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«Bella di casa, ce lo vuoi il cacao sul latte caldo?»

Senza aspettare risposta il barista scosse il piccolo contenitore e la nuvola di polvere di cacao si posò sulla schiuma bianca.

La bambina osservava ogni movimento con la solita attenzione seria, degna di miglior causa, pensò Smilzo, mentre versava il contenuto della bustina di zucchero nel proprio caffè.

Eccoci qua, due disgraziati di nuovo in fuga non si sa da cosa, non si sa da chi, né tanto meno si sa perché.

Era entrato nel bar, l’unico aperto a quell’ora presto, come un rifugiato politico entra in un avamposto dell’Onu. Qui danno il caffè ma danno anche asilo, se non altro per pura indifferenza. Chi ci conosce qui? Chi ci vuole male? Nessuno. Era un baretto sciatto, di quei pochi rimasti a Roma, col padrone-cameriere-tuttofare che stava in cassa, serviva ai tavoli, due di numero, e preparava il caffè. Niente gastronomie, happy hour o cose strane, solo un buchetto di bar da caffè al volo, per passanti frettolosi e stanchi. Un residuato anni cinquanta senza futuro, con la vetrina incorniciata di alluminio anodizzato color oro e tre cornetti sotto una campana di vetro che in passato doveva aver protetto qualche statuetta di san Giuseppe.

Si erano seduti al tavolino, unici clienti. La bambina spuntava a malapena col naso sul ripiano in formica grigia, sembrava un vietcong appostato.

Le mancano solo le foglie mimetizzate in testa e poi è completa, pensò Smilzo. Ma fu un pensiero come le fusa di un gatto, pacifico, domestico.

Mi sto affezionando. Eh no. Niente da fare, non me lo posso permettere. Mica sono il padre. Anzi tra poco ci separiamo e amen. Adesso devo solo riflettere su come risolvere la faccenda.

Ecco perché erano entrati nel bar. Un attimo di pausa ci voleva, anche solo per raccogliere le idee, per cominciare a contare i morti che si lasciavano dietro.

Col prete siamo a due, contò Smilzo, inclusa la tizia coi capelli strani del supermercato. Sarà stata la madre? Non era detto.

Poi ci penso, intanto faccio fare colazione alla bambina.

In tasca aveva ancora qualche soldo e non voleva sapere cosa sarebbe successo quando fossero finiti.

Il barista era rimasto chino sul tavolo, con un sorriso paterno, in attesa di un cenno di gradimento da parte della bambina.

Lei non lo guardò neppure, prese il cucchiaino alla sua maniera impugnandolo come un kris malese, e cominciò a girare la schiuma del latte chiazzata di cacao.

«Grazie tante» disse Smilzo al barista, per gentilezza ma soprattutto per congedarlo.

«Dovere» rispose quello, e se ne andò.

Dovere, chi lo diceva più ormai? Un gentiluomo vecchio stampo, questo barista, in un altro tempo e un’altra vita gli avrebbe dato una mancia favolosa, tipo Alì Babà.

Vide che sul tavolino c’era anche una copia del quotidiano del giorno, bello pronto per i clienti. Che finezza, proprio come a Vienna, pensò Smilzo, assalito per un attimo dal ricordo di un sé lontanissimo, seduto in un caffè vagamente belle époque poco prima di cominciare una giornata di affari e riunioni finanziarie. E sul tavolino di legno lucido c’era il quotidiano del giorno, teso da una stecca di legno che ne facilitava la lettura. E una fetta di Sacher da un lato e un caffè dall’altro.

Passò un pezzo di brioche alla bambina che cominciò a mangiare, continuando a trafficare con la schiuma del latte. Quindi si mise a leggere il giornale, provando un’ebbrezza dimenticata, l’euforia delle notizie dal mondo, quello vero.

Gli venne subito un colpo. In prima pagina, fra una crisi finanziaria e una guerra in Medio Oriente c’era un trafiletto dal titolo RAPINA AL SUPERMARKET – DONNA MUORE DI PAURA – FORSE RAPITA BAMBINA – UOMO ALL’OSPEDALE.

Cercò freneticamente l’articolo all’interno. Era in cronaca cittadina e riportava poco più di quanto scritto in prima pagina. «Una rapina al Supermarket di via Mordini ha fruttato poche banconote al rapinatore sconosciuto che è riuscito a fuggire. Una donna ancora da identificare è morta, forse per un attacco cardiaco. Un uomo è all’ospedale con trauma cranico. Stava portando in salvo una bambina di circa due-tre anni, afferma, quando è stato aggredito da un malvivente che lo ha messo ko e ha rapito la piccola, fuggendo indisturbato. Purtroppo le telecamere di sorveglianza dell’esercizio commerciale erano tutte fuori uso, meno una, che ha ripreso l’individuo sospetto da dietro. Ciò al momento ha impedito un’identificazione del criminale. La polizia indaga.» L’articolo era corredato da una foto ricavata dai nastri di sorveglianza in cui si vedeva Smilzo di spalle portare per mano la bambina. Per fortuna è tutto sfocato, rifiatò Smilzo, non mi riconoscerebbe nemmeno mia madre, se fosse ancora viva.

