3.
Sì, aveva completamente dimenticato che era la vigilia di Natale. I termini tecnici usati dall’infermiera, lo sguardo di suo padre, che gli aveva fatto pensare immediatamente allo sguardo di uno spettro così come se l’era sempre immaginato, quello sguardo che era allo stesso tempo vivo e morto, così distante e così vicino alla natura umana, l’impossibilità di sapere davvero qualcosa sulla sua condizione mentale, tutto questo lo aveva fatto sprofondare in uno stato di confusione generalizzata e si sentiva come se fosse appena uscito da una serie televisiva sul paranormale. Si era già fatto buio da un pezzo quando raggiunsero Villié-Morgon illuminata per le feste, prima di immettersi sulla D18 in direzione del Col du Fût d’Avenas.
Hervé parcheggiò davanti alla casa principale. Sotto le stelle, sembrava ancora più massiccia, più imponente di quanto ricordasse.
“Ho dimenticato di parlartene...” disse Cécile scendendo dalla Dacia. “Sai, nel caso tu possa fermarti la settimana prossima. Verrà a trovarci Aurélien, dovrebbe arrivare il 31.”
“Ci sarà sua moglie?”
“Sì, Indy verrà. E anche il figlio.” Aveva esitato nel pronunciare quell’ultima parola, proprio non riusciva ad abituarcisi.
“Lo sistemeremo sicuramente nella vecchia camera di Aurélien,” continuò. “Quindi a te resta una delle stanze per gli ospiti, quella blu, io sono nella verde. A meno che tu non preferisca dormire nella casa piccola.”
“Sì, lo preferisco.”
“Lo immaginavo. In effetti ti ho già preparato la stanza, ho acceso anche il riscaldamento.”
Era strano che Cécile ci avesse pensato, perché lui non lo prevedeva affatto. Nel corso degli ultimi anni, era venuto diverse volte a trovare suo padre; ma aveva sempre preferito dormire in una stanza degli ospiti, non aveva più rimesso piede nella stanza che era stata sua da bambino, e poi da adolescente, erano venticinque anni che non la vedeva. Probabilmente era un brutto segno, quella voglia improvvisa di rituffarsi negli anni della giovinezza, probabilmente è quel che capita quando si inizia a capire di aver fallito nella vita.
“Vuoi sistemarti subito?” chiese Cécile. “Io adesso vado a preparare la cena, poi andremo a messa e mangeremo al ritorno. Hai due ore buone per riposarti, se vuoi.”
“No, preferisco restare nel soggiorno.”
In realtà aveva bisogno di farsi un bicchiere, e magari anche più d’uno. Il mobile bar era sempre al solito posto, c’erano del Glenmorangie, del Talisker e del Lagavulin; anche la qualità, quindi, non era scesa. Dopo il terzo Talisker, Paul pensò che sarebbe stato un po’ ubriaco alla messa di mezzanotte; il che non era necessariamente un male. Cécile non lasciava la cucina da un’ora, profumi vari cominciavano a riempire il salotto; riconosceva l’odore dell’alloro e dello scalogno.
Forse avrebbe dovuto accendere il fuoco, gli sembrava un’idea appropriata per la notte di Natale, c’erano dei ciocchi e della legna minuta accanto al camino. Proprio mentre lo contemplava perplesso, cercando di richiamare alla mente ricordi di fuochi che aveva visto accendere in passato, Hervé entrò nella stanza; capitava a proposito. Accettò un bicchiere di Glenmorangie e, come Paul si aspettava, affrontò la questione del fuoco con competenza e rapidità, pochi minuti dopo nel camino si levavano già fiamme alte e vivaci.
“Ah, avete acceso il fuoco, bene,” disse Cécile, entrando nel soggiorno. “Mi sa che dobbiamo andare.”
“Di già?”
“Sì, mi ero sbagliata sull’orario, hanno anticipato di una mezz’ora quest’anno, è alle dieci.”
