È incredibile cosa può succedere quando ti annoi. Io e il mio migliore amico AC passavamo un sacco di tempo insieme. Stavamo ore su internet a vedere video dei rapper che ci piacevano o altra roba divertente che la gente posta su YouTube. Poi, alla fine della terza media, decidemmo di aprire anche noi un nostro canale YouTube. Lo chiamammo Lavender Koolaide, perché il nome ci faceva ridere. Ci riprendemmo mentre ci scontravamo in un finto combattimento ninja, e poi alla fine facevamo i matti e ci lanciavamo roba. Ed ecco il nostro video di debutto. Sono il primo ad ammettere che era veramente insensato. Se non ricordo male, ebbe cinque visualizzazioni. Allora decidemmo di creare una seconda versione della nostra «lotta all’ultimo sangue», e il nuovo video andò molto meglio: dieci visualizzazioni. Ehi, era pur sempre un progresso!
I nostri primi video erano tutti più o meno sullo stesso genere, e ne abbiamo girati davvero tanti. C’eravamo sempre noi che facevamo gli stupidi: noi che balliamo con un sottofondo musicale, con uno dei due che dà un pugno all’altro o lo butta a terra come colpo di scena finale, AC che va sulla moto da cross, AC che risolve un cubo di Rubik (in un minuto e cinque secondi: quel ragazzo è un genio). Non è che mi vergogni delle scemenze che ho fatto davanti a una telecamera, diciamo però che non è una tragedia che molti di quei video siano andati persi. Anzi, alcuni li abbiamo rimossi noi stessi, perché facevano davvero pena. Comunque all’epoca nessuno li guardava, ma noi ci divertivamo lo stesso.
Fu quell’estate che andai a New York, e al ritorno continuavo a pensare ai momenti passati con Mac. E a quanto sarebbe stato fico scrivere delle canzoni e registrarle con lui, prima o poi. Ma «prima o poi» era un punto lontano nel tempo, e io avevo voglia di fare qualcosa subito.
Nell’estate di quell’anno, io e AC decidemmo di iniziare a fare sul serio su YouTube. Il 10 luglio 2010 aprimmo un canale che finalmente cominciò a funzionare, Shoot Us Down. Il nome veniva da una canzone di Lil Wayne che ci piaceva, Shoot Me Down. Lo chiamammo Shoot Us Down, «abbatteteci», perché noi eravamo in due. Continuammo a fare per lo più video random, tipo scenette comiche di noi che lottavamo per finta o facevamo i buffoni.
E poi un giorno decisi che nel video successivo avrei cantato. Anche se avevo un vago interesse a entrare nel mondo della musica, come Mac, non mi ritenevo un cantante, neanche per sogno. Mi piaceva molto l’idea, ecco tutto. Nel video c’eravamo noi in camera di Alex, seduti davanti alla sua webcam, e io che cantavo a squarciagola With You di Chris Brown, con Alex che mi accompagnava in playback. Lui era addetto anche alle riprese, ecco perché esce di continuo dall’inquadratura per far partire o fermare la registrazione. Quel video andò un po’ meglio dei nostri sketch comici, e la cosa ci fece riflettere.
Non che ci aspettassimo chissà cosa, ma volevamo vedere quanti iscritti riuscivamo a ottenere, tanto per divertirci. Contattammo online alcune persone pratiche di YouTube, e loro ci dissero che per aumentare gli iscritti e consolidare il canale dovevamo postare nuovi video di continuo. E così facemmo, e per questo ci concentrammo sui video musicali. Erano facili, divertenti, e sembravano piacere agli utenti. In più, cantare piaceva anche a me.
Allora ci imponemmo una disciplina: avremmo postato almeno un nuovo video a settimana. Inoltre, adesso che ci stavamo impegnando perché i nostri filmati fossero almeno decenti e le gente li guardasse, ci mettemmo a studiare modi per aumentare le visualizzazioni. Un fine settimana facemmo un brainstorming a casa mia.
Stampammo un migliaio di piccoli volantini promozionali per il nostro canale YouTube Shoot Us Down e poi andammo in cucina per chiedere a mia madre di accompagnarci al centro commerciale.
