9.

Martedì, 5 dicembre 1989

Quando Jarnebring e Holt arrivarono davanti alla casa di Eriksson, il mattino di martedì, Jolanta li stava già aspettando davanti al portone. Controllarono insieme l’appartamento. La donna si era presa il tempo necessario ed era stata molto meticolosa. Tre, forse quattro dettagli avevano attirato la sua attenzione, ma il primo non si era rivelato di alcun interesse. Il tavolino nel soggiorno non era nella posizione abituale, di solito era più lontano dal divano.

«Lo abbiamo spostato noi» disse Jarnebring.

«Lo avevo capito» disse Jolanta che aveva notato le tracce di sangue coagulato sul pavimento.

Il secondo dettaglio era più interessante. I cassetti della scrivania nello studio erano aperti, mentre lei li ricordava sempre chiusi a chiave.

«Ne sei sicura?» disse Jarnebring.

Jolanta aveva accennato un vago sorriso e aveva guardato Holt con la coda dell’occhio, ma quando aveva visto che era occupata con altro, il suo sorriso si era fatto più grande e aveva annuito con risolutezza.

«Ne sono più che sicura. Li teneva sempre chiusi a chiave. Curiosità femminile...» disse strizzando l’occhio.

Quando Jarnebring e Jolanta controllarono insieme l’armadio di Eriksson, le cose si fecero interessanti.

«Qui manca una valigia» disse Jolanta indicando le altre due che erano sul ripiano superiore.

«Ne sei proprio sicura?» disse Jarnebring.

«Sì, o almeno c’era l’ultima volta che ho fatto le pulizie» disse Jolanta.

«Grande... piccola?» chiese Jarnebring.

«Né grande, né piccola» rispose Jolanta allargando le mani di circa cinquantasessanta centimetri. «Più o meno così, di pelle marrone, bella. Sicuramente costosa. Ne vorrei anch’io una così... ma non sono stata io a prenderla, se è questo che pensi.»

«No, perché dovrei farlo?» disse Jarnebring.

«Adorabile» disse Jolanta scrollando le spalle e sorridendo timidamente. «Non è quello che gli uomini svedesi dicono delle donne polacche?»

«C’è altro?» chiese Jarnebring senza curarsi di rispondere alla sua domanda. «Di particolare su quella valigia, voglio dire.»

«C’erano le sue iniziali» disse Jolanta. «Un monogramma speculare, KGE... con una lettera di troppo mi sembra» aggiunse scrollando le spalle.

Jolanta fece l’ultima scoperta nell’armadietto degli asciugamani nel bagno, ma questa volta non sembrava così sicura come per la valigia.

«Credo che manchino degli asciugamani» disse. «Ne sono quasi certa.»

«Perché credi che ne manchino?» chiese Jarnebring. In ogni caso, non possono essere molti, pensò osservando le pile di asciugamani sui ripiani.

«Posso guardare?» chiese Jolanta facendo un cenno in direzione del cesto della biancheria sporca.

«Certamente» disse Jarnebring.

Jolanta aveva controllato senza fretta e aveva persino contato gli asciugamani che erano nel cesto e nell’armadietto. Quando finì, annuì con un’espressione risoluta.

«Ne mancano alcuni» disse. «Non sono molti, cinque o sei. Quelli di misura media» disse indicando gli asciugamani appesi al lato del lavandino.

«Una mezza dozzina di asciugamani» disse Jarnebring. «Non è possibile che Eriksson stesso li abbia portati in lavanderia?» Maledetto Wiijnbladh, pensò.

«No» disse Jolanta. «Non lo faceva mai. Era troppo raffinato. Forse li hanno portati via i tuoi colleghi» suggerì.

«Controlleremo» disse Jarnebring.

Non appena Jolanta se ne andò, Jarnebring e Holt diedero un’occhiata al rapporto della scientifica. Wiijnbladh aveva scritto che tutti i cassetti della scrivania non erano chiusi a chiave e, eccetto quello centrale che era vuoto, contenevano «diversi documenti e carte».

«Forse li chiudeva ogni volta che usciva di casa» disse Holt. «Lo farei anch’io se una come quella facesse le pulizie a casa mia.»

In totale sette cassetti, pensò Jarnebring. Era previsto che Jolanta andasse a fare le pulizie il giorno dopo. Un bel po’ da aprire e chiudere a chiave, pensò. Al massimo uno o due, perché non credo che tutti e sette fossero importanti.

«Forse troveremo una spiegazione quando vedremo che cosa contengono» disse Jarnebring.

«Non c’è alcuna annotazione riguardo alla valigia, niente sugli asciugamani, a parte quello che Wiijnbladh ha detto durante la riunione» disse Holt chiudendo la cartella con il rapporto.

«Dobbiamo fare due chiacchiere con il nostro ometto» concluse Jarnebring.

Qualche minuto dopo, Jarnebring aveva deciso che la libreria nel soggiorno poteva aspettare. Una serie di scaffali fissati lungo tutta la parete dal pavimento al soffitto, in totale circa cinquanta metri e poco meno di duemila volumi.

«Pensaci» disse Jarnebring. «Ci vorrà un giorno intero.»

«Non credevo che dovessimo anche leggerli tutti» disse Holt giovialmente.

Finirono la cucina. Servizi di porcellana di alta classe, magnifici bicchieri, elettrodomestici di ogni tipo. Fin lì, come tutto il resto dell’appartamento. Un ordine perfetto regnava nel frigorifero, nel congelatore e nella dispensa. A quasi una settimana dalla morte di Eriksson, persino la verdura sembrava ancora fresca.