Mentre si rimetteva il cappotto, Paul si chiese di sfuggita dove potesse essere Prudence in quel momento; la celebrazione del sabba di Yule era finita? Cécile non gli aveva fatto domande sul suo matrimonio, e non lo avrebbe fatto nemmeno Hervé; Bruno probabilmente sarebbe rimasto il solo ad aver toccato l’argomento con lui. Le coppie che funzionano, in genere, non amano riflettere sulla sorte di quelle che non funzionano, si direbbe che provino una specie di paura, come se i dissapori coniugali fossero una malattia contagiosa, come se fossero atterrite dall’idea che ogni coppia sposata, ai giorni nostri, è quasi necessariamente una coppia in procinto di divorzio. A questo ritrarsi istintivo, animale, un tentativo commovente di scongiurare il destino comune della separazione e della morte solitaria, si aggiunge il senso schiacciante della loro incompetenza; è un po’ come per quelli che non hanno il cancro, hanno sempre difficoltà a parlare a quelli che ce l’hanno, a trovare il tono giusto.
Suo padre era ben inserito nella vita del villaggio, se ne rese conto appena entrarono in chiesa: si sentì circondato da un’atmosfera confusa ma benevola, almeno una ventina di fedeli rivolsero loro un cenno di saluto discreto. Si ricordò all’improvviso che la sua abitazione doveva essere stata “neutralizzata” dalla DGSI: pagavano tutte le bollette e le tasse locali, per evitare che suo padre fosse localizzato. Quel tipo di protezione proseguiva anche dopo il pensionamento, in pratica fino alla morte. Suo padre glielo aveva spiegato pochi mesi prima che lui facesse l’esame di maturità, durante il suo unico tentativo di parlare con il figlio del suo avvenire professionale, nella delusa speranza che imboccasse la sua stessa strada. Lì nella chiesa di Villié-Morgon, dove il sacerdote era già entrato in scena per la cerimonia – l’espressione gli venne suo malgrado, se ne rammaricò, ma non poteva farci niente – quella protezione gli parve vagamente assurda: tutti gli abitanti del paese lo conoscevano, e dovevano sapere che aveva lavorato “nei servizi segreti”, la cosa aggiungeva un tocco romanzesco alle loro esistenze, di certo non ne sapevano altro, ma in fondo nemmeno lui ne aveva mai saputo molto di più, comunque sia una semplice indagine nel vicinato sarebbe stata sufficiente a localizzarlo. D’altra parte, forse non era poi così assurda: un’indagine nel vicinato costa cara, bisogna mandare degli agenti sul posto, di certo è più dispendioso che avvalersi di un hacker mediamente bravo per introdursi in qualche file poco protetto, tipo le bollette dell’elettricità o le imposte locali.
Il presepe era venuto molto bene, i bambini del paese ci avevano lavorato con passione, e anche la cerimonia in sé era andata bene, almeno a quanto poteva giudicare lui. Nel mondo era nato un salvatore, conosceva il principio, e l’effetto del Talisker gli permise addirittura, in certi momenti, soprattutto durante i canti, di considerarla una buona notizia. Era consapevole dell’importanza che Cécile attribuiva al fatto che il padre fosse uscito dal coma proprio la vigilia di Natale, faceva suo malgrado dell’ironia, ma in fondo non aveva nessuna voglia di ironizzare. Il sabba di Yule celebrato da Prudence aveva più senso? Probabilmente ne aveva di meno. Doveva essere una roba più o meno pagana, se non panteista o politeista, faceva confusione tra le due cose, insomma, una roba vagamente ripugnante, alla Spinoza. Già un solo dio gli pareva difficile da conciliare con la sua esperienza personale; ma con più divinità, la cosa degenerava in burla, e l’idea di divinizzare la natura gli dava addirittura il voltastomaco. Quanto a Madeleine, era passata totalmente dalla parte di Cécile; voleva riavere l’uomo che amava e riprendere la loro vita assieme, la sua ambizione non si spingeva oltre; il dio di Cécile sembrava potente, aveva già ottenuto un primo risultato, così lei si schierava senza esitazione con il dio di Cécile, e fece la comunione con fervore.
Lui si astenne dalla comunione, che a suo modo di vedere costituiva il momento orgasmico di una messa ben concepita, nella misura in cui aveva capito qualcosa del loro culto, e nella misura in cui ricordava cosa fosse un orgasmo. Lo fece per una questione di rispetto nei confronti della fede di Cécile, o almeno cercò di convincersene.
Poco dopo, secondo l’espressione consacrata, la messa era finita – ognuno si preparava a fare ritorno al proprio focolare e gioire in seno alla propria famiglia, secondo i mezzi a disposizione.
