5.

Bruno li aveva invitati per domenica sera alla festa che si sarebbe tenuta dopo l’annuncio dei risultati del primo turno al quartier generale della campagna, in avenue de la Motte-Picquet. Forse era meglio che non si facesse vedere al suo fianco, gli fece notare Paul. Non aveva più molta importanza, rispose Bruno, l’articolo ormai era bell’e dimenticato, ma in effetti ci sarebbero stati parecchi giornalisti in giro per la sala, se volevano potevano andare direttamente nei palchi.

Quando arrivarono, poco prima delle otto, Solène Signal era già lì, accompagnata dal suo assistente e da Raksaneh; aveva il volto inespressivo, smanettava col cellulare e li notò appena, era evidente che stava ricevendo cattive notizie. Sarfati e Bruno giravano per la sala, posando il braccio sulla spalla di questo e quello, cercando palesemente di attutire il colpo, qualunque esso fosse.

I risultati che arrivarono alle otto in effetti non erano buoni: il candidato del Rassemblement national era al ventisette per cento, Sarfati al venti e l’ecologista al tredici – i candidati dei vecchi partiti di destra e di sinistra si dividevano i voti rimanenti in un pittoresco disordine, si erano presentati in ordine sparso e la maggior parte degli elettori, come aveva dimostrato un recente sondaggio, non era nemmeno in grado di fare i loro nomi. Riuscivano ugualmente, e dato il contesto era quasi un successo, a superare di poco i trockisti e gli animalisti; nessuno di loro, tuttavia, raggiungeva la magica cifra del cinque per cento necessaria a ottenere il rimborso delle spese per la campagna.

“Le proiezioni del secondo turno non si sposteranno, penso,” commentò subito Solène Signal, “da due settimane siamo fermi esattamente al 50-50, 51-49 nel migliore dei casi, devo ammettere che non è quello che mi aspettavo, sono delusa.” Mentre lo diceva, fissava dritto negli occhi Benjamin Sarfati, era chiaramente a lui che rivolgeva i suoi rimproveri. Bruno era stato efficace dal principio alla fine, spesso addirittura eccelso, aveva fatto più che bene la sua parte, mentre Sarfati in alcuni dibattiti aveva mostrato delle vere e proprie inadeguatezze, a volte aveva addirittura toppato di grosso, la strategia di recupero delle star dei reality forse stava trovando i suoi limiti quella sera.

Prudence e Raksaneh si erano dirette verso il buffet, dove non c’era quasi nessuno, sui monitor giganti che ricoprivano una parete della sala si vedeva il pubblico diradarsi poco a poco, l’atmosfera non era per niente festosa. Solène Signal se ne andò poco dopo aver convocato tutti per una riunione di lavoro l’indomani mattina alle nove. Sarfati strinse brevemente la spalla a Bruno e si eclissò a sua volta, un po’ imbarazzato. Paul si ritrovò da solo nel palco con lui e aprì una bottiglia di whisky. “Sei deluso?” gli chiese alla fine, dato che lui rimaneva in silenzio.

Bruno scrollò le spalle e rispose: “Non proprio; ma sarebbe un peccato se fosse eletto il Rassemblement national, per la Francia dico.” Paul lo guardò sorpreso: stava cercando di eludere la domanda? Ma no, Bruno in realtà, se ne rese conto subito, aveva semplicemente espresso il suo punto di vista: secondo lui sarebbe stato un peccato, per la Francia, se fosse stato eletto il Rassemblement national. Da dove gli veniva quella convinzione? Da un ragionamento basato su una certa forma di razionalità economica? Da una morale antirazzista, umanista, che aveva ricevuto in retaggio? O più semplicemente dalle sue origini borghesi? Tutte quelle spiegazioni del resto potevano coincidere, ma quella, in ogni caso, era la sua convinzione, ed era stata proprio quella che lo aveva spinto a impegnarsi nella battaglia elettorale. Bruno non era un cinico; non era nemmeno uno stupido, tutt’altro, e cominciava a interrogarsi sulle motivazioni profonde del presidente. Favorendo la candidatura di un mediocre come Sarfati, non aveva voluto agevolare la vittoria del Rassemblement national? Appena salito al potere, aveva probabilmente ipotizzato il presidente, il Rassemblement national avrebbe provocato dei veri disastri, il tracollo economico e sociale sarebbe stato immediato, e non ci sarebbe voluto molto prima che il popolo invocasse il suo ritorno, la sua rielezione tra cinque anni sarebbe stata assicurata, forse si sarebbero verificati addirittura dei fatti gravi, fuori dal quadro della legalità repubblicana, e non avrebbe avuto nemmeno bisogno di aspettare cinque anni. Nel caso invece di un governo moderato, che perseguiva una politica più o meno analoga a quella del governo precedente, di un governo che non sarebbe uscito dal “cerchio della ragione”, per riprendere i termini di vari saggisti del secolo precedente, un fremito di alternanza rischiava di farsi sentire e turbare gli animi; e allora il suo ritorno in carica sarebbe divenuto più problematico.

