29.

Venerdì sera, 31 marzo 2000

Dopo aver lasciato la riunione indispettito per parlare in privato con Wiklander, Johansson se n’era andato a casa imbronciato a passare il fine settimana. Intanto, gli altri erano tornati nei loro rispettivi uffici per cercare di fare qualcosa. Holt si era affacciata nell’ufficio di Mattei.

Mattei era seduta davanti al suo computer e stava scrivendo concentrata quello che con il tempo sarebbe diventato il nucleo fondamentale della biografia di Helena Stein. La cosiddetta “biografia breve” in gergo poliziesco, anche se c’era motivo di credere che sarebbe finita in un fascicolo abbastanza voluminoso.

«Che cosa posso fare per te, Anna?» chiese Mattei senza alzare lo sguardo dal computer.

«Puoi farmi avere una copia della biografia di Helena Stein?» chiese Holt.

«Certamente» rispose Mattei.

«Mi è venuta un’idea» continuò Holt. «Cioè che sarà più...»

«... facile scovare la Stein nell’indagine sull’omicidio di Eriksson, se sappiamo quello che dobbiamo cercare» la interruppe Mattei continuando a tenere lo sguardo fisso sullo schermo.

«Precisamente» disse Holt. Lisa Mattei è più perspicace di chiunque altro qui dentro, pensò.

«Vai nel tuo ufficio, apri la tua email e troverai la biografia» disse Mattei.

«Grazie» disse Holt. È fin troppo sveglia, pensò.

Wiklander aveva già fatto il necessario per far arrivare il materiale relativo all’indagine sull’omicidio di Kjell Eriksson dall’archivio della polizia di Stoccolma, e Holt non aveva dovuto sfogliarlo a lungo per capire che nessuno ne avrebbe sentito la mancanza. Non c’era nulla che indicasse che qualcuno si fosse mai preso la briga di cercare di mandare avanti l’indagine da quando lei e Jarnebring l’avevano lasciata, nel dicembre del 1989.

Dieci raccoglitori per un totale di circa duemila pagine. La parte cartacea consisteva per lo più in interrogatori, elenchi, liste e dati, il rapporto del medico legale, quello dell’ispezione del luogo del delitto e diversi rapporti della scientifica che, per esperienza, dopo così tanto tempo erano quasi immancabilmente gli elementi più interessanti. Dieci raccoglitori per un totale di circa duemila pagine: visto il contesto, erano singolarmente poche.

Le carte erano state sistemate con la massima cura e non c’era dubbio che fosse stata Gunsan a farlo. Le tracce lasciate dal responsabile dell’indagine, Bäckström, consistevano in gran parte in una lunga lista di controlli di persone implicate in diversi crimini violenti contro omosessuali, ed era ovvio che Gunsan avesse fatto in modo che fosse archiviata correttamente fra il materiale dell’indagine.

Che persona indescrivibilmente orrenda, si disse Holt ripensando al collega Bäckström.

Dato che Holt sapeva che trovare indizi in una massa di carte era difficile tanto quanto trovarne durante la perquisizione di un locale, aveva iniziato a stampare le informazioni su Helena Stein che le aveva inviato Mattei per email.

Quando si è costretti a cercare qualcosa, tanto vale farlo correttamente – per qualche motivo, Holt si era ricordata di quello che le aveva detto Jarnebring riguardo alle tende nell’appartamento di Eriksson –, e dato che era Helena Stein che stava cercando, più ne sapeva di lei, più sarebbe stato facile trovarla. Ammesso che comparisse nell’indagine per un motivo importante, e non solo perché all’età di circa dieci anni, per un caso fortuito e per un banale incontro, era finita nell’album di fotografie di Eriksson.

Helena Stein era nata nel 1958 e aveva superato l’esame di maturità alla scuola francese di Stoccolma nella primavera del 1976, quando non aveva ancora compiuto diciotto anni. Poi, si era iscritta all’università di Uppsala alla facoltà di giurisprudenza. Si era laureata in tre anni invece dei quattro previsti dal piano di studi, con il massimo dei voti in tutte le materie eccetto due.