Uscendo dalla chiesa, si rese conto ancora di più di quanto era stato benvoluto suo padre (non poteva fare a meno di usare nella sua testa le parole “era stato”, quando avrebbe dovuto pensare “era”, non era proprio portato per la speranza): di quanto era benvoluto suo padre in paese. Quasi tutti i fedeli che avevano assistito alla messa si avvicinarono a loro, rivolgendosi soprattutto a Madeleine ma anche a Cécile, a quanto pare la conoscevano bene, doveva essere venuta a trovare il padre molto più spesso di lui. Tutti avevano saputo che aveva avuto un ictus, che era entrato in coma; Cécile li informò del suo risveglio, avvenuto quella mattina stessa. Era una buona notizia, e il giorno di Natale sarebbe stato migliore per molti di loro, Paul lo capì subito; non è mai bello quando muore qualcuno, pensò scioccamente, faceva seriamente fatica a uscire dallo stato di rincretinimento che lo aveva colpito dal momento della visita in ospedale.
“Sono gentili le persone, qui...” si limitò a dire Hervé risalendo in macchina.
“Sì, è vero, è una bella zona,” commentò Cécile, pensierosa. “Anche da noi al Nord siamo piuttosto ospitali in linea di massima, ma è anche vero che la gente è così povera, e questo finisce per creare delle tensioni.”
Durante la cena la conversazione si sarebbe ineluttabilmente spostata sulla politica, Paul ci si preparava con rassegnazione, non pensava nemmeno di provare a evitarla, le discussioni politiche sono una costante ineludibile dei pasti familiari da quando esistono la politica, e la famiglia – in pratica, da tempo immemore. A lui, in verità, durante l’infanzia quel diritto era stato un po’ negato, le funzioni di suo padre nella DGSI sembravano smorzare ogni conversazione politica, come se lo obbligassero a una fedeltà incondizionata verso il potere in carica. Invece non era così, poteva votare “come qualsiasi altro cittadino”, scherzava a volte suo padre; Paul del resto ricordava di avergli sentito formulare critiche particolarmente aspre contro Giscard, Mitterrand e Chirac – ossia, più di trent’anni di vita politica francese. A ripensarci, anzi, le sue critiche erano così violente che si faceva fatica a credere che avesse mai potuto dar loro il suo voto. Per chi poteva votare suo padre? Rimaneva un altro dei misteri che avvolgevano la sua vita.
Cécile e suo marito votavano entrambi per Marine, naturalmente, e da parecchio tempo, da quando lei aveva sostituito il padre alla testa del movimento. Dato il suo ruolo, Cécile supponeva che Paul votasse per il presidente – e la sua supposizione, del resto, era corretta, aveva votato per il partito del presidente, o per il presidente stesso, in tutte le elezioni, gli sembrava, come si usa dire, “l’unica opzione ragionevole”. Di conseguenza Cécile avrebbe evitato che la discussione politica si infiammasse troppo, per non urtarlo, probabilmente aveva fatto la predica a Hervé – che in gioventù, Paul lo sapeva, aveva fatto parte dei movimenti più duri, robe tipo il Bloc identitaire. Ma lui in realtà non provava alcun risentimento nei loro confronti, se avesse vissuto ad Arras, anche lui probabilmente avrebbe votato per Marine. All’infuori di Parigi, conosceva davvero solo il Beaujolais, che era una regione prospera, i viticoltori erano forse gli unici agricoltori francesi, a eccezione di alcuni coltivatori di cereali, che riuscivano a non essere perennemente sull’orlo del fallimento, o addirittura a ricavare degli utili. Lungo tutta la valle della Saona, c’erano inoltre numerose imprese di meccanica di precisione, tra cui anche subappaltatori del settore automobilistico, che se la cavavano bene, che reggevano vittoriosamente alla concorrenza tedesca – e dopo l’arrivo di Bruno al ministero dell’Economia ancora di più. Bruno non aveva mai esitato a infischiarsene delle normative europee sulla libera concorrenza, sia per l’assegnazione di appalti pubblici, sia per l’introduzione di dazi doganali quando gli faceva comodo, sui prodotti per i quali gli faceva comodo; in questo, come in tutto il resto, e fin dall’inizio, si era comportato da pragmatico puro, lasciando al presidente il compito di disinnescare le tensioni, di riaffermare in ogni occasione possibile il suo attaccamento all’Europa, e di protendere le labbra verso tutte le guance di cancellieri tedeschi che il destino gli avrebbe dato da baciare. C’era un che di sessuale nel rapporto tra Francia e Germania, qualcosa di stranamente sessuale, e c’era da parecchio tempo.
