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6. E ALLA FINE...

A quel punto eravamo solo io e mamma, insieme, a fare tutto quel che potevamo per la mia musica. È così che i miei fan hanno imparato a conoscerla e a chiamarla Mama oppure Mama Mahone: quest’ultimo è un nome che le è venuto in mente quando ha dovuto taggarsi in una foto online di me, lei e AC al primo Playlist Live, nel 2011.

I fan iniziavano a riconoscerla, a seguirla su Twitter e Instagram, a chiederle di farsi una foto con loro ai concerti o ad altri eventi. Allora lei ha cominciato a comparire ogni tanto sul mio Ustream per un saluto, ed è diventata un po’ la mamma di tutti.

Quell’inverno non successe granché – sul serio, fu un periodo morto – ma per fortuna avevamo un progetto molto fico che ci teneva occupati. Vi ho già detto che mia madre è country dentro, e ha sempre adorato Nashville, che è un po’ la capitale del country. Perciò ci andavamo spesso, e proprio lì, in quel periodo, mamma ha conosciuto una signora che faceva da agente a una band. Cinque anni prima, questa band aveva scritto una canzone ma non l’aveva mai registrata, e ormai pensavano di essere troppo grandi per materiale di quel tipo, così la tenevano nel cassetto. Io iniziavo a essere stanco di cantare solo cover, e avevo voglia, una volta tanto, di registrare e suonare dal vivo un pezzo nuovo. Il gruppo fece un gesto bellissimo: mi offrì la canzone, e io colsi al volo quell’opportunità.

La parte migliore fu che per registrare dovevo andare a Nashville. Da quando avevo lasciato la scuola, l’autunno precedente, passavo quasi ogni giorno in camera a fare video e a cercare di concludere qualcosa con i compiti. Tutti i miei amici erano rimasti a La Vernia, e io solo molto di rado vedevo gente o mi spostavo. Perciò andare in un altro Stato per fare un’esperienza nuova ed entusiasmante fu fantastico.

Registrammo in una stanza in casa del produttore. Era la prima volta che mettevo piede in uno studio di registrazione, con microfoni veri e strani macchinari che non assomigliavano a niente che avessi mai visto. Quando iniziai a cantare, la sensazione fu la stessa a cui ormai ero abituato, solo che i suoni erano infinitamente migliori di quando mi registravo da solo. Prima che me ne rendessi conto, avevo inciso il mio primo singolo, 11:11.

L’intera esperienza fu incredibile. Eccomi qui, in viaggio per registrare il mio primo singolo. Un pomeriggio, in una caffetteria di Nashville, alzai gli occhi e vidi questa ragazza molto alta e carina dall’aria vagamente familiare. No, non poteva essere! E invece sì: era Taylor Swift. Dovevo almeno dirle ciao. Andai al suo tavolo, sentendomi timido e imbranato, ma lei si voltò verso di me e mi rivolse un gran sorriso.

«Sei Taylor?» le chiesi.

«Sì» rispose.

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«Ciao, mi chiamo Austin Mahone. Sono un cantante, su YouTube.» Il suo sorriso si fece ancora più ampio.

«Che bello» mi disse. «Continua a lavorare sodo e non smettere mai di crederci.» «Grazie. Posso farmi una foto con te?»

«Ma certo» rispose.

Ci mettemmo in posa e mamma scattò la foto. All’epoca non avevo idea che ci saremmo incontrati di nuovo un anno dopo, in circostanze che allora non avrei neanche potuto immaginare. La vita a volte è davvero pazzesca.

Quando 11:11 fu pronta, pensammo al modo migliore per farla uscire. Decidemmo di pubblicarla su iTunes il giorno di San Valentino, e per festeggiare avrei fatto un concerto in cui l’avrei cantata dal vivo per la prima volta. Ero ancora dispiaciuto per non aver potuto incontrare tutte le ragazze che erano venute a vedermi a Chicago l’autunno prima, e ci era rimasta la voglia di organizzare qualcosa apposta per loro. E così, per il mio primo show in occasione dell’uscita di un singolo, scegliemmo un grande teatro appena fuori Chicago.

