13.

Venerdì sera, 8 dicembre 1989

Ammesso che Welander avesse detto la verità quando Bäckström lo aveva interrogato, c’erano sicuramente alcune analogie fra la relazione che aveva avuto con Eriksson e quella che Jarnebring aveva con il suo migliore amico, Lars Martin Johansson.

Anche Johansson e Jarnebring si conoscevano da quasi vent’anni, e negli ultimi dieci si erano incontrati in media qualche volta al mese, di regola al ristorante. Non così nei primi dieci anni. Si erano conosciuti alla sezione investigativa della polizia di Stoccolma, e per diversi anni avevano passato più tempo insieme che con le rispettive famiglie. Poi però le loro strade si erano separate. Johansson aveva fatto carriera ed era scomparso verso la cima della piramide del corpo di polizia, mentre Jarnebring era rimasto nella sezione investigativa e aveva continuato a lavorare con gli stessi crimini e gli stessi criminali di vent’anni prima.

Però, a differenza di Welander ed Eriksson, avevano una relazione che si basava su un’amicizia molto solida e intima, e se qualcuno avesse chiesto a uno dei due chi era il suo migliore amico, non avrebbe avuto problemi a rispondere alla domanda. Come spesso accade agli amici intimi, Johansson e Jarnebring erano molto simili in tutto quello che è essenziale e importante e diversi d’indole e fisicamente, aspetti che in verità non avevano molta importanza quando le cose si facevano serie ed era ora di tirare le somme.

La loro caratteristica comune più importante era che entrambi – in un ambiente che era quasi esclusivamente composto di poliziotti – erano dei “veri poliziotti”. Erano considerati degli eroi in un gran numero di storie che circolavano nei distretti di polizia, storie con una base variabile di verità, e a differenza dei loro colleghi delle versioni romanzate – che si dilettavano a frequentare donne intellettuali, ascoltavano musica lirica e jazz moderno e prediligevano la cucina francese –, Johansson e Jarnebring preferivano donne normali, volentieri colleghe, amavano la musica da ballo e il tradizionale cibo svedese.

Ma è ovvio che tra loro esistevano delle differenze. Se, ad esempio, qualcuno gli avesse chiesto se poteva immaginare di fermare con il suo petto muscoloso una pallottola destinata al suo migliore amico, Jarnebring avrebbe sfoderato il suo sorriso da lupo e avrebbe detto che quel tipo di problema non avrebbe potuto mai darsi, dato che avrebbe sparato lui per primo. E se la stessa domanda fosse stata posta al suo amico, Johansson avrebbe sorriso evasivamente e avrebbe detto che la domanda era troppo sentimentale per i suoi gusti, ma che se necessario avrebbe potuto prestare a Jarnebring i soldi per un’auto nuova.

Johansson abitava in Wollmar Yxkullsgatan, nel quartiere di Söder. Nelle vicinanze del suo appartamento, c’era un ristorante italiano che serviva pasti semplici e preparati con cura. Quando incontrava Jarnebring, era sempre Johansson a pagare il conto, quasi automaticamente. A differenza del suo migliore amico, Johansson aveva un’ottima posizione economica e, pur essendo molto cauto quando si trattava di denaro, in compagnia di amici intimi era molto generoso. Inoltre, apprezzava in modo particolare cibo e bevande quando era con Jarnebring.

«Ordina quello che vuoi, Bo» disse Johansson porgendogli il menu. «Questa sera sei mio ospite.»

«Grazie capo» disse Jarnebring. «In questo caso puoi ordinare una pinta di birra e un doppio whisky, mentre cerco di decidere.»

Quando Johansson e Jarnebring andavano in quel ristorante, seguivano sempre lo stessa rituale, secondo tradizione. Prima un riepilogo degli eventi polizieschi salienti verificatisi da quando si erano visti l’ultima volta, un aggiornamento su colleghi, criminali e crimini in genere. Dopo l’antipasto, avevano l’abitudine di parlare di idioti non presenti, molto spesso attivi nel corpo di polizia, negli uffici del procuratore o nell’ambiente giudiziario in generale. Solo alla fine – dopo il caffè e il cognac – affrontavano le questioni più personali, tipo i vecchi compagni, i rispettivi discendenti e soprattutto le donne. Quelle che avevano già incontrato, quelle che frequentavano al momento e quelle che speravano di poter incontrare.