Cécile aveva preparato dei medaglioni di astice, uno stufato di cinghiale e una crostata di mele. Tutto delizioso, era davvero incredibilmente dotata, la crostata in particolare era straordinaria – la sottigliezza della pasta, croccante fuori e tenera dentro, l’equilibrio perfetto tra i sapori del burro fuso e della mela... dove aveva imparato? Era un peccato terribile pensare che presto avrebbe dovuto sicuramente dedicarsi ad altro, era un uso scorretto delle competenze, era un dramma a tutti i livelli – culturale, economico, personale. Hervé sembrava condividere la sua diagnosi, e si mise a dondolare la testa con aria cupa subito dopo la crostata di mele; lui ovviamente sarebbe stato il primo a patirne le conseguenze. Tuttavia accettò anche lui un Grand Marnier, che Madeleine fu felice di servirgli – ma Cécile dove era finita? Era scomparsa nel bel mezzo della crostata di mele. Il Grand Marnier era un liquore eccezionale e troppo snobbato; Paul tuttavia fu sorpreso da quella scelta, gli sembrava di ricordare che Hervé fosse amante di sapori più aspri, come quelli offerti dall’armagnac, dal calvados e da altri liquori regionali violenti e oscuri. Forse con l’età Hervé si stava un po’ femminilizzando, il che gli sembrava un’ottima notizia.
Cécile riapparve subito dopo, aveva in mano un pacchetto chiuso da un nastro che gli mise davanti con un sorriso timido, dicendo: “Il tuo regalo di Natale...”
Un regalo di Natale, ma certo, a Natale ci si fa dei regali, come aveva potuto dimenticarsene? Era proprio pessimo nelle relazioni familiari, era pessimo nelle relazioni umane in genere – e anche con gli animali non se la cavava molto bene. Slegò il nastro e scartò un bellissimo astuccio di metallo, dai sobri riflessi argentei; conteneva una stilografica di marca Montblanc – una Meisterstück 149 – che sembrava decorata con un materiale speciale, probabilmente era quello che chiamano oro rosso.
“Non avresti dovuto... è davvero troppo.”
“L’abbiamo comprata insieme a Madeleine, abbiamo fatto a metà, devi ringraziare anche lei.”
Le baciò, sopraffatto da una strana emozione; era un bel regalo, un regalo incomprensibile.
“Mi sono ricordata,” disse Cécile, “che tanto tempo fa ricopiavi delle frasi su un quaderno, frasi di scrittori, quelle che trovavi più belle, e ogni tanto me le leggevi.”
Gli tornò in mente di botto; in effetti sì, era vero, lo faceva. Aveva cominciato a tredici anni e continuato fino all’anno della maturità; scriveva le frasi con cura, in bella grafia, ci passava ore, si esercitava più volte, su fogli volanti, e poi le ricopiava nel suo quaderno. Rivide anche il quaderno, la copertina rigida con la riproduzione di un mosaico arabo. Che fine poteva aver fatto? Probabilmente era ancora lì, nella sua vecchia camera; ma non ricordava minimamente cosa poteva mai ricopiare all’epoca. Tutt’a un tratto gli tornò in mente qualcosa, ma non era una frase, era più la strofa di una poesia, riemersa, isolata, dalle profondità della memoria:
Cosa resta oggidì
Di tutto il suo bel regno
A questo delfino sì degno?
Orléans, Beaugency,
Notre-Dame de Cléry,
Vendôme,
Vendôme.
Subito dopo, si rammentò della canzone di David Crosby che riprendeva quelle stesse parole – in realtà non era proprio una canzone, più una di quelle strane combinazioni di armonie vocali che David Crosby componeva verso la fine della sua carriera, prive di una vera melodia e a volte anche di testo.