Quindi aveva fatto il praticantato a Stoccolma in uno dei miglioristudi legali a Östermalm ed era stata assunta come assistente in quello stesso studio. Dopo meno di cinque anni dalla laurea, era stata accettata come membro dell’Ordine degli avvocati. Questo a ventisette anni e, in ogni caso, a un’età del tutto inconsueta. Arrivata a quel punto della biografia, improvvisamente Holt aveva capito quello che stava cercando, e le erano bastati dieci minuti per trovare le carte che aveva sperato di trovare.

Questo ha del ridicolo, pensò. Quando si sa quello che si sta cercando, tutto diventa quasi stupidamente facile.

Davanti a sé, aveva tre fogli di carta che lei stessa aveva incluso nel materiale dell’indagine a metà dicembre di dieci anni prima. Costituivano il programma di una conferenza della SACO che siera svolta a Östermalm a Stoccolma, il 30 novembre 1989, il giorno stesso dell’assassinio di Eriksson. Fra le dieci e le dieci e mezza del mattino, l’avvocato Helena Stein aveva tenuto una relazione su una causa che aveva patrocinato per conto della SACO davanti al tribunale del lavoro di Stoccolma. Secondo il programma della conferenza, era il terzo punto sull’agenda, prima di una breve pausa di un quarto d’ora, e in base alla lista dei partecipanti, una delle persone rimaste sedute ad ascoltarla era il caposezione e rappresentante della TCO Kjell Eriksson, e questo Holt lo aveva sempre saputo.

Era stata lei stessa a leggere quelle carte, quando quel giorno aveva pranzato insieme a Jarnebring, ed era stata lei a volere includere nel dossier della polizia la lista di tutti i partecipanti, relatori e organizzatori della conferenza. Ma dato che allora non sapeva quello che stava cercando, Helena Stein era rimasta invisibile.

Che strana sensazione, pensò Holt fissando le carte. Chissà se le mie impronte digitali ci sono ancora dopo dieci anni.

«Come va?» chiese Mattei, che si era improvvisamente affacciata alla porta del suo ufficio.

«Adesso l’ho trovata» disse Holt.

«In quella conferenza...» disse Mattei.

Che mi venga un colpo, pensò Holt.

«Sì» disse. «Come fai a saperlo?»

«È un’idea che mi è venuta, ed è per questo che sono qui, per suggerirti che cosa potresti cercare. Mi è venuta in mente all’improvviso, mentre leggevo la biografia di Eriksson, così ho fatto un confronto tra quello che aveva fatto il giorno del suo omicidio e la biografia di Helena Stein. La conferenza... l’allora avvocato Helena Stein... è stato molto semplice.»

«Ti credo» disse Holt sorridendo. Lisa è assolutamente incredibile, pensò.

«Sei stata tu a trovarla» disse Mattei scrollando le spalle. Qui da noi è la sola cosa che conta, pensò.

«Sono soddisfatta» disse Holt. Eccoti servito, pensò riferendosi al suo capo, Lars Martin Johansson, che molto probabilmente a quell’ora era sprofondato sul divano davanti alla tv, sognando i cari vecchi tempi, quando era una leggenda e non veniva mai contraddetto.

«In ogni caso, tu sei riuscita a trovare un legame fra Helena Stein ed Eriksson nel giorno cruciale» disse Mattei. «Ma mi è venuta un’altra idea.»

«Spara» disse Holt. «Sono tutta orecchie.»

Mentre stava aspettando che Johansson facesse la sua apparizione alla riunione, Mattei aveva colto l’occasione per leggere i verbali dei due interrogatori della signora Westergren, la vicina di casa di Eriksson. Lo aveva fatto per un motivo molto semplice. Dopo avere dato una rapida scorsa agli interrogatori, che peraltro non dicevano molto, aveva individuato quello che le sembrava più interessante.

«Gli interrogatori dei due amiconi di Eriksson sono veramente squallidi» constatò Mattei. «Quel Bäckström non sembra sano di mente. Cerca in continuazione di fare dichiarare a quei due che Eriksson era omosessuale. Non capisco perché non si sia accontentato di interrogare se stesso, invece.»

Secondo il giudizio di Mattei, la signora Westergren, al contrario, aveva fatto almeno un’osservazione interessante: durante i mesi che avevano preceduto la sua morte, le era sembrato che Eriksson avesse aumentato il suo consumo di bevande alcoliche. E la signora Westergren aveva usato proprie quelle parole: «aumentato il suo consumo di bevande alcoliche».