Quel giorno Jarnebring aveva una comunicazione da fare, e dato che aveva programmato di farla in modo da non turbare inutilmente la loro serata, ancora prima di entrare nel ristorante aveva deciso di aspettare e dare la notizia del suo imminente matrimonio dopo il caffè e il cognac. Eventualmente anche durante il tradizionale bicchiere della staffa a casa di Johansson. Così sarà, decise Jarnebring. È inutile agitare Lars Martin mentre mangia.

Negli ultimi anni, Lars Martin Johansson aveva vissuto una vita girovaga nel corpo di polizia. Dapprima si era messo in aspettativa per studiare all’università, e quando era tornato alla direzione generale, dopo avere superato con la sua abituale efficienza gli esami accademici, era stato immediatamente promosso di grado. Dopo l’assassinio del Primo ministro Olof Palme alcuni anni prima, c’era stato un grande rinnovamento in cima alla piramide del corpo di polizia, e ora Johansson era considerato un punto fermo in un mondo mutevole e insicuro.

Per questo, aveva vagabondato come vicario da un posto all’altro, e recentemente era stato anche capo della polizia in sostituzione di un collega che aveva fatto fiasco. Inoltre, era stato scelto come membro di diverse commissioni di controllo ed era stato chiamato come consulente al ministero della Giustizia e al consiglio dei ministri. Ovviamente, non gli era mancato il lavoro: da qualche mese era stato richiamato al ministero della Giustizia per una nuova inchiesta, della quale Jarnebring aveva sentito parlare solo di sfuggita.

«Raccontami come vanno le cose nei corridoi del potere. O è un segreto?» chiese Jarnebring curioso dopo che avevano bevuto il primo bicchierino di acquavite per accompagnare i diversi antipasti che il ristoratore italiano aveva servito. Come sempre eccellente, pensò.

«Non ci sono tanti segreti» disse Johansson con il suo tipico accento del nord. «Basta guardare la tv o leggere i giornali. In ogni caso, nessuno si aspettava una cosa simile.»

Un mese prima, la cortina di ferro era caduta all’improvviso, e su tutti i canali tv del mondo occidentale era stato possibile seguire giorno dopo giorno il flusso verso ovest dei profughi dagli ex stati satellite dell’impero sovietico e vedere in diretta gli abitanti di Berlino est abbattere il muro con le proprie mani.

«Il paradiso socialista» disse Jarnebring sorridendo soddisfatto. «Mai visto niente di più fasullo.»

«Mah» disse Johansson. «Di per sé, l’idea era buona, ma non era necessario essere un chiaroveggente per capire che prima o poi sarebbe successo. Forse le cose sono accadute un po’ troppo rapidamente. Almeno per i miei gusti» disse scuotendo il capo e, malgrado tutto, anche lui sembrava abbastanza soddisfatto.

«Sì, fino a questo momento si direbbe che noi ce la siamo cavata» concordò Jarnebring che voleva evitare una discussione politica troppo accesa con il suo migliore amico che forse simpatizzava di nascosto per la sinistra, come circolava voce fra quasi tutti i suoi colleghi. «In ogni caso, quelli dell’est che abbiamo sbattuto dentro finora non sono altro che ladruncoli da quattro soldi.»

«Sì» disse Johansson. «Anche se alcuni di noi pensano che non sarà sempre così.»

Avevano parlato di politica fino all’arrivo della spalla di capretto marinata, solo allora Johansson aveva chiesto a Jarnebring di che cosa si stava occupando al momento e la conversazione era tornata su binari normali.

«Al diavolo la politica» decise Johansson. «Racconta! Di che cosa ti occupi di questi tempi?»

«Sto lavorando a un’indagine di omicidio» disse Jarnebring, che appena pronunciata la frase, aveva potuto notare un lampo di nostalgia negli occhi del suo migliore amico.