Si separarono poco dopo la fine della cena; Paul pensò che aveva dimenticato di telefonare a Bruno. L’avrebbe fatto il giorno dopo; non sapeva cosa avrebbe fatto Bruno a Natale. Probabilmente niente, il giorno di Natale doveva essere più che altro una scocciatura per lui. O forse sì, invece, forse avrebbe visto i figli, forse avrebbe fatto un estremo tentativo di riconciliazione con sua moglie, era meglio aspettare il 26. Ma, in ogni caso, gli avrebbe detto che voleva fermarsi a Saint-Joseph tutta la settimana.
Piacevolmente ebbro, percorse senza nemmeno pensarci il corridoio a vetri che conduceva alla sua stanza. La prima cosa che lo colpì entrando fu il poster di Keanu Reeves. L’immagine era tratta da Matrix Revolutions e raffigurava Neo cieco, con il volto attraversato da una benda sanguinolenta, che errava in un paesaggio apocalittico. Probabilmente era sintomatico che avesse scelto quell’immagine invece di una delle tante che lo ritraevano mentre compiva qualche prodezza nelle arti marziali. Crollò sul letto piccolo e terribilmente stretto, eppure si era portato delle ragazze in quel letto, be’, solo due in verità.
Matrix era uscito pochi giorni prima del diciottesimo compleanno di Paul, che ne era stato fin da subito entusiasta. La stessa cosa era successa due anni dopo a Cécile, con la prima parte del Signore degli Anelli. Molti in seguito avevano ritenuto che quella prima puntata della trilogia di Matrix fosse l’unica davvero interessante, per via delle innovazioni visive che aveva apportato, e che le successive fossero un po’ una minestra riscaldata. Paul non condivideva quel punto di vista, che secondo lui non dava abbastanza spazio all’elaborazione della sceneggiatura. Nella maggior parte delle trilogie, che si tratti di Matrix o del Signore degli Anelli, si verifica un calo di interesse nella seconda parte, ma una ripresa dell’intensità drammatica nella terza, e nel caso del Ritorno del re addirittura un’apoteosi; nel caso di Matrix Revolutions, la storia d’amore fra Trinity e Neo, all’inizio un po’ incongrua in un film di nerd, finisce per diventare davvero commovente, in gran parte grazie all’interpretazione degli attori, almeno così aveva pensato lui all’epoca, e lo pensava ancora il giorno dopo al suo risveglio, quella mattina del 25 dicembre, quasi venticinque anni più tardi. Sui prati coperti di brina era quasi spuntato il giorno, si spostò nella stanza comune per prepararsi un caffè. Si sentiva un po’ annebbiato ma non aveva per niente mal di testa, il che era sorprendente date le quantità di alcol che aveva ingurgitato la sera prima. Cécile aveva intenzione di tornare a trovare il padre nel primo pomeriggio; quello era l’unico programma della giornata. Mentre mandava giù il primo sorso di caffè, ripensando di nuovo a Matrix, fu colpito da un fatto di un’evidenza lampante, che lo lasciò di sasso, senza fiato: Prudence assomigliava in maniera incredibile a Carrie-Anne Moss, l’attrice che interpretava il ruolo di Trinity. Si precipitò nella sua camera, ritrovò senza alcuna difficoltà il raccoglitore in cui aveva conservato alcune foto del film: era evidente, palese, com’era possibile che non avesse fatto prima il collegamento? Era sbalordito, non avrebbe mai pensato di essere un uomo così, si vedeva come una persona piuttosto fredda, razionale. La luce stava aumentando sempre di più, adesso distingueva ogni cosa nella sua vecchia stanza da ragazzo, a cominciare dall’enorme poster dei Nirvana, ancora più vecchio di quello di Matrix, doveva risalire alla sua prima adolescenza. Matrix gli sarebbe ancora piaciuto rivederlo probabilmente; sui Nirvana aveva più dubbi, ormai non ascoltava quasi più la musica, solo un po’ di canti gregoriani, a volte, quando aveva avuto una giornata difficile, cose tipo Christus Factus Est o Alma Redemptoris Mater, c’era una bella differenza rispetto a Kurt Cobain: in certe cose si cambia e in altre no, questa era la ben misera conclusione alla quale si sentiva in grado di giungere in quella mattina di Natale. Carrie-Anne Moss invece gli piaceva sempre, addirittura più che mai, ritrovò intatte tutte le sue emozioni giovanili quando rivide quelle foto del film, e non riusciva a capire se fosse una buona notizia. Prese un secondo caffè e gli venne l’idea di cercare quel quaderno di cui aveva parlato Cécile il giorno prima, quello dove annotava le sue frasi preferite. Dopo un quarto d’ora di sforzi infruttuosi, si ricordò di averlo buttato poco dopo aver deciso di preparare il concorso di ammissione all’ENA, al termine di una notte di crisi che non riuscì a ricostruire in tutte le sue fasi, ma rivedeva chiaramente il bidone dell’immondizia in rue Saint-Guillaume dove si era sbarazzato dell’oggetto. Era un peccato, pensò, forse avrebbe potuto scoprire qualcosa di più su se stesso, dovevano per forza esserci stati dei segni premonitori precoci, degli avvertimenti del destino forse, che avrebbe potuto decifrare fra le righe nella scelta di certe frasi; le uniche che era riuscito a rammentare, già non erano molto incoraggianti, dopotutto parlavano di un re infelice, un re sconfitto, umiliato dagli inglesi, che aveva perso quasi tutto il suo regno. E neppure il destino di Neo era molto invidiabile; per non parlare di Kurt Cobain.
