6.
Cécile e Hervé non venivano mai a Parigi, e per la loro visita Paul aveva previsto un programma da turista tipo, quello che si riserva ai parenti di provincia: giro in bateau-mouche, visita ai musei, cena in un ristorante dell’Île Saint-Louis. Solo il venerdì pomeriggio, poche ore prima del loro arrivo, si ricordò che Hervé aveva fatto i suoi studi a Parigi, come Cécile, anzi, si erano conosciuti proprio lì, e soprattutto che Cécile, come lui, aveva passato la maggior parte della sua infanzia a Parigi, come aveva potuto dimenticarsene? Possibile che gli altri per lui fossero stati sempre e solo una presenza fantomatica, circoscritta, che solo occasionalmente aveva accesso alla sua coscienza? Nel caso di Aurélien forse era così; ma per Cécile, quell’idea lo addolorava un po’. A dire il vero, non era solo degli altri che aveva difficoltà a ricordarsi; doveva pur esserci stata una scuola elementare, media o un liceo che aveva frequentato da piccolo; li aveva completamente cancellati dalla memoria. Perfino l’appartamento dove vivevano a Parigi evocava in lui solo immagini sfocate, inconsistenti e incerte, simili a quelle di un film in bianco e nero degli anni quaranta. I suoi ricordi, i suoi veri ricordi d’infanzia, lo riportavano tutti alla casa di Saint-Joseph.
È vero che con Cécile era facile dimenticarsi del suo passato parigino: incontrandola, tutti si convincevano subito che venisse dalla provincia, e più precisamente dal Nord della Francia. La gente di quella regione era conosciuta per il suo carattere caloroso e accogliente; ma pur tenendo conto di questo, Cécile aveva dimostrato capacità di adattamento fuori dal comune.
Come tutte le persone del Nord-Pas-de-Calais, Hervé e Cécile difendevano la loro regione con le unghie e con i denti, invocando non solo la riconosciuta ospitalità dei suoi abitanti, ma anche la sua bellezza, gli splendori architettonici rimasti a testimonianza di un’antica prosperità, nel caso di Arras legata principalmente all’industria dei tessuti. La loro città annoverava così due magnifiche piazze barocche, una delle quali sovrastata da una torre campanaria dichiarata patrimonio mondiale dell’UNESCO, e aveva la più alta densità di monumenti storici di tutta la Francia – cosa che sorprendeva sempre i visitatori. Allo stesso tempo, non mancavano mai di sottolineare la povertà, la disoccupazione e addirittura le condizioni sanitarie quasi malsane che affliggevano la regione. Il loro era, come nella maggior parte degli abitanti del Nord-Pas-de-Calais, un contrasto così violento da assomigliare a volte a una dissociazione cognitiva; ma non lo si poteva definire schizofrenia, perché entrambi gli aspetti contenevano in egual modo una parte di verità. Era la realtà, in quel caso, a essere schizofrenica.
Anche l’atteggiamento di Hervé e Cécile verso la vita politica di Paul era un po’ schizofrenico. Non potevano ignorare i suoi rapporti con le cerchie più interne dell’apparato statale, del governo – be’, del vecchio governo, ma che molto probabilmente lo sarebbe diventato di nuovo, un governo i cui orientamenti politici disapprovavano completamente; ma questo non aveva nessuna importanza ai loro occhi.
Hervé aveva rivisto diverse volte Nicolas, ogni tanto la sua passione per le pistole lo inquietava un po’, ma fatto sta che senza di lui non avrebbero incontrato Brian, non avrebbero potuto agire da soli e probabilmente Édouard a quell’ora sarebbe morto. Tuttavia non aveva intenzione di tornare alla militanza; amava il suo nuovo lavoro di broker assicurativo. Le assicurazioni spesso sono una spesa obbligatoria agli occhi della legge, e per le persone povere – o addirittura molto povere – che costituivano la sua clientela, talvolta gravavano terribilmente sul bilancio familiare. Era un piacere per lui guidare i suoi clienti attraverso l’intrico delle garanzie, aiutarli a non farsi estorcere troppo dalle compagnie di assicurazione, il cui cinismo e la cui voracità erano in genere senza limiti, insomma, svolgeva il suo lavoro come meglio poteva, come aveva fatto quando era notaio, la sua vita aveva di nuovo una struttura e un asse – e anche questo lo doveva a Nicolas.