A febbraio fummo impegnatissimi: dovevamo preparare tutto per l’uscita del singolo e per il concerto, e in più anche il resto aveva ricominciato a muoversi, proprio come gli esperti del settore avevano assicurato a mamma. Il telefono riprese a suonare e la gente iniziò a contattarmi su YouTube e su Facebook. Due etichette discografiche importanti avevano manifestato interesse a mettermi sotto contratto, e una delle due avrebbe mandato a Chicago un A&R, il responsabile del settore nuovi talenti, a sentirmi dal vivo e a comunicarmi la loro proposta.

Anche se dopo di allora mi sono successe parecchie cose molto più grosse, quella è stata probabilmente una delle serate migliori della mia vita. Il concerto andò benissimo. Il posto era strapieno, e il pubblico molto coinvolto ed entusiasta del mio nuovo pezzo. Con l’A&R di un’etichetta prestigiosa tra il pubblico, pareva proprio che le cose per me si stessero mettendo bene. E il singolo non era nemmeno uscito!

Dopo il concerto tornai in hotel. E poi, a mezzanotte, nell’istante esatto dell’uscita, andai sull’iTunes store, ed eccola lì: la mia prima canzone. Fu incredibile premere play e sentire la mia stessa voce su iTunes. È di sicuro un momento che ricorderò per sempre.

Alla fine, le grandi etichette interessate si rivelarono tre, più alcune indipendenti, senza contare sette o otto agenti super entusiasti del movimento che ero riuscito a creare su YouTube e sui social media con il solo aiuto di mia madre (e di AC, naturalmente). Fu un momento eccezionale, di quelli che ti dici: Wow, allora ce l’abbiamo fatta: sta succedendo davvero!

FU UN MOMENTO ECCEZIONALE, DI QUELLI CHE TI DICI WOW, ALLORA CE L’ABBIAMO FATTA: STA SUCCEDENDO DAVVERO!

Io e mamma andammo a Los Angeles e a Nashville per conoscere potenziali agenti e vedere cosa potevano offrirci. Andammo anche a New York per incontrare le case discografiche. Non vedevo l’ora di cominciare qualcosa, qualsiasi cosa, ed ero pronto a firmare un contratto il prima possibile per iniziare subito a fare altra musica. Ma mia madre mi fece riflettere sul fatto che qualunque decisione avessimo preso in quel momento ci avrebbe vincolati per anni, quindi era opportuno prenderci del tempo e assicurarci che fosse la cosa giusta per me. Sapevo che aveva ragione, ma era frustrante. Almeno viaggiavo e incontravo gente nuova, il che era divertente. E poi, mi esaltava sapere che l’industria musicale all’improvviso si interessava a me. Cercavo di essere paziente, anche se non sono certo la persona più paziente del mondo.

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Nel febbraio del 2012, Rocco iniziò a cercare in tutti i modi di mettersi in contatto con me. Scrisse email ai miei amici, a mia madre, persino alla mia vecchia scuola. Alla fine mamma lo richiamò, e cominciarono a parlare. Lui le spiegò che mi seguiva da mesi, su YouTube e sui social, ma che era stata la mia cover di Shot for Me di Drake a spingerlo a contattarmi. Parlammo altre volte prima che io e mamma accettassimo di incontrare il team della Chase. All’incontro, Rocco e i suoi partner ci dissero quanto li avessi colpiti e quanto desiderassero farmi fare il salto di qualità. Non potevano credere che fossimo solo io e mamma a girare e postare tutti quei video.

Il nostro duro lavoro stava iniziando a dare i suoi frutti.

In tutto ciò, ricevetti una splendida notizia, ovvero l’invito a partecipare di nuovo a Playlist Live: solo che stavolta sarei stato tra gli artisti principali, con migliaia di persone a sentirmi. Fu pazzesco vedere quanto le cose fossero cambiate per me nel giro di un solo anno. Il mio primo Playlist Live era stata un’avventura del tutto nuova. Molto bella, sì, ma mi sembrava di non capire cosa stesse succedendo, e in certi momenti mi ero decisamente fatto prendere dalla timidezza.