Il giorno adesso era definitivamente spuntato, si annunciava un’altra meravigliosa giornata d’inverno, limpida e radiosa. La marea del passato, che a poco a poco saliva dentro di lui a mano a mano che riscopriva gli oggetti nella stanza, alla fine gli diede un po’ di magone, e uscì. La casa era splendida con quella luce, i muri di calcare dorato erano illuminati dal grande sole invernale, ma faceva comunque molto freddo. Non aveva voglia di tornare nella sua stanza, non subito, e si diresse verso quella di Cécile, sarebbe stato meno pesante. Sapeva che lei non se la sarebbe presa a male, non aveva mai avuto granché da nascondere, non era nella sua natura.
Al posto dei Nirvana, c’erano i Radiohead; e al posto di Matrix, il Signore degli Anelli. C’erano solo due anni di distanza tra loro, ma erano sufficienti a spiegare la differenza, le cose si muovevano ancora relativamente in fretta all’epoca, molto meno che negli anni sessanta, certo, o anche nei settanta, il rallentamento e l’immobilizzazione dell’Occidente, che erano stati il preludio al suo annientamento, erano avvenuti in maniera progressiva. Mentre lui non ascoltava più i Nirvana, sospettava che Cécile, di tanto in tanto, ascoltasse ancora dei vecchi pezzi dei Radiohead, e all’improvviso si ricordò di Hervé a vent’anni, quando aveva conosciuto Cécile. Anche lui era un fan del Signore degli Anelli, ne era addirittura un fan assoluto, conosceva certi passaggi a memoria, specialmente quello in cui il Nero Cancello si apre, poco prima dello scontro finale. In quel momento rivide Hervé che si piantava davanti a loro, e ripeteva a memoria il discorso di Aragorn, figlio di Arathorn. Prima c’era il momento in cui, davanti al cancello, accompagnato da Gandalf, Legolas e Gimli, suoi primi compagni, Aragorn lanciava a gran voce quest’estrema richiesta, nobile e cavalleresca:
Che il Signore della Terra Nera venga avanti!
Che giustizia sia fatta su di lui!
I cancelli effettivamente si spalancavano e gli eserciti delle forze malefiche irrompevano nella piana – immensi, infinitamente superiori in numero, tanto che gli eserciti di Gondor erano sopraffatti dal terrore. Aragorn si ritirava con i compagni prima di pronunciare il suo discorso alle truppe, e quell’esortazione di Aragorn era senza dubbio uno dei momenti più belli del film.
Figli di Gondor, di Rohan, fratelli miei!
Vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore.
Ci sarà un giorno in cui il coraggio degli uomini cederà,
in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza,
ma non è questo il giorno!
A quel punto Hervé aveva ripetuto la frase in inglese, in effetti era l’unico modo per rendere l’intonazione di Viggo Mortensen, quella consapevolezza che si trattava di una battaglia quasi impossibile ma ciononostante indispensabile, quell’ostinazione disperata, quel coraggio: BUT IT IS NOT THIS DAY!
