Gli anni passano nel silenzio degli habitué di Sanary. L’unica a torturarsi è Marie-France.
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Quando, alla nascita di Nathan, mia madre è andata a trovare la sorella per piangere sulla sua sorte, quando le ha detto: “Se Camille avesse parlato prima, avrei potuto lasciarlo. Adesso è troppo tardi. Non ho più questa libertà”, Marie-France l’ha supplicata. E se fosse una questione di denaro, lei gliene avrebbe dato. “Tu non sei sola, vattene! Ci sono io qui.”
Marie-France si è lanciata in un’impresa ostinata. Ha lottato contro l’orrore come meglio poteva. Ha avvertito gli amici. Sua sorella convivente con un pedofilo che aveva abusato di suo figlio. Era intollerabile, inaccettabile.
Per mesi Marie-France ha cercato ogni sostegno per convincere mia madre, per aprirle gli occhi e convincerla a lasciarlo.
In brevissimo tempo, il microcosmo della gente di potere, Saint-Germain-des-Prés, tutti vengono informati di tutto. Molti sapevano e i più hanno fatto come se niente fosse. Alcuni hanno commentato: “Comunque, la cosa più schifosa in questa storia è che c’è di mezzo la pederastia, non è così?” Uno dei ragazzi della familia grande mi ha riferito la reazione dei suoi genitori: “L’incesto non è certo cosa da farsi. Ma chiamare alla rivolta, quello proprio no!” Quale rivolta?
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Gli habitué di Sanary, la familia grande, sono scomparsi, ci siamo riparlati pochissimo. Io che speravo tanto che Victor si sbagliasse. Io che pensavo convincessero i nostri genitori a non rovesciare la frittata. Non avevo previsto che, per scagionarsi, il mio patrigno si sarebbe inventato una storia d’amore, che avrebbe fatto ricadere la colpa su mio fratello, e che alcuni degli habitué gli avrebbero creduto. Alcune, soprattutto, tanto preziose quanto ridicole. E talmente crudeli.
Marie-France, invece, si è lasciata andare alla disperazione. Per la prima volta, le due sorelle hanno litigato. Davvero litigato, da non parlarsi più. A volte, Marie-France tornava, ma mia madre le opponeva solo silenzio e crudeltà.
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La casa del Paese basco. La casa di famiglia di Thiago. Il mio rifugio, ormai. È umido, freddo, non abbastanza soleggiato per me, ma mi piace il suo odore. Mi piace la sua calma, la freschezza delle coperte. Mi piace ritrovarvi in qualsiasi momento mia suocera e vedervi i miei figli.
Luce del mattino. Il caffè si sta facendo. Lo porto subito a Thiago: “Per una volta, ci ho pensato io.” Ritrovarmi tra le sue braccia. Affettuosità reciproche. La radio. France Inter. 24 aprile 2011.
Aspetto, con il cellulare in mano, che mi si riempia la tazza. Vibrazioni. Prima sigaretta. I miei occhi sul cellulare. Vibrazioni. “Le Monde” sullo schermo: “È morta l’attrice Marie-France Pisier.” Il cuore mi si blocca.
Vibrazioni. Mi chiama Colin. “Che cosa sono queste cazzate?” “Non so. Sicuramente un errore.” Non respiro.
Vibrazioni. Vibrazioni. Di colpo, una valanga di chiamate. La familia finora così muta che d’un tratto chiede informazioni. A me. Coraggiosi come sono, non osano ancora chiamare mia madre. Nella mia cecità, vedo comparire i loro nomi. Sordità totale, cervello paralizzato.
Thiago, però, scende la scala correndo. Gli occhi di Thiago nei miei. Il suo sguardo, e, d’un tratto, mi rassegno al reale.
Thiago mi copre con le sue braccia. Lo fa di rado. E ora, come mai dopo, come mai prima, Thiago con me, e io capisco. Riconosco il momento presente. Quello che, come un colpo sordo, con un colpo per l’eternità, modifica in silenzio la realtà. Il momento è di nuovo arrivato.
Avvertire Timothée prima che i media gli sparino addosso la notizia. Aspettare un po’ per svegliare Rose in Messico. Timothée, Rose, i miei cari cugini, spersi in questa famiglia di pazzi. I miei cugini che, da quando hanno saputo, hanno rifiutato il mio patrigno. I miei cugini, feriti per sempre.
Le teste dell’idra si dispiegano lentamente per venirmi a stringere il collo. Lentamente. Il silenzio è immenso. Mi distacco dalla tazza di caffè, dalle braccia di Thiago. Chiamo mia madre. Compongo il numero e tremo. Mi tremano la pancia, le braccia, le gambe. Mi trema tutto. Mia madre, lo so, mia madre non si riprenderà mai. La morte della sorella. Così. Quando erano in lite l’una con l’altra. Preferirei dover urlare per l’eternità che dover affrontare la sofferenza imminente. Preferirei morire e non dovermi addossare questo nuovo senso di colpa.
Évelyne prende la chiamata. La voce di mia madre perduta per sempre. “Sei gentile a chiamarmi, piccola. Stanotte. L’hanno trovata... Come gli altri, si è uccisa anche lei.”