Seri e lavoratori, Bruno e Hervé amavano entrambi il proprio paese, ma si situavano su fronti politici opposti. Paul sapeva che quelle riflessioni erano inutili, le aveva già fatte decine di volte, senza giungere a un risultato apprezzabile. La situazione, però, non gli appariva del tutto simmetrica. Condivideva l’impegno di Bruno, anche lui avrebbe votato per Sarfati a entrambi i turni, ma era consapevole che si trattava di una non-scelta, un’adesione banale all’opinione corrente. E tuttavia non era assurda, a volte la scelta della maggioranza è la migliore, proprio come negli autogrill è preferibile di solito optare per il piatto del giorno, senza che questo meriti di dar luogo a scambi appassionati, e nemmeno le loro conversazioni politiche, durante quel fine settimana, ebbero nulla di appassionato. Ce ne furono però, non foss’altro perché Hervé e Cécile sospettavano che lui avesse accesso a informazioni inaccessibili ai comuni mortali, e ovviamente volevano sapere. Paul pensava di no, di non essere in possesso di alcun segreto, ma in realtà si rese conto con sorpresa di averne: il semplice fatto, per esempio, che il presidente aveva intenzione di ricandidarsi di lì a cinque anni, che Sarfati era solo una soluzione temporanea, per lui era un dato di fatto scontato; ma dopotutto non era mai stato annunciato pubblicamente.
La domenica mattina, avevano in programma di andare a trovare Anne-Lise; tornarono contentissimi dalla loro visita. Aveva un grazioso monolocale vicino al Jardin des Plantes, arredato con gusto. Avrebbe discusso la tesi tra meno di un mese, e pensava di ottenere un posto di assistente già dall’inizio del nuovo anno accademico. In sintesi, se la cavava benissimo, e non avevano nessun motivo di essere preoccupati per lei. In effetti, pensò Paul, quella ragazza governava la sua vita con un’intelligenza e una razionalità notevoli. Non pensava che alla lunga la razionalità fosse compatibile con la felicità, era perfino abbastanza certo che portasse in tutti i casi alla completa disperazione; ma Anne-Lise era ancora lontana dall’età in cui la vita l’avrebbe costretta a fare una scelta, e a dire addio alla ragione, se era ancora capace di farlo.
Mentre riaccompagnava Hervé e Cécile alla Gare du Nord, Paul pensò che il suo rapporto con la sorella in fondo era uguale a quello che aveva con il padre: al tempo stesso indistruttibile e senza sbocco. Niente avrebbe mai potuto spezzarlo; ma niente avrebbe mai potuto nemmeno fare in modo che superasse un certo grado di intimità; in quel senso era esattamente il contrario di una relazione coniugale. La famiglia e la vita coniugale, questi erano i due poli residui attorno ai quali si organizzava l’esistenza degli ultimi occidentali, in quella prima metà del ventunesimo secolo. Altre formule erano state contemplate, invano, da persone che avevano avuto il merito di intuire il logoramento delle formule tradizionali, senza tuttavia riuscire a concepirne di nuove, e il cui ruolo storico era dunque stato interamente negativo. La doxa liberale insisteva a voler ignorare il problema, tutta piena com’era della sua ingenua convinzione che l’attrattiva del lucro potesse sostituirsi a qualsiasi altra motivazione umana e potesse, da sola, fornire l’energia mentale necessaria a mantenere un’organizzazione sociale complessa. Era palesemente falso, e a Paul sembrava evidente che l’intero sistema sarebbe andato incontro a un gigantesco collasso, di cui per ora non era ancora possibile prevedere la data, né le modalità – ma questa data poteva essere vicina, e le modalità violente. Si trovava così nella situazione bizzarra di lavorare con costanza, e perfino con una certa abnegazione, al mantenimento di un sistema sociale che sapeva essere irrimediabilmente condannato, e con ogni probabilità in un futuro non troppo lontano. Quei pensieri, tuttavia, anziché impedirgli di dormire, lo sprofondavano di solito in uno stato di spossatezza mentale che gli induceva rapidamente il sonno.
Sorprendentemente, all’interno di una chiesa neogotica abbastanza brutta, come quelle che si costruivano nel diciannovesimo secolo, e che era forse la basilica di Sainte-Clotilde nel settimo arrondissement di Parigi, si celava un’autentica necropoli carolingia, cui facevano la guardia dei cani feroci. Paul era chiamato ad assolvervi una missione, pur sapendo che i cani lo avrebbero divorato se non era l’eletto di Dio. Delle persone che uscivano dalla chiesa esprimevano al riguardo opinioni contraddittorie: un primo, travestito da arciprete, insisteva sulla severità e l’intransigenza dei cani; per un secondo, travestito da vagabondo, i cani in realtà non mangiavano quasi nessuno. Eppure tutti e due, misteriosamente, esprimevano lo stesso punto di vista.