Perché si ricordava così bene di quell’episodio che non lo riguardava neppure direttamente? Forse perché era stato in quel preciso momento che aveva capito che la sua sorellina si stava innamorando di Hervé. Lui non era mai stato innamorato, era andato a letto con una mezza dozzina di ragazze, le aveva trovate carine, ma niente di più; negli sguardi che sua sorella lanciava a Hervé, invece, aveva visto manifestarsi una forza evidente, potente, a lui sconosciuta.
Ci sarà l’ora dei lupi e degli scudi frantumati,
quando l’era degli uomini arriverà al crollo,
ma non è questo il giorno! – BUT IT IS NOT THIS DAY!
Quest’oggi combattiamo...
Per tutto ciò che ritenete caro su questa bella Terra...
Di nuovo Hervé aveva aggiunto la versione originale, la traduzione non era male ma è vero che il testo inglese, By all that you hold dear on this good earth, era un’altra cosa. Poi veniva l’ultima frase, l’appello a combattere:
... vi invito a resistere! Uomini dell’Ovest!
A quel tempo Hervé doveva certamente appartenere al Bloc identitaire, e pensare che le potenze di Mordor offrissero una rappresentazione adeguata dei musulmani, la Reconquista non era ancora iniziata in Europa ma aveva già il suo film, di sicuro era così che vedeva le cose. Aveva preso parte ad azioni apertamente illegali o violente? Paul non credeva, anche se in effetti non ne era sicuro, Cécile probabilmente lo sapeva, ma non le avrebbe certo fatto domande in merito. A ogni modo, gli studi notarili dovevano averlo calmato. Be’, non del tutto forse, rimaneva in lui qualcosa di stranamente ribelle, di non asservito, che era difficile da definire. A suo padre era sempre piaciuto molto, non era deluso dal genero, e il matrimonio era stato sontuoso, con carrozze trainate da cavalli che attraversavano le montagne del Beaujolais, cose di questo genere, del tutto sproporzionate rispetto al trattamento che aveva ricevuto lui. Suo padre aveva sempre preferito Cécile, questa era la verità, Cécile era stata la sua cocca fin dall’inizio, e in fondo Paul non aveva niente da ridire su questo, perché Cécile era preferibile, era semplicemente un essere umano di qualità migliore.*
Le cose adesso si erano bruscamente rovesciate, suo padre si ritrovava nel ruolo di bambino, anzi di poppante, ma Cécile avrebbe fatto fronte alla situazione, era nel pieno vigore degli anni e non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa, Paul ne era certo, suo padre non si sarebbe mai trovato nella condizione di quelle vecchiette che restano per ore a bagno nella loro urina e nella loro merda in attesa che un’infermiera, o più probabilmente un’ausiliaria più disponibile delle altre, venga a cambiar loro il pannolone. Pensando a cosa avrebbe potuto attendere suo padre, a quale sarebbe potuto essere il suo destino, se Cécile e Madeleine non fossero state lì, Paul sentì una lieve oppressione al petto, e decise di fare un giro nei vigneti. Non erano granché in quel periodo dell’anno: misere entità contorte e nerastre, piuttosto brutte, che si sforzavano di preservare la loro essenza durante la lunga traversata dell’inverno; per niente al mondo si immaginava che da qualcosa di così brutto e stentato potesse in seguito nascere il vino – certo che il mondo era organizzato proprio in modo strano, pensò Paul mentre camminava tra i ceppi. Se Dio esisteva veramente, come pensava Cécile, avrebbe potuto dare maggiori indicazioni su come la vedeva, Dio era un pessimo comunicatore, un simile grado di dilettantismo non sarebbe stato ammesso in ambito professionale.
* Quando uno comincia a esaminare questo tipo di questioni (e presto o tardi si comincia sempre a esaminare questo tipo di questioni), bisogna tenere presente che si pone sempre esattamente al centro dell’universo morale, che si considera sempre come un essere né cattivo né buono, moralmente neutro (intendo nel profondo del suo cuore, nelle pieghe segrete del proprio essere, perché ufficialmente si descrive sempre come “un tipo abbastanza a posto”, ma dentro di sé non è poi così stupido, dentro di sé uno ha sempre questa scala segreta che lo riporta esattamente al centro dell’universo morale). E così si crea durante l’osservazione una distorsione metodologica, e quasi ogni volta si rivela necessaria un’operazione di traslazione.