A quel punto eravamo solo io e mamma, insieme, a fare tutto quel che potevamo per la mia musica.

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La seconda volta fu tutta un’altra storia. Io e AC eravamo molto più sicuri, il che rese l’esperienza ancora più divertente, e inoltre, venne con noi anche Robert. Non solo: tra il pubblico di quell’anno, erano molti, molti di più quelli che sapevano chi eravamo e volevano fermarsi a salutarci e a farsi una foto con noi.

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Appena messo piede nella sala da ricevimento dell’hotel per il pre-party, capii che sarebbe andata alla grande. Riconobbi persone che avevo conosciuto l’anno precedente e ne incontrai tante altre di nuove. C’era una pista da ballo, e prima che me ne rendessi conto mi ritrovai a ballare con Robert al centro di un cerchio, noi disinvolti al massimo e tutti che ballavano e ci applaudivano intorno. Ci divertimmo come matti. Ora che avevo fatto qualche live e imparato un paio di cosette, il giorno seguente il concerto fu fantastico. Mi sentivo pronto per tutto quel che sarebbe venuto dopo.

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A fine marzo quelli della Chase ci organizzarono un viaggio da loro a Miami per presentarci al resto della squadra e mostrarci che facevano sul serio. Mandarono una limousine a prenderci all’aeroporto e ci prenotarono un hotel da sogno a South Beach. Era tutto fichissimo, ma mamma mi diceva che non dovevamo farci influenzare da dettagli di quel genere, molto comuni nel mondo della musica. Eppure era bellissimo starsene sul sedile posteriore di quella lunga limousine e sfrecciare in autostrada con la spiaggia, le palme e i grandi hotel di lusso che sfilavano all’orizzonte.

E tutto questo stava capitando perché io e AC avevamo registrato dei video e li avevamo postati su YouTube, e perché non avevo mai smesso di crederci, neanche quando non avevo nessun apparente motivo per farlo.

Tutto questo stava capitando perché io e AC avevamo registrato dei video e li avevamo postati su YouTube, e perché non avevo mai smesso di crederci, neanche quando non avevo nessun apparente motivo per farlo.

Era la sensazione più bella del mondo. In più, con quelli della Chase non avvertimmo mai l’esigenza di stare sulla difensiva. Loro volevano solo che avessimo tutto quello di cui avevamo bisogno e che ci sentissimo a casa, e così fu. Mi rilassai e cominciai a divertirmi.

Una delle cose che notai fu che tra loro erano amici da molto tempo, e che spesso sembravano sapere cosa pensavano gli altri senza neanche dover aprire bocca. Questo mi ricordava il mio rapporto con AC, Robert e Zach, e mi metteva a mio agio, come se in un certo senso avessimo qualcosa in comune.

I quattro partner della Chase erano membri di una squadra in cui tutti avevano pari responsabilità, ma ciascuno con il suo stile comunicativo e la sua area di specializzazione. Insieme formavano una macchina ben oliata. Ed erano in gamba. Girando con loro per Miami, iniziai a pensare che ora la mia vita sarebbe potuta essere quella.

Io e mamma eravamo propensi a firmare con loro per tanti motivi importanti: erano dei veterani del settore e gestivano artisti di grandissimo successo. È vero, erano più specializzati sul versante hip hop e R&B, e sapevo che probabilmente io sarei diventato un cantante più sbilanciato sul pop, ma io e mamma ci rendemmo conto che conoscevano un sacco di gente e che avevano gli agganci giusti.

La nostra ultima sera a Miami ci riaccompagnarono in hotel e ci salutammo. Io entrai in camera per primo e mamma mi seguì. Andai alla finestra, e fu come se d’improvviso avessi capito cosa dovevo fare. Mi girai e guardai mia madre.

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INIZIAI A PENSARE CHE ORA LA MIA VITA SAREBBE POTUTA ESSERE QUELLA.

«Sono loro, mamma» dissi.

«Ti stavo per dire la stessa identica cosa, Austin. Ho come la sensazione che siano le persone giuste.»

La decisione era ormai presa, anche se non eravamo ancora pronti a formalizzarla.

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