Adesso non era inseguito solo dai criminali pazzi che sparavano non si sa perché, ma anche dalla polizia. Aveva davvero bisogno di aiuto, doveva telefonare a qualcuno, recuperare qualche contatto dal passato.

«Può prestarmi l’elenco del telefono?» chiese, arrotolando il giornale intorno alla stecca di legno per nascondere l’articolo.

Il barista smise di strofinare il bancone e lo guardò incuriosito. «L’elenco del telefono? L’ultimo mi sa che l’hanno stampato in cuneiforme.»

«Come, scusi?»

«Non li fanno più gli elenchi. C’è internet.»

«Ah, internet» ripeté Smilzo.

«C’è una postazione sull’altro tavolino. Un euro, un quarto d’ora.»

Si rese conto che cinque anni lontano dal mondo avevano cambiato molte cose. Comunque in pochi istanti riprese la mano alla tastiera e al mouse, dopo due minuti aveva trovato il numero di Veronica. «Senta, dov’è il telefono?»

«Quale telefono?»

«Quello pubblico del locale.»

«Lo sa che lei è strano forte? Da quel dì che i telefoni pubblici sono spariti. Insieme agli elenchi, più o meno.»

«E io come faccio a telefonare?»

«E che ne so io.»

Smilzo restò in silenzio, soverchiato dall’impotenza.

«Oggi un cellulare ce l’hanno tutti» commentò il barista, mettendosi a sciacquare tazzine.

«Quindi anche lei.»

Il barista lo guardò senza rispondere, continuando a sciacquare.

«Me lo presta il suo, per favore?» chiese Smilzo.

Il barista scosse il capo e sentenziò: «Non si prestano certe cose».

Il barista tirchio mi doveva capitare, pensò Smilzo.

«Ho proprio bisogno di telefonare» riuscì a dire stolidamente. L’altro lo ignorò.

«È questione di vita o di morte.»

«Come no. Lo diceva sempre anche Humphrey Bogart.»

«Questa bambina potrebbe restare sola al mondo.»

Il barista si asciugò le mani con lo strofinaccio, fece il giro del bancone e gli disse: «Vieni».

Smilzo lo seguì verso il retrobottega, portandosi dietro la piccola.

Entrarono in una stanzetta stipata di scatoloni di merendine, pacchi di caffè, confezioni di zucchero e svariate cianfrusaglie.

Il barista aprì un cassetto semisepolto nel mucchio di oggetti e fece cenno a Smilzo: «Scegli».

Nel cassetto c’erano telefonini, accendini, penne, chiavi, portacipria, portafogli, una videocamera, un paio di coltelli a serramanico. E una pistola.

«I telefonini, dieci euro. Funzionanti garantiti.»

«Sono rubati.»

«No, me li mandano direttamente dalla Corea in via privilegiata perché sono bello.»

«Sei un ricettatore. Sono rubati» ripeté Smilzo scioccamente.

«Ma allora sei fissato. Ti dico di no, sono caduti da un camion che transitava qui davanti. Comunque non importa, se non lo vuoi amici come prima, torniamo di là.»

Il barista chiuse il cassetto.

«No, aspetta. Lo prendo.»

Il barista riaprì il cassetto «Quale vuoi?»

«Quello che funziona.»

Il barista ne prese uno tutto nero. «Tieni, questo è roba forte.»

Smilzo lo prese in mano, sembra il monolito di Odissea nello spazio, pensò. «Ma... la tastiera? E lo schermo?»

L’altro lo guardò con occhio esperto. «Quanto ti sei fatto?»

«Di che?»

«Di galera.»

«Che c’entra?»

«C’entra che non capisci niente di telefonini, quindi: o vieni dalle caverne, o da Marte, oppure sei stato in galera. Non si scappa.»

«Vengo da Marte.»

«Okay. Qui basta che tocchi, fa tutto lui. Sono venti euro.»

«Come venti? Avevi detto dieci.»

«Dieci il telefono e dieci la sim, anonima e garantita.»

«Non ce l’ho dieci per la sim» disse Smilzo.

«E allora il telefono lo usi come soprammobile.»

In quel momento la bambina lo tirò per i calzoni.

In mano aveva la sim che aveva recuperato dal vecchio cellulare e che aveva solo fatto finta di buttare via.

La mostrava a Smilzo sventolandola fra due ditini.

Il barista fece un’espressione di apprezzamento: «Mi sa che tua figlia ti dà le piste».