«Cambierei volentieri posto con te» disse Johansson. «A meno che, naturalmente, non si tratti di quello di Palme» aggiunse subito. «Ne ho già fin sopra i capelli di quel casino. Potrei continuare a indagare sui colleghi fino alla tomba.»

«No, dio me ne guardi» disse Jarnebring. «No, si tratta di un comune cittadino svedese, a parte il fatto che sembra sia stato un pezzo di merda, ma non è la prima volta che succede.»

«Niente male» disse Johansson. «Un comune cittadino e per di più un tipo sgradevole. Se non ho dimenticato tutto quello che ho imparato, è un caso molto simile ad altri che abbiamo l’abitudine di risolvere.» Perché non mi occupo di queste cose anche nella mia vita professionale attuale?, si chiese improvvisamente. Devo fare qualcosa di più sensato.

«Sì, ma c’è qualche problema» disse Jarnebring chinandosi in avanti.

«Racconta» disse Johansson. «Inizia con il peggiore e cerca di non essere troppo prolisso» aggiunse divertito.

«Bäckström» disse Jarnebring sogghignando.

«Bäckström?» ripeté Johansson. «Quel Bäckström?»

«Proprio lui» confermò Jarnebring. «È stato messo a capo dell’indagine.»

«Gesù misericordioso» disse Johansson con sentimento. «Guarda caso, mi sono imbattuto in quel pazzo l’altra sera. Stava uscendo da quel club poco lontano da dove abito, e se non fosse stato lui, avrei potuto credere che fosse impegnato in qualche attività immorale.»

«Si è messo in testa che si tratta di un cosiddetto omicidio gay» disse Jarnebring.

«Se non ricordo male, mi sembra che me ne abbia accennato» disse Johansson. «Perché lo crede? Perché è Bäckström o perché ci sono degli indizi che lo fanno supporre?»

«C’è una chiara assenza di donne nella vita della vittima» disse Jarnebring. «Per questo anch’io sono stato sfiorato da quel pensiero...»

«Ma...» disse Johansson chinandosi in avanti a sua volta.

«Non ho la sensazione giusta...» disse Jarnebring alzando la sua grande mano destra e passando il pollice sui polpastrelli delle altre dita. «In momenti di sconforto ho l’impressione che sia un caso più complicato di quello che sembra.»

«Ahi ahi ahi» disse Johansson scuotendo il capo paternamente. «Fai attenzione Jarnis. Non complicare le cose. Mai, mai complicare le cose.»

«Ho l’impressione che non abbia niente a che fare con il sesso» disse Jarnebring.

«Con che cosa avrebbe a che fare, allora?» chiese Johansson.

«Con i soldi» disse Jarnebring. «Che cosa ne pensi dei soldi?»

«I soldi sono una bella cosa» disse Johansson. «Le cose migliori sono una sbronza e un tocco di normale follia, poi c’è il sesso e poi vengono i soldi. Non c’è niente di sbagliato nei soldi» concluse Johansson alzando per qualche motivo il suo bicchiere di vino con un leggero sorriso.

«La mia nuova collega, invece, crede che si possa trattare di potere. Sì... non potere politico, ma potere sulle persone che uno conosce, potere in sé. A parte questo, la mia nuova collega è una donna attraente.»

«È possibile che abbia ragione» disse Johansson incantato, perché era quello che anche lui sospettava.

«Sì, è possibile» disse Jarnebring. «Venendo qui, mi sono detto che forse ha ragione. La nostra vittima è veramente un individuo strano. Non è uno con cui vorrei dividere una camera.»

«Dunque la tua collega è carina» disse Johansson. «Hai detto così?»

«Sì» disse Jarnebring. «Non si può dire il contrario, forse è un po’ troppo magra per i miei gusti... ma è carina.»

Ed è vero, pensò. Anna Holt era un bocconcino appetibile, e il fatto che non fosse il suo tipo non era certo colpa sua.

«Le donne magre sono un orrore» sentenziò Johansson, anche se non aveva mai incontrato la nuova collega di Jarnebring. «Gradisci un dessert?»

