Una delle ultime volte che ho visto mia madre è stato nel 2011, al funerale di Marie-France, a Sanary. Paese del patrigno e di suo cugino. Paese dei mariti.

Occhi azzurri nascosti. Occhiali da sole-paravento, occhiali da sole-parafuoco. Vietato scambiarci sguardi. Baci risentiti. Un “Buongiorno” moscio e labbra che sfiorano appena le guance. Sono fredda come il ghiaccio.

Un “Buongiorno” moscio ma una folle dolcezza. Dolcezza delle sue guance. Il suo odore. Sole e sigarette. Per alcuni istanti, ho ritrovato mia madre.

Thiago ci aveva prenotato una camera d’albergo, ed eravamo arrivati la vigilia. La verità rivelata significava non tornare mai più nella proprietà. Dovere di scomparire, di nascondersi. Isolati. Come appestati. Dormire lontano, da mia madre, dai miei piccoli fratello e sorella, dalla nuova infornata di familia grande, tornata malgrado tutto a fare gruppo.

Al cimitero, ho preso la parola. Senza essere stata invitata a farlo. È stato sotto la spinta di Thiago. Parole scarabocchiate la mattina su un blocco di carta. Dire della sofferenza che provavo. Dire di mia zia. Sperare nello sguardo di mia madre e nell’ascolto di chi sapeva.

Marie-France, l’unica al nostro fianco. Marie-France, la bellezza, l’intelligenza e il coraggio. Dirle arrivederci, prima di tutto nella lingua della Nuova Caledonia: “Tata, mia tata... Me l’hai insegnato tu: non c’è amore, ci sono solo prove d’amore. Io proverò a essere all’altezza.”

Évelyne mi ha subito demonizzata, gelosa, incattivita: “Sei ridicola, non avresti dovuto parlare. Paula e Marie-France non ti amavano. Ti amavano perché non potevano non farlo... L’amore non è questo.”

*

Tre anni prima, mia zia le aveva detto: “Vattene.” Mia madre era rimasta. Mia zia le aveva detto: “Parla.” Mia madre era stata zitta.

E mia zia è morta.

Stavolta niente pistola, niente farmaci. È stata ritrovata con la testa incastrata dentro una sedia, in fondo alla sua piscina.

Marie-France è morta mentre mia madre mi diceva: “Marie-France è matta e tu colpevole. Se tu avessi parlato, sarei riuscita ad andarmene. Il tuo silenzio è la tua responsabilità. Se tu avessi parlato, nulla di tutto ciò sarebbe accaduto.” Aggiungeva: “Non c’è stata violenza. Tuo fratello non è mai stato forzato. Mio marito non ha fatto niente. È tuo fratello che mi ha ingannato.”

*

Dopo queste parole di mia madre, mi è cresciuta la collera contro i miei genitori e me stessa. Insomma. L’idra ha ripreso di nuovo a danzare. Che idiota ero stata! “È tuo fratello che mi ha ingannato!” Come avevo potuto pensare che mia madre mi avrebbe aiutato?

Dopo quelle parole di mia madre, la gioia autentica è scomparsa. Per lungo tempo. Le mie giornate si svolgevano senza che io potessi respirare. Ogni mattina, sapevo già con che cosa avrei avuto a che fare, ogni minuto, con l’idra e i suoi volti abominevoli, la rabbia frutto della vergogna, il senso di colpa, la tristezza e il disgusto della realtà. Il mio quotidiano era infettato. Ogni gesto mi costava fatica, ed ero come inorridita. Uscita dalle braccia di Thiago, i faccia a faccia erano i momenti peggiori delle mie giornate. Incontrare un collega della facoltà. Imbattermi in un conoscente per strada. Rispondere alla domanda inaspettata di un commerciante. Andare dal pediatra per i bambini. Ogni contatto con il prossimo scavava un abisso. Mi sentivo soffocare. Tutto ciò che esigeva la mia presenza era per me invivibile.

A ogni occasione, preferivo sottrarmi. Entravo in una stanza piena di gente senza mai osare dire buongiorno. Preferivo pensare che non mi vedessero.

Dopo quelle parole di mia madre, ho cessato di andare avanti. In facoltà, ho partecipato agli esami di concorso dei miei compagni, gli ho fatto coraggio e gli ho fatto i complimenti, ma non ho fatto pace con me stessa. Ho cessato di parlare. Non serviva a niente ed ero stanca. I miei amici hanno creduto di rispettare la mia libertà: “Non è tanto grave, hai sempre dato l’impressione di essere altrove.”