Mamma mi portava sempre senza problemi a San Antonio, proprio come mi aveva promesso quando ci eravamo trasferiti a La Vernia e io avevo paura di perdere le lezioni di batteria e gli amici. Quindi naturalmente disse di sì anche quella volta. Io e AC ci infilammo sul sedile posteriore con questa gran pila di volantini, e mamma ci portò al North Star Mall di San Antonio, dove sapevamo che parecchi ragazzi avevano l’abitudine di fare un giro. Ci salutò dicendo che sarebbe passata a riprenderci dopo un paio d’ore.
Lasciammo un bel po’ di volantini sui tavoli liberi di un ristorante nella galleria. I volantini non erano niente di che, servivano solo per farci conoscere un po’: semplice bianco e nero, in cima le parole Shoot Us Down a caratteri grandi e spessi, una nostra foto e il link al canale YouTube. Li distribuimmo nei negozi e un po’ dappertutto, anche sparsi per terra: insomma, ovunque pensavamo che la gente potesse raccoglierli. Ridemmo prendendoci in giro a vicenda per tutto il tempo, perché non avevamo idea se i volantini avrebbero portato a qualcosa o se stavamo solo perdendo tempo. Ma almeno ci stavamo provando.
Il lunedì successivo, dopo la scuola, io e AC andammo in camera sua come sempre e aprimmo la pagina del nostro canale YouTube, come facevamo ogni giorno. Solo che stavolta la pagina era un po’ diversa dal solito. Adesso c’erano un sacco di commenti: «Ho visto il vostro volantino al centro commerciale. I vostri video mi piacciono».
«Arrivo qui per il volantino. Bei video.»
Ci guardammo e ci mettemmo a ridere.
«Grande, ha funzionato» dissi.
Da quel giorno, andammo al centro commerciale tutti i weekend in cui mia madre poteva accompagnarci. Anche prima volevamo andarci sempre, perché a La Vernia non c’era mai niente da fare, ma stavolta sentivamo che era diverso. Era come se avessimo un vero scopo.
A un certo punto notammo un cambiamento.
Un sabato pomeriggio che eravamo al centro commerciale, un gruppo di ragazze iniziò a seguirci tenendosi qualche passo indietro, e stavano chiaramente parlando di noi. Non erano della nostra scuola, quindi pensammo che ci avessero scambiati per qualcun altro che conoscevano. Rallentammo finché le ragazze ci raggiunsero. Una di loro si fece avanti, mentre le altre ridevano e sembravano nervose.
«Voi siete quei due che fanno quei video su YouTube. Fate ridere un casino.»
All’inizio pensai che si riferisse a come cantavo, cioè male, ma poi capii che ci stava facendo un complimento, quindi doveva avere visto e apprezzato i video in cui ci divertivamo a fare i buffoni.
AC e io ci scambiammo un’occhiata. Avevamo appena incontrato qualcuno a cui piaceva quello che facevamo!
«Grazie per averli guardati» dissi, cercando di mantenere la calma.
In quel momento avemmo la folgorazione: forse potevamo avere dei fan. E non solo gente che ci trovava buffi. Dai commenti lasciati ai video musicali capivo che il mio modo di cantare era molto apprezzato. Poco tempo dopo, mi venne in mente che i fan di certi musicisti hanno dei soprannomi, tipo i sostenitori del grandissimo Justin Bieber, che vengono chiamati Belieber, o quelli di Katy Perry, i KatyCat. Fu allora che mi venne l’idea. Se mai avessi avuto un certo numero di fan, si sarebbero chiamati Mahomies, che unisce il mio nome, Mahone, e my homies, «i miei amici». Non pensavo che li avrei mai avuti, dei veri fan, ma ehi, almeno c’erano quelle ragazze del centro commerciale! Forse loro avrebbero potuto essere Mahomies. Questo dei fan era un punto su cui io e AC scherzavamo molto. Chi è che pensa che una cosa del genere possa accadere proprio a lui?