Come dessert, avevano mangiato una torta di mandorle. Johansson aveva bevuto un vino dolce italiano, e Jarnebring, che non beveva vino per principio, aveva ordinato un doppio cognac. Non appena il cameriere posò il bicchiere sul tavolo, decise che era venuto il momento di fare scoppiare la bomba matrimoniale. Johansson sembrava essere di ottimo umore, come sempre quando iniziavano a parlare di vecchie storie di omicidi, anche se ora era troppo in alto per seguirle, ma aveva ascoltato l’amico calmoe sorridente. È un passo che cambia drasticamente la vita di un uomo, pensò Jarnebring solennemente prima di iniziare.

Ma tutto andò a rotoli. E fu unicamente colpa sua, perché si era messo in testa di far sì che il suo migliore amico si sentisse ancora più a proprio agio, anche se Johansson non sarebbe potuto stare meglio.

«Ti trovo in ottima forma» disse Jarnebring. «Si direbbe che hai anche perso un paio di chili. Fai palestra?» Be’, pensò Jarnebring, un po’ di lusinghe non fanno mai male.

«Palestra?» disse Johansson sorpreso.

«Il tuo dito» spiegò Jarnebring indicando la mano destra di Johansson dove, intorno all’anulare, c’era un vistoso cerotto. «Credevo che ti fossi slogato il ditino sollevando pesi.»

«Non proprio» disse Johansson imbarazzato mentre alzava la mano che era dell’ordine di grandezza di quella di Jarnebring. «Ditino... no, non ha niente a che vedere con i pesi... è piuttosto una questione di cuore.»

«Hai dei problemi?» chiese Jarnebring facendo capire che era veramente preoccupato. «Ti ho sempre detto che devi pensare a fare del movimento.» E naturalmente tu non hai mai voluto ascoltarmi, pensò.

«Mai stato meglio» disse Johansson togliendo il cerotto dall’anulare e scoprendo un grosso anello d’oro. «Non volevo rovinarti l’appetito, così ho deciso di aspettare che avessi finito di mangiare.»

«Non dirmi...» urlò Jarnebring. «Ti sei fidanzato?» Cosa diavolo sta succedendo, pensò confuso. Mi sta prendendo per i fondelli?

«No» disse Johansson scuotendo il capo soddisfatto. «Mi sono sposato.» I fidanzamenti sono per i codardi e per gli indecisi, pensò, ma naturalmente non si sarebbe mai sognato di dirlo al suo migliore amico che aveva fatto del fidanzamento un sistema per evitare il passo che cambia drasticamente la vita di un uomo.

«Ti sei sposato» ripeté Jarnebring sillabando lentamente l’ultima parola.

«Yes» disse Johansson con tono virile e convinzione.

«Con qualcuno che conosco? Una collega?» Non è vero, dimmi che non è vero, pensò Jarnebring.

«No» disse Johansson. «Nessuna che tu conosci, e nessuna collega.»

«Quando l’hai incontrata?» chiese Jarnebring scettico.

«L’ho incontrata quattordici giorni fa» disse Johansson entusiasta.

«Quattordici giorni fa? Mi stai prendendo in giro?» Per un attimo, Jarnebring riservò al suo migliore amico lo sguardo torvo che di solito usava con i peggiori criminali.

«Avevo scambiato qualche parola con lei alcuni anni fa... questioni di servizio...» disse Johansson evasivamente. «Da allora non l’ho più rivista fino a quattordici giorni fa, quando ci siamo incrociati in un supermercato. E una settimana dopo ci siamo sposati. Ti ho persino telefonato per dirtelo, ma non eri in casa.»

Non è vero, pensò Jarnebring, e adesso che cosa faccio?

Jarnebring era tornato a casa alle due del mattino non proprio sobrio, neppure troppo alticcio, ma piuttosto completamente ubriaco.

«Vedo che vi siete divertiti» disse la sua futura moglie con un sogghigno.

«Sì» disse Jarnebring con tono assente.

«Gli hai detto di noi?» chiese la sua futura moglie curiosa.

E adesso, cosa diavolo le dico?, pensò Jarnebring, e d’un tratto, proprio nel momento peggiore, nel suo povero cervello si era creato il vuoto assoluto.

«No» disse Jarnebring. Non sono riuscito a trovare il momento adatto per farlo, pensò.