Noi eravamo al sommo della scala
dove secondamente si risega2
lo monte che, salendo, altrui dismala.
Ivi così una cornice lega4
d’intorno il poggio, come la primaia;5
se non che l’arco suo più tosto piega.6
Ombra non gli è né segno che si paia:7
parsi la ripa e parsi la via schietta8
col livido color della petraia.
«Se qui per dimandar gente s’aspetta»,
ragionava il poeta, «io temo forse
che troppo avrà d’indugio nostra eletta».12
Poi fisamente al sole gli occhi porse;
fece del destro lato a muover centro,14
e la sinistra parte di sé torse.
«O dolce lume a cui fidanza i’ entro16
per lo novo cammin, tu ne conduci»,
dicea, «come condur si vuoi quinc’entro.18
Tu scaldi il mondo, tu sovr’esso luci;
s’altra ragione in contrario non pronta,20
esser dén sempre li tuoi raggi duci».21
Quanto di qua per un migliaio si conta,22
tanto di là eravam noi già iti,23
con poco tempo, per la voglia pronta;24
e verso noi volar furon sentiti,
non però visti, spiriti parlando26
alla mensa d’amor cortesi inviti.
La prima voce che passò volando,28
«Vinum non habent!», altamente disse;
e dietro a noi l’andò reiterando.30
E prima che del tutto non si udisse
per allungarsi, un’altra: «Io sono Oreste!»,32
passò gridando, e anco non s’affisse.33
«Oh!», diss’io, padre, che voci son queste?»
E com’io domandai, ecco la terza
dicendo: «Amate da cui male aveste!»36
E ’l buon maestro: «Questo cinghio sferza37
la colpa della invidia, e però sono
tratte d’amor le corde della ferza.39
Lo fren vuoi esser del contrario suono;40
credo che l’udirai, per mio avviso,41
prima che giunghi al passo del perdono.42
Ma ficca ’l viso per l’aere ben fiso,43
e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
e ciascun è lungo la grotta assiso».45
Allora più che prima gli occhi apersi;
guarda’mi innanzi, e vidi ombre con manti
al color della pietra non diversi.
E poi che fummo un poco più avanti,
udìa gridar: «Maria, òra per noì!»50
Gridar «Michele» e «Pietro» e tutti i santi.
Non credo che per terra vada ancoi52
orno sì duro, che non fosse punto
per compassion di quel ch’io vidi poi;
ché, quando fui sì presso di lor giunto
che gli atti loro a me venivan certi,56
per gli occhi fui di greve dolor munto.57
Di vil cilicio mi parean coperti,
e l’un sofferìa l’altro con la spalla,59
e tutti dalla ripa eran sofferti.60
Così li ciechi a cui la roba falla61
stanno a’ perdoni a chieder lor bisogna,62
e l’uno il capo sovra l’altro avvalla63
perché in altrui pietà tosto si pogna,64
non pur per lo sonar delle parole,
ma per la vista, che non meno agogna.66
E come agli orbi non approda il sole,67
così all’ombre, quivi ond’io parlo ora,
luce del ciel di sé larglr non vuole;69
ché a tutte un fil di ferro il ciglio fora
e cuce sì come a sparvier selvaggio71
si fa, però che non queto non dimora.72
A me pareva, andando, fare oltraggio,
veggendo altrui non essendo veduto;74
perch’io mi volsi al mio consiglio saggio.75
Ben sapev’ei che volea dir lo muto;76
e però non attese mia dimanda,77
ma disse: «Parla, e sie brieve ed arguto».
Virgilio mi venia da quella banda79
della cornice onde cader si puote,
perché da nulla sponda s’inghirlanda:
dall’altra parte m’eran le devote
ombre che per l’orribile costura
premevan sì che non bagnavan le gote.
Volsimi a loro, ed. «O gente sicura»,
incominciai, «di veder l’alto lume86
che ’l disìo vostro solo ha in sua cura;87
se tosto grazia risolva le schiume88
di vostra coscienza, si che chiaro
per essa scenda della mente il fiume,
ditemi, ché mi fia grazioso e caro,91
s’anima è qui tra voi che sia latina:92
e forse lei sarà buon s’io l’apparo».93
«O frate mio, ciascuna è cittadina94
d’una vera città; ma tu vuo’ dire
che vivesse in Italia peregrina».96
Questo mi parve per risposta udire
più innanzi alquanto che là dov’io stava,
ond’io mi feci ancor più là sentire.99
Tra l’altre vidi un’ombra ch’aspettava
in vista; e se volesse alcun dir: «Come?»,101
lo mento a guisa d’orbo in su levava.
«Spirto», diss’io, «che per salir ti dome,103
se tu se’ quelli che mi rispondesti,
fammiti conto o per luogo o per nome».105
«Io fui Sanese», rispose, «e con questi106
altri rimondo qui la vita ria,107
lagrimando a Colui che sé ne presti.108
Savia non fui, avvegna che Sapìa109
fossi chiamata; e fui degli altrui danni
più lieta assai che di ventura mia.
E perché tu non creda ch’io t’inganni,
odi se fui, com’io ti dico, folle,
già discendendo l’arco del miel anni.114
Erano i cittadin miei presso a Colle115
in campo giunti co’ loro avversari;
ed io pregava Iddio di quel ch’Ei volle.117
Rotti fur quivi e vólti negli amari118
passi di fuga; e, veggendo la caccia,
letizia presi a tutte altre dispari;120
tanto ch’io volsi in su l’ardita faccia,
gridando a Dio: — Omai più non ti temo! —
come fe’ il merlo per poca bonaccia.123
Pace volli con Dio in su lo stremo124
della mia vita; ed ancor non sarebbe
lo mio dover per penitenza scemo,
se ciò non fosse, che a memoria m’ebbe127
Pier Pettinaio in sue sante orazioni,
a cui di me per carìtate increbbe.129
Ma tu chi se’, che nostre condizioni
vai dimandando, e porti gli occhi sciolti,
sì com’io credo, e spirando ragioni?»132
«Gli occhi», diss’io, «mi fieno ancor qui tolti,133
ma picciol tempo; ché poca è l’offesa
fatta per esser con invidia vòlti.
Troppa è più la paura ond’è sospesa136
l’anima mia del tormento di sotto,
che già lo ’ncarco di laggiù mi pesa».
Ed ella a me: «Chi t’ha dunque condotto
quassù tra noi, se giù ritornar credi?»
Ed io: Costui ch’è meco e non fa motto.
E vivo sono; e però mi richiedi,
spirito eletto, se tu vuoi ch’io mova143
di là per te ancor li mortai piedi».
«Oh, questa è a udir sì cosa nova»,
rispose, «che gran segno è che Dio t’ami:
però col priego tuo talor mi giova!147
E chieggioti, per quel che tu più brami,
se mai calchi la terra di Toscana,
che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami.150
Tu li vedrai tra quella gente vana151
che spera in Telamone, e perderàgli
più di speranza che a trovar la Diana;
ma più vi perderanno gli ammiragli!»