Il presidente aveva una mente abbastanza contorta da aver immaginato un simile scenario? Bruno sembrava pensarla così, e dopotutto lo conosceva meglio di lui, lavoravano a stretto gomito già da anni, e questo non aveva nulla di rassicurante. C’era anche un’altra cosa, che Bruno non gli disse, perché ancora non osava esprimerla a parole, ma che si leggeva fra le righe nelle sue affermazioni. Nel corso di quella campagna si era rivelato, aveva sviluppato doti di tribuno, piano piano aveva preso sempre più gusto a parlare davanti a una folla, a scatenare nella gente reazioni di ilarità, tristezza o rabbia. In un’occasione, durante un viaggio a Strasburgo, aveva fatto addirittura cantare in coro la Marsigliese a migliaia di persone. Ne erano rimasti tutti stupiti, a cominciare da lui, l’unica persona che probabilmente l’aveva previsto era il presidente. Il presidente era intelligente, nemmeno i suoi più accaniti detrattori si sognavano di mettere in dubbio la sua intelligenza; ma in più conosceva gli uomini, sapeva intuire le loro potenzialità inesplorate come le loro pecche. Aveva giudicato correttamente Sarfati fin dall’inizio, vedendo in lui solo un pagliaccio, che si sarebbe accontentato degli orpelli del potere; ma allo stesso tempo aveva, assai verosimilmente, previsto la trasformazione di Bruno, e compreso che quest’ultimo avrebbe potuto, acquistando poco alla volta fiducia, mirare a sua volta alla carica suprema; non era delle ambizioni di Sarfati che il presidente aveva paura, ma di quelle di Bruno. Il presidente non poteva immaginare – questo era l’unico limite del suo ragionamento, il suo punto cieco – che qualcuno potesse avvicinarsi così tanto alla carica presidenziale senza subirne la fascinazione, senza essere colto da una vertigine che lo spingeva a bramarla e a farne il fine ultimo della sua esistenza. Lui stesso vittima dell’incantesimo, non immaginava che fosse possibile sottrarsi a esso, e nel caso di Bruno, come in quello di quasi tutti gli esseri umani, almeno di quelli di sesso maschile – le donne storicamente erano state diverse, anche se ormai sempre di meno – il presidente aveva ragione, si disse Paul rassegnato.

Prudence e Raksaneh tornarono dal buffet, sembravano intendersi a meraviglia, era curioso come Prudence l’avesse riconosciuta immediatamente come sua affine, la donna situata in una posizione simmetrica alla sua. Bruno non aveva detto ancora nulla della sua relazione con lei, ma per Prudence era stato fin da subito ovvio. È difficile capire in che modo procedano le donne per giungere in così poco tempo a questo tipo di conclusioni, forse era una questione di feromoni, che si trasformano in molecole olfattive e si diffondono nell’aria, tutto probabilmente passava attraverso le cavità nasali. Prima che se ne andassero, Bruno fece promettere a Paul di tornare, le due settimane seguenti sarebbero state decisive, certo, sarebbe stato soprattutto Sarfati a trovarsi immerso nel cuore del reattore, ma anche lui sarebbe stato molto richiesto, le visite di Paul gli avrebbero fatto bene. “Mi sei mancato...” gli disse sulla soglia, e fu in quel momento che Paul si rese conto che Bruno non era mai venuto a casa sua, malgrado gli stretti legami di amicizia che li avevano uniti negli ultimi anni; lo invitò a cena la settimana seguente. Sapeva già che l’appartamento gli sarebbe piaciuto; era stato per puro snobismo che la moglie di Bruno ci aveva tenuto a restare nel cuore del faubourg Saint-Germain dopo la sua nomina ministeriale. Il loro appartamentino di tre stanze in rue des Saints-Pères, che affittavano per una somma ridicolmente alta, non gli era mai piaciuto, ed era stato un sollievo per lui quando aveva deciso di occupare il suo alloggio di servizio al ministero, una volta che la loro separazione gli era apparsa ormai ovvia. Nonostante tutto, abitare sul posto di lavoro, abolire ogni distanza, era una soluzione estrema, che in genere non piaceva alle donne, la soluzione scelta da Paul e Prudence, un quarto d’ora a piedi dal ministero, era un ottimo compromesso.

Bruno aveva avvertito che sarebbe “venuto in compagnia”, probabilmente quello era il massimo della confidenza intima per lui, e naturalmente non furono affatto sorpresi di vedere arrivare Raksaneh, nemmeno lei mostrò il minimo imbarazzo e manifestò per il loro appartamento un interesse immediato, così evidente che Prudence le propose di fare un giro, mentre Paul offriva da bere a Bruno. Il giro fu dettagliato e tecnico, durò più di mezz’ora, e quando le due donne tornarono nella zona giorno mentre il sole tramontava sul Parc de Bercy, Raksaneh non poté far altro che dire a bassa voce: “Fantastico...Proprio fantastico.”

