11.
Il venerdì seguente, Paul e Prudence presero il treno per Mâcon. Non avrebbero dormito nella stessa stanza, ne avevano discusso all’ultimo momento, poco prima di partire, era difficile, era passato troppo tempo; ma Prudence disse che avrebbe cercato di raggiungerlo nel suo letto verso la fine della notte. “Il letto è molto piccolo, sai,” le fece notare Paul; lo sospettava, ma non le dava fastidio, tutt’altro. Paul non capiva bene cosa lo spingesse a dormire di nuovo nella sua vecchia stanza; si disse che probabilmente era inutile capirlo. Non pensava che alle pareti ci fossero ancora poster di Carrie-Anne Moss; ma in caso contrario, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata staccarli; nemmeno di questo sapeva il perché, ma sentiva che era meglio.
Dal modo in cui la abbracciò sul binario della stazione TGV, stringendola a lungo, Paul capì subito che Cécile avrebbe fatto tutto il possibile per mettere Prudence a suo agio durante quel fine settimana, per farla sentire di nuovo accolta in una famiglia. Nonostante ciò, non poté reprimere un lieve moto di sorpresa quando seppe che Paul avrebbe occupato di nuovo la sua vecchia stanza; ma tacque.
In effetti, nella sua camera non si vedeva nessuna immagine di Carrie-Anne Moss, c’era solo il poster, inoffensivo, dei Nirvana. Stranamente, si addormentò senza difficoltà. Tuttavia si svegliò subito, all’istante, quando sentì il lieve rumore della porta che si apriva, ma non si mosse, non fece il minimo gesto per accogliere Prudence, anzi, si rannicchiò, appiattendosi contro il muro. Regnava il buio più totale, nessun calo della temperatura annunciava l’approssimarsi dell’alba, non poteva essere più tardi delle cinque.
Gli posò prima una mano sulla vita, poi risalì verso il petto. Lui non si mosse d’un centimetro. Allora lei fece dei movimenti vaghi, come dei soprassalti, e di colpo lo strinse con tutte le sue forze emettendo dei suoni poco comprensibili, Paul ebbe l’impressione che stesse piangendo. Indossava ancora il suo pigiama da bambina, che aveva fatto un po’ i pelucchi, notò involontariamente. Allentò un po’ la stretta, lo abbracciava comunque molto forte ma non importava, Paul stava bene.
Rimase a lungo così, senza muoversi, sentendo il suo calore – quasi scottava e respirava forte, il suo sistema cardiovascolare doveva funzionare a una velocità folle.
Quando si decise a muoversi, la luce del giorno aveva già ampiamente invaso la stanza, si rese conto mentre si girava di avere una gran paura.
Aveva torto ad avere paura. Le loro bocche erano a pochi centimetri l’una dall’altra. Senza un attimo d’esitazione Prudence premette le labbra contro le sue, gli infilò la lingua in bocca e la mosse lentamente, intrecciandola alla sua. Paul aveva l’impressione che potesse durare un tempo lunghissimo, per sempre.
Invece finì, niente dura in eterno nel mondo sublunare. Si separarono, i loro corpi ora distavano una trentina di centimetri. “Andiamo a prendere un caffè,” disse Paul.
Anche stavolta Cécile non poté trattenere un moto di sorpresa quando li vide arrivare in cucina, mano nella mano, in pigiama. Doveva trattarsi di qualcosa di necessario, pensò, un rituale di riavvicinamento. Sui problemi di coppia degli altri non si può dire né fare nulla, sono come un luogo segreto dove nessuno può entrare. Puoi tutt’al più aspettare che si decidano, eventualmente, a parlartene, pur sapendo che con ogni probabilità non avverrà. Quello che accade all’interno di una coppia è del tutto particolare, non si può applicare ad altre coppie, non è suscettibile di interventi né di commenti, è separato dal resto dell’esistenza umana, diverso dalla vita in generale così come dalla vita sociale comune a molti mammiferi, non lo si può comprendere neppure a partire dalla discendenza che la coppia può avere generato, insomma, è un’esperienza di tutt’altro ordine, per l’esattezza non è nemmeno un’esperienza, ma un tentativo.
“Aurélien non viene con noi all’ospedale,” disse Cécile, “oggi è impegnato a imballare le sculture, ne avrà per tutto il giorno, tra l’altro credo che i trasportatori siano già arrivati.”
Paul ci mise un minuto buono per capire di cosa stesse parlando. In effetti doveva esserci anche Aurélien, se n’era completamente dimenticato, non lo aveva visto la sera prima, del resto erano arrivati molto tardi; e a dire il vero, si era dimenticato anche delle sculture di sua madre.
“Sì, sai, le sculture della mamma...” disse a Prudence, che annuì meccanicamente, senza capire di cosa si trattasse.