Quando alla fine entrava nella chiesa che era forse la basilica di Sainte-Clotilde, Paul scopriva senza difficoltà l’entrata della necropoli. Enormi e silenziosi, i cani lo guardavano passare con diffidenza, ma senza accennare il minimo movimento. La sua torcia tascabile gli rivelava, sulle pareti, dei decori geometrici che ricordavano la fantascienza anni settanta. Una sporgenza in alto accoglieva delle nicchie contenenti mummie in cattivo stato di conservazione. Paul capiva allora che per compiere la sua missione doveva scalare la parete e raggiungere la sporgenza. A metà della sua arrampicata si sentiva minacciato da un pericolo, ma riusciva ad afferrare l’estremità di una scala da pompiere; estremamente flessibile, la scala si dispiegava subito nell’aria, e Paul si ritrovava su una piccola piattaforma, posta una quarantina di metri sopra il livello della strada, che comunicava con alcune impalcature. Un bambino di sette anni saliva rapidamente la scala dietro di lui, con un coltello da macellaio in mano; arrivato all’altezza di Paul, glielo piantava nella coscia. Il sangue scorreva copioso, ma Paul riusciva a estrarre il coltello. Folle di paura al pensiero della sua reazione, il bambino scendeva di corsa diversi gradini della scala, ma Paul gettava il coltello in strada, quaranta metri più in basso; il bambino allora si sedeva sui talloni, guardandolo con disprezzo, poi veniva spinto e superato da due uomini di una trentina d’anni con la bombetta in testa che salivano la scala a gran velocità. Arrivati all’altezza di Paul, si presentavano a lui come un regista e il suo attore. Poco dopo, attraverso le impalcature arrivavano i loro sosia, si radunavano tutti sulla piattaforma, che alla fine era più larga del previsto. I quattro uomini poi, apparentemente dimentichi della presenza di Paul, parlavano con animazione, ciascuno mostrando agli altri, con ingenua meraviglia, delle armi temibili, come rasoi retrattili.
Nella strada sottostante, che in realtà era un ampio viale, pieno zeppo di gente, passava una macchina a forma di roccaforte. In cima al mastio, diversi uomini tendevano da una parte all’altra del viale un filo lungo e rigido, tagliente come un rasoio. Senza la minima difficoltà, il filo mozzava il busto dei passanti che circolavano sul viale, lasciando nella scia dell’auto cumuli di cadaveri. Uno degli uomini che si trovavano accanto a Paul sulla piattaforma evocava con ingenua ammirazione “Sammy il Macellaio”, come se quell’evocazione potesse garantirgli l’incolumità. Ma si sbagliava, perché un filo metallico dello stesso tipo si tendeva ora verso l’alto a partire dalla macchina roccaforte e li minacciava pericolosamente. Subito dopo, la conversazione prendeva una piega filosofica, o addirittura teologica: gli occupanti della macchina roccaforte in realtà non avevano niente a che vedere con Sammy il Macellaio, che era solo una superstizione popolare priva di qualsiasi fondamento attestabile, erano i fautori di un culto razionale, basato sulla dispersione degli elementi che compongono gli esseri viventi per permettere la creazione di nuove strutture, il cui unico sacramento era l’assassinio. Nel bel mezzo della conversazione si udiva a intervalli regolari il suono di una sirena, probabilmente era una chiamata rivolta all’autocarro dei pompieri, che avrebbe permesso loro di sfuggire in breve al pericolo che li minacciava.
La suoneria del cellulare finì per svegliarlo, l’aveva lasciato al piano di sotto e il suono giungeva alle sue orecchie molto smorzato, da quanto tempo stava suonando? Prudence, accanto a lui, dormiva tranquillamente.
“Paul?” disse Bruno non appena ebbe risposto. “Mi dispiace, so che sono le cinque del mattino.”
“Suppongo sia grave.”
“Sì. Penso che si dovrà interrompere la campagna presidenziale.”
Bruno attese qualche secondo prima di continuare. C’era stato un nuovo attentato, annunciato da un nuovo messaggio su Internet. Il messaggio doveva essere apparso verso le quattro di notte, e questa volta avevano fatto le cose in grande, il video era praticamente ovunque. Entro mezz’ora al massimo, ne avrebbero parlato tutti i canali di informazione.
“Ma cosa è successo di tanto grave?” si stupì Paul. “Ormai è almeno il quarto attentato.”
“Il terzo, se conti solo quelli che erano accompagnati da un messaggio su Internet.”
“Va bene, d’accordo, il terzo; ma comunque, la novità comincia un po’ a stemperarsi.”
“Sì. Solo che stavolta ci sono cinquecento morti.”