Ormai mancavano dieci giorni al secondo turno, era praticamente impossibile evitare l’argomento, e Paul non ci provò nemmeno, comunque gli interessava, aveva registrato una decina di ore di dibattiti sul suo hard disk, ma poi non aveva trovato il tempo di guardarli. Mentre Prudence si occupava del pasto – stava cominciando davvero ad appassionarsi alla cucina – ne guardarono uno, che opponeva Sarfati a un tizio della sinistra, Paul lo conosceva ma non riusciva bene a collocarlo, probabilmente era uno degli insoumis, ma un insoumis piuttosto famoso. Bruno si disinteressò ben presto allo spettacolo, e durante il seguito del programma si versò tre bicchieri di champagne. Raksaneh, invece, ritrovò subito i suoi riflessi professionali: col telecomando in mano, mandando il video al rallentatore e fermandosi ogni tanto su un fotogramma, spiegò con estrema chiarezza a Paul cosa rendesse il linguaggio corporeo di Sarfati assolutamente perfetto. Esprimeva di volta in volta empatia, irrisione, rabbia, sottolineando il messaggio con una mimica, un’inclinazione del busto e una posizione delle mani precise, convincenti e appropriate, si vedeva che dietro c’erano anni di lavoro. “Il problema di Ben non è l’imballaggio, è il contenuto,” riassunse brutalmente prima di premere il pulsante stop; subito dopo passarono a tavola.

No, continuò Raksaneh in risposta alla domanda di Paul, la preoccupazione di Solène Signal per i risultati delle elezioni non era simulata. La vittoria del Rassemblement national era inconcepibile, ma lo era da cinquant’anni, e le cose inconcepibili a volte accadono. Il divario tra le classi dirigenti e la popolazione aveva raggiunto un livello inaudito nelle piccole città di provincia, i movimenti sociali che erano sorti negli ultimi anni erano, secondo lei, solo un timido inizio; inoltre, l’odio razziale stava toccando punte senza precedenti in Europa, e le cose non si sarebbero risolte tanto presto. Solène dava l’impressione di essere solo una parigina degli ambienti colti, che frequentava esclusivamente gli altri membri dell’élite mediatica come lei; ma tramite la sua famiglia aveva mantenuto alcuni contatti con gli strati più bassi della popolazione, e la situazione le sembrava realmente allarmante. Per di più, i soggetti intervistati avevano scoperto di recente un nuovo modo per mentire ai sondaggisti: si dichiaravano indecisi, senza un’opinione, ma in realtà un’opinione ce l’avevano, e anche molto definita. Tuttavia non davano l’impressione di mentire: chi non è indeciso, almeno a tratti?

“Non trovate che si sentano troppo i chiodi di garofano nel mio stufato?” chiese Prudence. Paul le lanciò uno sguardo incredulo, la sua indifferenza a quegli argomenti continuava a meravigliarlo un po’; ma, a ben pensarci, quando mai aveva sentito Prudence esprimere una qualsiasi opinione politica? Bisognava arrendersi all’evidenza, se ne fregava altamente. Quanto ai chiodi di garofano, Raksaneh se ne intendeva abbastanza e la rassicurò: i chiodi di garofano in effetti sono difficili da maneggiare, in quel caso li si sentiva ma non troppo, il giusto che ci voleva secondo lei. Bruno le fece a sua volta i complimenti, senza dubbio sinceri, ma in fatto di gastronomia la sua esperienza non andava molto oltre la pizza ai quattro formaggi. Ormai quella maratona elettorale era quasi finita per lui, Sarfati sarebbe rimasto solo in prima linea fino alla fine; era in programma un unico grande comizio, tre giorni prima dello scrutinio, l’ultimo della campagna in effetti, al quale avrebbero partecipato numerosi ministri del governo. Il suo intervento sarebbe stato il più lungo insieme a quello di Sarfati, avevano previsto venticinque minuti, ma tanto cominciava a prenderci la mano. “Poi... se tutto va bene, potrò tornare ai miei dossier,” fece uno strano sorrisetto timido, il suo sguardo incontrò quello di Raksaneh ed entrambi abbassarono la testa per l’imbarazzo, avevano pensato la stessa cosa contemporaneamente, sarebbe tornato ai suoi dossier, certo, ma qualcosa di nuovo era entrato nelle loro vite. Per quanto grandi fossero le loro differenze culturali, condividevano una antichissima e stranissima convinzione, che era sopravvissuta al crollo di tutte le civiltà e di quasi tutte le convinzioni: quando hai beneficiato di un colpo di fortuna, di un dono inatteso del destino, occorre tacere, e soprattutto non insuperbirsi, per paura che gli dèi possano adombrarsi e far pesare la loro mano su di te. Rimasero un istante in silenzio, con la testa abbassata, poi Raksaneh alzò la testa verso Bruno. Paul non aveva mai notato che aveva degli occhi di un verde così intenso, un verde smeraldo assoluto, di un’intensità quasi spaventosa. Lentamente, Bruno alzò la testa e la fissò dritto negli occhi. Non si muoveva più nessuno, Prudence aveva il fiato mozzo, per qualche secondo intorno al tavolo regnò un silenzio totale.