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Giocare a ping pong una volta alla settimana era una cosa, camminare a piedi per i sentieri di quella impervia valle albanese, era davvero tutt’altro.

Albert, con il suo bravo zaino professionale sulle spalle, continuava a fischiettare come se si trattasse di una passeggiata per bambini, mentre invece i piedi dell’ispettore iniziavano a dolere non poco dentro le perfide sneakers, buone per fare i fighetti in città, ma in quel frangente assolutamente poco adatte allo scopo.

Una volta superato il villaggio di Theth avevano camminato lungo una sorta di stretto imbuto circondato da enormi rocce incombenti.

«Non è bellissimo?», aveva subito esclamato Albert, come se si trovasse a Disneyland «Questo è il Canyon di Grunas! Una delle perle assolute del nostro paese.»

Canepa invece aveva pensato che, se di perla si trattava, era comunque una perla incombente e a lui le cose incombenti a due palmi dalla testa, non erano piaciute mai troppo. Usciti dal Canyon-Perla avevano poi continuato ancora a marciare, fino ad arrivare a un enorme affare di cemento, tubi d’acciaio e cavi sospesi. Sembrava una specie di astronave aliena, del tutto fuori luogo in un contesto rupestre come quello.

«Centrale elettrica di Ndërlysa», disse Albert, vedendo come l’altro lo guardava, in attesa di spiegazioni.

«Anche questa è una perla assoluta?», domandò l’italiano, con tono un po’ strafottente.

Qualche centinaio di metri più in là si trovarono a superare l’omonimo villaggio di Ndërlysa, quello cioè servito dall’astronave aliena. Se lo lasciarono sulla destra e proseguirono ancora, finché non giunsero in un luogo stavolta davvero incredibile, tanto che lo stesso ispettore non riuscì a fare a meno di ammirarlo, con la bocca e gli occhi spalancati.

Era un piccolo lago su cui si gettava una cascata proveniente dalla montagna. Il colore dell’acqua era di un azzurro incredibile, come lui non ne aveva mai visti prima, neanche quando con la sua amata Simona erano stati qualche anno prima in vacanza a Capri, a visitare la celebre Grotta Azzurra.

«Eccolo qua», disse Albert «Questo è quello che noi albanesi chiamiamo Syri i Kalter ovvero l’Occhio Azzurro. Le piace, ispettore?»

«Moltissimo», bofonchiò lui, ormai perso in quell’immagine da cartoni animati.

«Le acque arrivano dal fiume Nero, interamente formato dalla neve che si scioglie nelle montagne. Il lago è di circa cento metri quadrati e ci sono un sacco di pesci lì dentro. Peccato soltanto che non ci si possa fare il bagno.»

«Perché?»

«L’acqua è così fredda che nuotare lì dentro solo per pochi secondi sarebbe una vera sfida con la morte.»

«Sfida con la morte?», esclamò Canepa che, quasi d’istinto, sollevò gli occhi verso la collina circostante. Le due vecchie case erano lì, a meno di cinquanta metri di distanza una dall’altra, e guardavano severe verso il lago, dentro il quale si rifletteva la loro immagine che non era un’immagine lieta, niente affatto. Quella che veniva fuori era invece un’atmosfera stranamente sinistra. A Canepa venne in mente il Bates Motel, quello in cui era stato girato il film Psycho di Hitchcock e dove il protagonista Norman conservava mummificato il corpo della madre morta. Ecco, quelle case sembravano proprio due Bates, uno vicino all’altro. Salirono sul sentiero che portava fin lì, quando Canepa vide qualcosa di molto strano.

All’improvviso, la porta della prima casa si era spalancata e un ragazzo di una quindicina d’anni era uscito fuori di corsa. Subito una donna gli era andata dietro, gridando come una pazza. L’aveva inseguito, acciuffato e poi riempito di schiaffoni, così forti che il rumore della mano sulle guance arrivava fino a loro che si trovavano ancora ad una cinquantina di metri di distanza. Il ragazzo aveva subito la punizione in silenzio e non aveva emesso un solo grido, come se fosse abituato a tutta quella durezza. Non disse niente, neanche quando la madre lo acciuffò per la collottola della camicia e lo trascinò di nuovo verso casa, facendogli strusciare dolorosamente la schiena sulla terra lercia di fango. Canepa non riuscì proprio a resistere, perché in vita sua non aveva mai sopportato le violenze, soprattutto quelle contro i ragazzi. Corse subito verso la casa per cercare di fare qualcosa, ma quando arrivò i due erano già rientrati e la pesante porta di legno si era ormai richiusa alle loro spalle. Allora lui iniziò a bussare sull’uscio con il dorso della mano e a gridare con tutto il fiato che aveva in corpo.

«Aprite! Aprite!»

Ma non venne nessuno. La porta restò chiusa e allora lui si mise a girare intorno alla casa, per vedere se ci fosse un altro modo di entrare. Ma le finestre del piano inferiore erano tutte sbarrate, con le imposte chiuse e non era possibile guardare all’interno. Alzò la testa verso il piano superiore e allora li vide. I ragazzi lo fissavano da dietro al vetro della finestra. Due maschi, tra cui quello che aveva appena ricevuto le botte, e due ragazze, una delle due molto carina, l’altra invece piuttosto brutta. Sembravano davvero terrorizzati. Ma terrorizzati da che e soprattutto da chi? I passi di Albert che si avvicinava alle sue spalle lo fecero sobbalzare.

«Hai visto come l’ha picchiato? È normale?», domandò.

«Lo ha fatto perché lui non sarebbe dovuto uscire fuori», rispose l’albanese, con espressione molto seria e determinata.

Canepa lo guardò negli occhi per un momento e poi tornò a fissare la casa e i volti dei ragazzi che continuavano a restare dietro alla finestra, impauriti.