53.

Il Defendini era uscito in missione alimentare su comando del maresciallo Maccadò.

L’ora di pranzo infatti era passata da un pezzo e il suo stomaco aveva lanciato segnali.

Però, aveva ragionato.

Una certa esperienza delle umane cose gli aveva già insegnato che, assediato dalla fame, qualunque indagato era più propenso a confessare.

Il Semola soprattutto gli era sembrato appartenere a una categoria siffatta. La circostanza calzava a pennello. Altro che mutande!, gli avrebbe fatto confessare tutta la faccenda della spiata alla tenenza di Lecco. E tanto per assaporare un anticipo di vendetta, lo avrebbe fatto languire un po’. Quanto alle mutande, s’era confermato nel pensiero che non gliela stesse contando giusta.

Si era alzato dalla sedia, pregando sottocapo e attendente di seguirlo fuori dall’ufficio.

«Signori», aveva detto ai presenti, «so di chiedervi un sacrificio ma vi devo trattenere sino a che questa faccenda non sarà risolta.»

Il Semola aveva reagito, per primo e da solo.

«Maresciallo, mi permetta, ma qui c’è gente che ha fame!»

Il Maccadò aveva preso atto della protesta.

«Quanti?» aveva chiesto.

Li aveva guardati tutti, uno per uno.

La Portabandiera aveva scosso la testa: avrebbe rinunciato anche alla cena pur di non perdersi niente, nemmeno una battuta.

Il Dolcineo aveva solamente irrigidito il collo: da buon militare era uso ai sacrifici e il suo attendente con lui.

«Solo lei, Semola, ha necessità di essere rifocillato.»

Bene, il carabiniere Defendini era a sua disposizione: gli dicesse cosa desiderava e, naturalmente a spese sue, glielo avrebbe portato lì, in caserma.

Anche perché, oltre ai panini per il segretario, al Maccadò era nel frattempo venuto in mente di far portare un’altra cosa.

L’aveva detto al Caldiluna dopo averlo fatto entrare nel suo ufficio e aver chiuso la porta.