«Io non bevo spesso alcolici» disse Mattei. «Ma a volte, quando torno a casa dopo una giornata particolarmente pesante, ho l’abitudine di bere un paio di drink. Più che altro per smettere di pensare. Forse mi sbaglio, ma credo che Eriksson avesse aumentato il suo consumo di bevande alcoliche, perché qualcosa lo rendeva nervoso, ed era qualcosa che era successo quell’autunno... lo stesso autunno in cui è stato assassinato.»

«Anch’io e Jarnebring avevamo pensato la stessa cosa» disse Holt. «Sì, il collega con il quale lavoravo a quei tempi. Il problema è che non siamo riusciti ad arrivare a una conclusione. A un certo punto avevamo creduto che avesse a che fare con i suoi affari, ma poi abbiamo scoperto che andavano a gonfie vele.»

«Il fatto è che a quei tempi non eravate al corrente del suo coinvolgimento nell’occupazione dell’ambasciata tedesca» disse Mattei.

«No» disse Holt. «Sono venuta a saperlo solo oggi.» Cosa abbastanza tipica per questo posto, si disse.

«Quello che credo» continuò Mattei che dava l’impressione di pensare ad alta voce, «è che se io fossi stata coinvolta in quella storia, mi sarei bevuta anche il cervello nell’autunno del 1989.»

«Che cosa stai dicendo?» chiese Holt. «Quattordici anni dopo? Perché? A quella data, Eriksson avrebbe dovuto essersi ormai abituato al pensiero di essersela cavata.»

«La Germania Est» disse Mattei enfaticamente. «La Germania Est è crollata nel novembre del 1989. La STASI, la polizia segreta, va in pezzi, e improvvisamente il suo archivio è di dominio pubblico, quelli dei Servizi occidentali, come il nostro stimato capo Johansson, arrivano come stormi di cavallette e iniziano a rovistare come matti. Quello che voglio dire è che, se soltanto avessi avuto a che fare con i terroristi della Repubblica Federale a metà degli anni settanta, sarei stata praticamente certa di comparire negli archivi della STASI. La STASI e la Rote Armeefraktion e la banda BaaderMeinhof e tutti gli altri che si facevanochiamare compagni. È provato che si aiutavano a vicenda. Ed è chiaro che la STASI conosceva i nomi dei terroristi.»

«Chiaro come il sole» disse Holt. «E se mi fossi chiamata Eriksson, Tischler, Welander e Stein, sarei stata maledettamente nervosa.» Specialmente se mi fossi chiamata Stein e uno come Eriksson fosse stato al corrente di qualcosa che avrebbe potuto usare contro di me, pensò Holt. E adesso puoi andare al diavolo vecchio mio, si disse, dato che era tornata con il pensiero alla conversazione che, solo qualche ora prima, aveva avuto con il suo capo, Johansson la leggenda.

«Infatti, può essere stato un movente» disse Mattei pensierosa.«È del tutto possibile, e non è neppure necessario che i loro nomi fossero realmente registrati negli archivi della STASI... è sufficiente che loro lo pensassero. Per diventare nervosi, voglio dire.»

«Ora, sappiamo che il loro nome effettivamente compariva in quei registri» disse Holt. «Sia Johansson che Wiklander lo hanno confermato.»

«Certamente» obiettò Mattei. «Ma questo non significa che gli interessati lo sapessero» concluse Mattei. Anna sembra essere una persona più che altro pratica, pensò.

«Come va ragazze?» chiese Martinez, che improvvisamente si era materializzata sulla porta dell’ufficio di Holt. «Adesso tutti i ragazzi sono andati a casa a farsi un paio di birre incollati davanti alla tv e siamo rimaste solo noi tre. Possiamo fare un party.»

«Abbiamo quasi finito» disse Holt. «Aspetta un attimo e sentirai...»

«Calma, calma» disse Martinez alzando la mano per interromperla. «Sto morendo di fame. Avevo pensato di ordinare qualcosa di orribile da mangiare, come fanno tutti i nostri colleghi maschi nei film polizieschi. Tipo hamburger che grondano di maionese e altre schifezze. Che cosa ne dite?»