Quell’ottobre realizzammo il nostro primo «vero» video musicale, una cover di Waiting on the World to Change di John Mayer. Ogni volta che cantavo, volevo farlo al meglio e mi impegnavo sempre al massimo, ma non ci eravamo mai preoccupati di dare una veste professionale ai nostri video. Quella volta, invece, ce la mettemmo tutta. Registrai prima la voce, poi ci facemmo riprendere mentre camminavamo per La Vernia in un video in bianco e nero girato dal nostro amico Cameron (un altro di quelli con cui uscivamo, oltre a Robert e Zach). Nel bridge della canzone, io «suonavo» la chitarra (con gli occhiali da sole addosso, ovviamente) e AC «suonava» la tastiera. Registrammo anche qualche pezzo ballato in camera sua. Fu divertente.
Presto, circa la metà dei video che caricavamo erano di me che cantavo, e il resto erano dell’altro tipo, quelli in cui facevamo gli stupidi. Il successo dei video musicali continuava decisamente ad aumentare, ma all’epoca non prendevamo la cosa sul serio, almeno non ancora: io cantavo e AC faceva qualcosa sullo sfondo, perché in quel periodo c’era sempre anche lui in tutti i miei video.
La prima canzone che ho postato su YouTube in cui comparivo solo io, in modo da potermi concentrare di più sul cantato, è stata Beautiful Soul di Jesse McCartney. Mentre AC faceva partire la ripresa e la musica attaccava, mi venne un’idea: poco tempo prima avevo conosciuto in spiaggia una ragazza carina, Selena, e pensai che avrei potuto fare colpo su di lei.
«Questa è per te, Selena» dissi.
E cantai come se lo stessi facendo proprio per lei. Non so se Selena l’abbia mai visto; di certo, non sono mai uscito con lei grazie al video, come speravo. Ma era nata un’abitudine. Mi piaceva la sensazione di cantare espressamente per una persona, e se non altro era un buon modo per attirare l’attenzione delle ragazze. Se proprio non lo avesse guardato nessun altro, magari l’avrebbe visto almeno la ragazza a cui era dedicato.
Iniziai a cantare spesso versioni a cappella. Quell’autunno prendevo lezioni di chitarra, così nei video cominciai a suonare prima la chitarra e poi, a un certo punto, il pianoforte. Più postavamo, più successo avevano i singoli video e il canale, e anche gli iscritti aumentavano.
Presto notammo dei cambiamenti non solo al centro commerciale. Una settimana dopo l’uscita, un certo video aveva venti visualizzazioni. La settimana dopo ne aveva cento. Poi mille. Poi duemila. Pazzesco! Mai e poi mai avrei immaginato che i nostri video mi avrebbero portato a viaggiare per il mondo, a suonare dal vivo per un pubblico. Perciò, quando è iniziato il percorso che mi ha condotto fino a dove sono ora, non riuscivo a credere quanto in fretta io e AC fossimo passati dal fare gli scemi su YouTube al postare video da migliaia di visualizzazioni.
Sfortunatamente, i miei fan non furono gli unici a scoprire che cantavo su YouTube. Se ne accorsero anche a scuola, e non ne furono colpiti in modo favorevole. Niente di tragico, intendiamoci, ma ci furono delle reazioni stupide. Sembrava che ogni volta che mettevo piede a scuola, qualcuno avesse qualcosa da dire in merito. Non capivo cosa gliene importava: in fondo, non gli avevo certo chiesto io di guardare i miei video. Specialmente visto che non li apprezzavano.
Era dura non prendersela, ma feci del mio meglio per ignorarli. La scuola era la scuola, e dopo potevo andare a casa oppure da AC a fare altri video o navigare in internet, a leggere i commenti che arrivavano sempre più numerosi o persino a parlare con qualcuno dei nostri fan, il che era fichissimo.
Poi, nel novembre del 2010, La Vernia organizzò il suo primo concorso per nuovi talenti. Avevo lavorato sodo dal punto di vista della musica, così decisi di buttarmi. Dissi a mia madre che volevo iscrivermi e lei mi appoggiò senza riserve. Fu il mio insegnante di chitarra, Manny, a prepararmi: mi esercitavo di continuo. Mi presentai alle selezioni e venni preso.
