedi in mezzo a un prato verdeggiante – l’erba sembrava cesellata, di un verde abbagliante nella luce del sole, sotto un cielo di un azzurro perfetto messo in risalto da poche nuvole, nuvole senza gravità, nuvole decorative, che in nessun momento della loro esistenza di nuvole potevano aver annunciato pioggia. Intuitivamente, sapeva di trovarsi nel Sud della Baviera, non lontano dal confine austriaco – le montagne che sbarravano l’orizzonte erano senza dubbio le Alpi. Era circondato da una decina di uomini anziani, che davano una grande impressione di saggezza. Tuttavia indossavano abiti classici, completi da impiegato, ma il loro lavoro d’ufficio, lo afferrava all’istante, non era stato che una copertura, in realtà erano autentici iniziati. Erano tutti d’accordo su un punto: Paul Raison era pronto a spiccare il volo, la sua preparazione era stata sufficiente. Ed ecco allora che Paul scendeva il pendio di corsa, tenendo lo sguardo fisso sulle catene montuose che delimitavano l’orizzonte verso sud, ma durava appena pochi secondi o poche decine di secondi, in ogni caso meno di un minuto, e poi tutt’a un tratto, senza averlo premeditato, senza nemmeno averlo realmente previsto, si ritrovava sospeso nell’aria, a una ventina di metri dal suolo. Batteva debolmente le mani per trovare l’equilibrio, e poi si immobilizzava. Gli pseudo-impiegati, che erano stati in realtà i suoi maestri e lo avevano iniziato all’arte del volo, si erano raccolti sotto di lui per commentare la sua prima ascesa, in tutto e per tutto conforme alle loro vedute. Rasserenato, Paul tentava allora un primo spostamento – si trattava semplicemente di effettuare dei movimenti a rana, modificando la direzione grazie all’orientamento delle braccia, funzionava proprio come il nuoto, sebbene fosse in un mezzo naturalmente più fluido. Dopo qualche minuto di allenamento riusciva a eseguire delle capriole, e perfino dei discreti giri della morte, poi saliva un po’ più in alto, raggiungendo senza sforzo una quota di un centinaio di metri. Spostandosi con bracciate sciolte, Paul si dirigeva verso le catene montuose; non era mai stato così felice.
Quando si svegliò, il treno stava attraversando la stazione di Chalon-sur-Saône; viaggiava a una velocità di trecentoventun chilometri orari. Il suo cellulare emetteva un pigolio debole, ma insistente; c’erano diciannove chiamate perse. Cercò di ascoltare i messaggi, ma non c’era campo. Delle targhette gli raccomandavano di effettuare le sue chiamate dalla piattaforma tra un vagone e l’altro “per ragioni di cortesia”. Si diresse verso la piattaforma, ma nemmeno lì c’era campo. Attraversando due carrozze altrettanto deserte della sua, raggiunse lo spazio ristorazione Inouï; aveva preso la precauzione di munirsi del suo titolo di viaggio, non aveva una carta sconto; l’impiegato dello spazio ristorazione, che si chiamava Jordan, gli servì un hamburger creato da Paul Constant, un’insalata di quinoa e farro e una bottiglia di Côtes-du-Rhône da diciassette centilitri e mezzo. In caso di necessità era disponibile un defibrillatore, ma ancora non c’era campo; il treno sarebbe arrivato alla stazione di Mâcon-Loché TGV entro ventitré minuti.
Era responsabile di quel mondo? In una certa misura sì, apparteneva all’apparato di stato, eppure quel mondo non gli piaceva. E anche Bruno, lo sapeva, si sarebbe sentito a disagio con quegli hamburger creativi, quegli spazi zen dove ci si poteva far massaggiare la cervicale durante il tragitto ascoltando il canto degli uccelli, quella strana usanza di etichettare i bagagli “per motivi di sicurezza”, insomma, con la piega generale che le cose avevano preso, con quell’atmosfera pseudo-ludica, ma in realtà di una normatività quasi fascista, che aveva a poco a poco infettato ogni piega della vita quotidiana. Eppure Bruno era responsabile dell’andamento del mondo, e ben più di lui. La frase di Raymond Aron secondo cui gli uomini “non sanno la storia che fanno” gli era sempre sembrata un motto di spirito privo di sostanza; se Aron non aveva altro da dire, avrebbe fatto meglio a starsene zitto. Sotto sotto c’era qualcosa di molto più fosco, lo squilibrio sempre più evidente tra le intenzioni degli uomini politici e le conseguenze reali del loro operato aveva qualcosa di profondamente malsano e persino malefico: la società comunque, si diceva a volte Paul, non poteva continuare a funzionare su quelle basi.
Poco prima di arrivare a Mâcon la nebbia si diradò e uno splendido sole illuminò il paesaggio di prati, foreste e vigneti già imbiancati dall’inverno. Appena sceso dal treno vide Cécile, che superò di corsa i pochi metri che li separavano e si gettò tra le sue braccia, era in lacrime. Ci sono tante ragioni per piangere nella vita, e le ci volle quasi un minuto prima di riuscire ad articolare: “Papà si è svegliato! È uscito dal coma questa mattina!” Poi scoppiò di nuovo in lacrime.