Finalmente don Pietro trovò una cabina telefonica. Chiamò il 118.
«Che c’è?» rispose una voce stanca.
«Un uomo ferito, gravemente» disse il prete, ansimando ancora per la corsa.
«Lei chi è?» La voce stanca si confondeva con altre voci, squilli e rumori vari del centralino.
«Che c’entra chi sono? Io l’ho solo visto, sono un passante.»
«E certo siete tutti passanti, solo noi stiamo sempre qui.»
«Ma è matto? Quello sta morendo!» protestò don Pietro.
«Dove?» si decise a chiedere la voce, ancora più stanca.
«Sull’argine del Tevere. All’altezza di Ponte Sisto, banchina di destra.»
«Ma lei dice sotto?»
«Sotto, sì, bisogna scendere la scala.»
Ci fu una pausa, poi la voce riprese, vagamente risentita: «Ah, capisco. Non ci si arriva con l’ambulanza là sotto».
«Non lo so, fate presto, è gravissimo.»
«Dobbiamo scendere giù con la barella a mano» la voce stanca adesso era anche rassegnata. Va bene, ha provato a rianimarlo?»
«Ma quale rianimarlo, lo ha capito che è quasi morto? Dovete venire subito!»
«Va bene arriviamo. Lei resti lì col ferito.»
Certo, come no, pensò don Pietro, riattaccando. Si guardò intorno in cerca di un riparo. Si acquattò dietro il chiosco delle bibite, e si mise in attesa dell’ambulanza. Quella notte non finiva mai. E c’era un po’ di tempo per pensare.
Quando si era accorto che il morto non era morto ma solo ferito, si era sentito di nuovo in collegamento con Dio.
Non l’ho ammazzato, è vivo. Mentre lo ripensava per la milionesima volta riprovò quel frullo d’ali di angeli felici nel petto. Cherubini azzurri gli svolazzavano intorno sussurrando: non sei un assassino, sei solo un feritore. E per essere un feritore non aveva neanche esagerato troppo, considerato che quel bastardo stava per ammazzare una bambina e il suo barbone.
E bastardo era bastardo, anche se era un collega. Quando aveva visto il killer che indossava la tonaca si era spaventato ancora di più. Un prete sparatore, cose dell’altro mondo. Ma don Pietro sapeva che non stava a lui giudicare: un prete è un sacramento vivente, anche se ne combina più del diavolo. Eppure questi dogmi facevano a volte vacillare la sua fede, lasciandolo pieno di dubbi. Perché Dio ha bisogno di dogmi? Perché non può essere tutto semplice e chiaro? Perché perché perché. Perché basta.
Io queste riflessioni devo bandirle dalla mia mente, si rimproverò. La Fede è cieca e assoluta. Non si fanno distinguo. Oh.
Per fortuna sentì la sirena dell’ambulanza arrivare da lontano, avvicinarsi e poi apparvero le luci lampeggianti. Deo gratias.
L’automezzo si fermò di traverso accanto al ponte. Don Pietro vide scendere un paramedico con una grossa torcia.
«Speriamo che è questo, il ponte giusto» borbottò l’uomo, che si affacciò al parapetto scandagliando l’argine con la luce della torcia. «Eccolo, è la sotto» lo sentì dire.
Poi altri due infermieri scaricarono una barella e tutti scesero rumorosamente le scale, per raggiungere il ferito.
Don Pietro spuntò da dietro il chiosco di bibite e si guardò intorno: nessuno in vista. Si affacciò dal parapetto e vide il gruppetto dei paramedici indaffarati intorno al corpo.
Be’ il suo dovere cristiano l’aveva fatto, lo sparatore misterioso era salvo. Si allontanò velocemente.
La fotoelettrica illuminava il corpo senza pietà.
Da dove si trovava, nascosto dietro un telone ammuffito, la scena era perfettamente visibile.
Gli infermieri stavano inginocchiati e parlottavano tra loro.
Sapeva cosa si stavano dicendo: non c’è più niente da fare.
Sentiva il calore della canna della pistola filtrare attraverso la stoffa dei pantaloni. Li aveva rubati a un moribondo scappando dall’ospedale. Stoffaccia da quattro soldi.
La fasciatura gli tirava in testa, e saldare il conto con quell’idiota che aveva ingaggiato lui stesso, l’aveva stancato. Senza contare il prete, sempre in mezzo. L’aveva graziato solo perché era certo che non l’avesse visto.
Ma adesso doveva rimettersi in moto.
Aveva fallito una volta, non poteva permettere che accadesse di nuovo.