Pochi giorni prima dell’evento, la scuola organizzò una festa in palestra in cui era previsto un altro concorso, e io volevo esibirmi anche lì. Sapevo di poter spaccare. Poi però pensai ai ragazzi che mi prendevano sempre in giro, e mi chiesi se dopo mi avrebbero canzonato ancora di più. Forse sì, ma poi pensai: e chi se ne importa? Fu una vera folgorazione.
Eppure, mentre aspettavo il mio turno, ero parecchio nervoso. Alla fine, un insegnante mi presentò. Non avevo mai cantato dal vivo di fronte a un pubblico prima di quel momento, ma uscii, mi diressi verso il centro della palestra, presi in mano il microfono e attaccai una versione a cappella di I’ll Be di Edwin McCain.
Mano a mano che andavo avanti, mi feci prendere, come mi succedeva sempre di fronte alla telecamera. Qualche ragazza lanciò delle grida di incoraggiamento. Qualcun’altra si mise a cantare insieme a me. Quando il pubblico è rapito dalla musica e dal momento, si crea un’atmosfera particolare – di cui dal palco ti accorgi sempre –, ed è proprio quel che successe nella palestra. Quando terminai, tra le ragazze scoppiò un boato.
Ovviamente, la mia performance non piacque a tutti (e un tizio si prese anche la briga di farmelo sapere), ma non me ne importava. Mi ero divertito, e, indovinate un po’... vinsi il concorso.
Quel fine settimana si sarebbe tenuto il talent show cittadino. Per l’occasione avrei cantato accompagnandomi con la chitarra acustica. Avevo appena suonato di fronte a un vero pubblico per la prima volta, ed ecco che stavo per vivere un’altra prima volta, perché non avevo mai cantato e suonato contemporaneamente dal vivo.
I concorrenti erano almeno quindici e io ero l’ultimo, così mi parve che il mio turno non arrivasse mai. Quando finalmente toccò a me, salii sul palco, mi sedetti sullo sgabello, sfiorai le corde della chitarra e senza pensarci troppo attaccai. Avevo scelto di cantare So Sick di Ne-Yo. Non solo vinsi il concorso, ma finalmente mi sentii un vero cantante. Non era più come esibirsi in camera di AC. Avevo un pubblico, un pubblico che batteva le mani per me. Era una sensazione fantastica, e sapevo di volerla provare ancora.
È vero, avevo iniziato per gioco, ma ora che vedevo le visualizzazioni salire vertiginosamente (migliaia e migliaia per video) e i commenti e il feedback aumentare di pari passo, cominciai a prendere il tutto più seriamente. Volevo andare fino in fondo e vedere dove la cosa mi avrebbe portato.
Quando mi resi conto che il nostro canale stava crescendo moltissimo e che alle persone piaceva sentirmi cantare, decisi di aprire un altro canale tutto mio, solo di cover, per potermi concentrare esclusivamente sulla musica. Ne parlai con AC per accertarmi che fosse d’accordo al riguardo e lo rassicurai: anche se stavo per imboccare una strada un po’ diversa, il nostro progetto comune era ancora in piedi. AC si dimostrò davvero un grande amico. Capiva la piega che le cose stavano prendendo per me e mi sosteneva in tutto e per tutto. Sarebbe bello se tutti fossero così fortunati da avere un amico come lui. Sapevo già da allora che privilegio era avere al mio fianco lui, Robert e Zach.
A scuola fu un periodo buio. C’era gente che continuava a prendermi in giro per i video. Io cercavo di concentrarmi sulle reazioni positive, ma a volte era impossibile rimanere indifferente di fronte a quelle negative. Forse hanno ragione pensavo ogni tanto, sentendo dei tizi che parlavano di me. Forse esporsi così su YouTube è da stupidi. Ma per fortuna una vocina dentro di me non mi permetteva di convincermene davvero. Le persone si sentiranno sempre in diritto di dirti cosa pensano di te, riflettevo. Ci sarà sempre e comunque qualcuno che ti prenderà in giro. E dunque, tanto vale fare quel che ti piace e divertirti.
E così ho fatto.