“Dovete fare una doccia?” chiese Cécile, sembrava avesse un po’ fretta.
“No, no, andiamo subito,” rispose Paul. Prudence annuì con entusiasmo, aveva avuto la stessa idea: continuare la giornata così, senza lavarsi. I loro corpi non si erano veramente uniti, ci voleva ancora del tempo per questo, ma si erano toccati a lungo e rimanevano delle tracce, degli odori; era come un rituale di familiarizzazione dei corpi. Si osservava lo stesso fenomeno in altre specie animali, in particolare nelle oche, aveva visto un documentario in proposito, tanto tempo prima.
In effetti, un camion dei traslochi sostava davanti al fienile, con i portelloni posteriori spalancati. Era ancora una sensazione molto vaga ma si avvertiva l’inizio della primavera, c’era un che di mite nell’aria e la vegetazione lo percepiva, le foglie si spogliavano con tranquilla impudicizia della protezione invernale, esibivano le loro parti tenere e si esponevano al rischio, quelle foglie giovani, una botta di gelo improvviso avrebbe potuto annientarle in qualsiasi momento. Mentre saliva accanto a Hervé sulla Dacia, Paul si rese conto che probabilmente non avrebbe rivisto mai più le sculture della madre – e che oltretutto cominciava a dimenticare il suo volto.
Arrivati al centro ospedaliero, nell’entrata, si trovarono faccia a faccia con il dottor Leroux, immerso in una conversazione visibilmente burrascosa con un tipo in completo da dirigente. Tagliò corto con un gesto d’impazienza e venne verso di loro. “Ah, bene, siete venuti a trovare vostro padre... Solo che lui non vi ha aspettati, se n’è andato con la sua innamorata. Non li vediamo più spesso d’altronde, fanno una passeggiata tutte le mattine, non so dove vadano. Sapendo che la sedia ha un’autonomia di quattro ore, Madeleine torna sempre a mezzogiorno, per dargli da mangiare e ricaricare le batterie. Non ha quasi più bisogno di un’infermiera, difatti ho chiesto ad Aglaé di occuparsi di qualcun altro. Con lei rimane solo Maryse, che la aiuta a farlo alzare la mattina e a rimetterlo a letto la sera, ma per il resto si occupa di tutto Madeleine, gli cambia i pannoloni, lo lava, gli dà da mangiare.”
“La cosa non la disturba?” chiese Paul.
“No, perché dovrebbe disturbarmi? Fa il lavoro di una ausiliaria senza essere pagata, sapete, c’è sempre carenza di personale in un ospedale, io la trovo perfetta, Madeleine.”
Si vedeva chiaramente che c’era un problema di cui non voleva parlare, Paul lo percepì ma non osò fargli domande e si diressero verso la stanza di Édouard. Ancora una volta fu colpito dalla foto dei genitori abbracciati sul lungomare. Sembravano giovani, innamorati, trasudavano letteralmente desiderio. Forse avrebbero dovuto rimanere così, pensò Paul, forse non avrebbero dovuto avere figli, probabilmente sua madre non era fatta per la maternità.
Dopo cinque minuti, Cécile disse che lei e Hervé preferivano aspettare in giardino; Paul annuì. Prudence decise di accompagnarli, voleva visitare il posto. Quando gli altri furono usciti, sprofondò nella poltroncina per gli ospiti. La contemplazione delle foto lo fece piombare rapidamente in una cupa nostalgia, è sempre così con le foto, ti rendono felice o triste, e non puoi mai saperlo in anticipo. Lasciando vagare lo sguardo nella stanza, scorse i dossier del padre. Poteva consultarli, gli aveva detto Martin-Renaud: non erano riservati, e in ogni caso non ci avrebbe capito niente.
Il primo che aprì, in effetti, era assolutamente criptico: su una decina di pagine, nella sua calligrafia piccola, precisa e inclinata, il padre aveva annotato cose come: “AyB3n6 – 1282”, ce n’erano a centinaia di righe come quella, ma non vi si poteva distinguere alcun tipo di ripetizione o regolarità, e non c’era il minimo commento. Lo studiò a lungo, senza che nella sua mente balenasse alcun barlume di comprensione, poi lo richiuse.
Quando aprì il secondo dossier rimase scioccato, e per alcuni secondi non riuscì a crederci. Quello che aveva davanti agli occhi era l’insieme di pentagoni, cerchi e caratteri bizzarri che da mesi precedeva i video e annunciava gli attentati su Internet. Riconosceva anche più precisamente il messaggio, era il secondo, quello che accompagnava il video della decapitazione di Bruno. Era apparso su Internet, se ne ricordava, poco prima che suo padre entrasse in coma. Il fatto che continuasse a seguire l’attualità non lo sorprendeva per nulla; ma che si fosse interessato proprio a quell’immagine era una coincidenza davvero strana.