«Niente hamburger» disse Mattei. «È veleno puro. Non possiamo ordinare un sushi invece? Sto cercando di evitare la carne. Potrei andare a prendere un po’ di sushi per tutte e tre.»

«Sushi» disse Martinez. «I veri poliziotti non mangiano sushi.»

«Noi sì» disse Holt. «Non mi dispiacerebbe.»

«Va bene» disse Martinez scrollando le spalle. «Io fare. Io comprare sushi.»

Mezz’ora dopo, quando Martinez tornò con tre porzioni di sushi, iniziarono il loro primo consiglio di guerra.

«Direi che siete sulla strada giusta» disse Martinez dopo avere ascoltato prima Holt e poi Mattei. «Innanzitutto, siete riuscite a collegare Helena Stein a Eriksson, e poi avete individuato un possibile movente che potrebbe avere spinto la Stein a fare fuori Eriksson. Dubito che Johansson riuscirà a controbattere, quando sentirà le conclusioni alle quali siete arrivate» disse Martinez estasiata. «Volete sapere che cosa mi è venuto da pensare?»

«Yes» disse Holt.

«Sì» disse Mattei.

«Bene» disse Martinez. «Ho dato un’occhiata al rapporto della scientifica, ma vi assicuro che l’ho fatto senza pensare a Helena Stein. L’ho fatto prima di venire a conoscenza di quella conferenza alla quale aveva partecipato anche Eriksson... ma mentre stavo aspettando che tutte queste leccornie che state ingurgitando fossero pronte, ho riflettuto un po’ proprio su Helena Stein.»

«Sì?» disse Holt.

«Sì?» fece eco Mattei.

«Dobbiamo dimostrare che è stata nell’appartamento di Eriksson» disse Martinez. «Io credo che abbiamo almeno due buone possibilità. Per prima cosa, non è stato possibile identificare alcune delle impronte rilevate. Un paio potrebbero essere quelle del colpevole. Appartengono alla stessa persona e sono abbastanza buone. Una è stata trovata sul lavandino della cucina e l’altra all’interno della porta dell’armadietto sotto il lavandino, dove Eriksson teneva il secchio per i rifiuti.»

«Niente male» disse Holt. È già qualcosa, pensò rivedendo davanti a sé il trinciante di marca Sabatier sporco di sangue.

«L’altra cosa che mi è venuta in mente è quell’asciugamano» disse Martinez. «Anche quello è interessante. Se il vomito è quello del colpevole, dovrebbe essere possibile rintracciare il dna, cosa che non è stata mai fatta perché a quei tempi non si usava.»

Il vomito di Helena Stein sull’asciugamano di Eriksson, pensò Holt, e improvvisamente quel pensiero le aveva fatto provare un leggero senso di malessere.

«Ammesso che quell’asciugamano sia stato conservato in un congelatore, come è prescritto, vale la pena fare un tentativo» disse Martinez.

«Le impronte e l’asciugamano sono conservati nella sede della scientifica qui a Stoccolma» disse Mattei.

«Allora, li portiamo qui e li facciamo esaminare dai nostri tecnici» disse Martinez. «Chi telefona a Johansson per chiedere il permesso?»

«Lo farò io» disse Holt sentendosi subito meglio.

«Sarà meglio aspettare fino a domani mattina» disse Mattei incerta. «Sono quasi le dieci.»

«D’accordo» disse Holt. «Adesso è ora di andare a casa.»

«Sì» disse Mattei. «Questa mattina mi sono alzata alle sei. Il venerdì è la mia giornata di jogging.»

«Se fossimo dei veri poliziotti, adesso andremmo in un bar a buttare giù otto birre facendo flettere i muscoli, per poi caricare un bel marcantonio e portarcelo a letto» disse Martinez. «Che cosa ne dite?»

Holt e Mattei scrollarono la testa all’unisono. Una bruna e l’altra bionda.

«Tipiche donnine» sospirò Martinez. «Significa che ci incontreremo qui domani mattina alle otto? Prima di addormentarvi cercate di pensare a un dettaglio pratico.»

«Cioè?» disse Holt.

«A come controllare le impronte e il dna di Helena Stein, senza che Johansson vada completamente fuori dai gangheri» disse Martinez.