Ma per il resto, non avevano trovato nulla di interessante. Giovedì sera, Wiijnbladh aveva già rovistato nel sacchetto dell’immondizia sotto il lavandino e, secondo il suo rapporto, anche quello era in perfetto ordine. La cosa più eccitante che avevano trovato era stata un contenitore di vetro per le conserve del vecchio tipo con un anello di gomma, nel quale Eriksson conservava banconote e monete di poco valore e diversi scontrini della spesa.

Avevano già impiegato molto tempo, e quando stavano decidendo se andare a pranzo o meno prima di attaccare la libreria nel soggiorno, Bäckström si era fatto vivo al telefono della vittima per chiedere se, per caso, avessero trovato le chiavi della cassetta di sicurezza di una banca.

«Quell’idiota mezzo miope di Wiijnbladh non ne ha trovate» spiegò Bäckström. «Ma siamo venuti a sapere che devono essercene un paio.»

Jarnebring aveva tirato a indovinare e aveva guardato nel cassetto centrale della scrivania nello studio. La chiave era incastrata nel bordo del fondo del cassetto, che per il resto era vuoto.

Strano, pensò Jarnebring tornando al telefono. Se volessi conservare le mie cose più riservate in una scrivania di quel tipo, sceglierei il cassetto centrale, come mai proprio questo è completamente vuoto?

«Ho trovato una chiave» disse Jarnebring quando tornò al telefono.

«Molto bene» disse Bäckström. «Portala subito qui e poi andremo insieme a dare un’occhiata alla cassetta di sicurezza alla Handelsbanken.»

Holt aveva preferito restare. Aveva fatto un cenno con il capo in direzione della libreria.

«Vai, io inizierò a dare un’occhiata ai libri» disse, e senza capire veramente perché, quando era salito in macchina per tornare alla centrale di Kungsholmen, Jarnebring aveva provato un senso di delusione.

Bäckström era di splendido umore. Quel mattino, aveva ricevuto un’informazione per telefono.

«Odio non sapere come le vittime hanno passato il loro tempo» spiegò Bäckström. «Forse ricordi che ci sono tre ore di vuoto nella vita di Eriksson, fra mezzogiorno e le tre di giovedì. In altre parole, dopo che ha lasciato la conferenza e prima che tornasse in ufficio.»

«Sì, ho un vago ricordo» disse Jarnebring. «Forse stai dimenticando che siamo stati io e Holt a scoprirlo.»

«Certamente» disse Bäckström che non si lasciava smontare facilmente. «In ogni caso, adesso abbiamo una spiegazione.

Eriksson ha una cassetta di sicurezza nella filiale della Handelsbanken di Karlavägen, a metà strada fra il suo posto di lavoro e la sua abitazione. C’è andato all’una e mezza, è sceso nella camera blindata ed è rimasto a controllare la sua cassetta fino alle tre meno un quarto. È rimasto lì un’ora e quindici minuti. Un’impiegata della banca ha telefonato e ci ha dato l’informazione. Aveva letto sul giornale che Eriksson era stato fatto secco. Un’ora e un quarto» ripeté Bäckström. «Andiamo, ci sarà da divertirsi.»

Un’ora dopo, Bäckström e Jarnebring erano nella camera blindata della banca e, insieme al direttore dell’agenzia, osservavano un’impiegata che apriva uno sportello con la chiave di Eriksson e con quella della banca e prendeva una cassetta di sicurezza di grande formato.

«Se volete scusarmi» disse Bäckström infilando un paio di guanti di gomma. «Ma voglio dare un’occhiata per primo.»

Che pagliaccio, pensò Jarnebring.

La cassetta era vuota. All’interno non c’era un solo granello di polvere.

«Merda» borbottò Bäckström dopo essere salito nell’auto per tornare alla centrale di polizia a Kungsholmen. «Deve averla svuotata.»

Congratulazioni, pensò Jarnebring. Adesso sì che ti riconosco.

«Non è possibile che ci voglia un’ora e un quarto per svuotare una maledetta cassetta di sicurezza» disse Bäckström. «E cinque ore dopo, qualche bastardo lo fa fuori» concluse dando l’impressione di pensare più che altro ad alta voce.

Mai fidarsi delle coincidenze, pensò Jarnebring, ma dato che era un concetto troppo profondo per quella palla di grasso senza cervello, scelse di esprimersi in maniera diversa.

«Tenendo conto che dall’ultima volta che è stato in banca è passato più di un mese, non si può negare che sia una coincidenza strana» disse.

«E tu come diavolo fai a saperlo?» chiese Bäckström sospettoso.

«Ho chiesto al direttore» disse Jarnebring. Mentre tu cercavi di rimorchiare l’impiegata, pensò.

Poi, dopo aver lasciato Bäckström all’angolo di Kungsholmsgatan, aveva portato la macchina nel garage sotterraneo. Era andato nel suo ufficio per vedere se c’erano delle novità – non ce n’era neppure l’ombra – e, visto che il suo stomaco aveva iniziato a brontolare, scegliendo la soluzione più semplice era andato alla mensa della centrale di polizia, dove aveva consumato un pasto di varie portate.

Nella mensa si era imbattuto in un paio di vecchi colleghi che attualmente lavoravano alla direzione generale della polizia. Avevano parlato del più e del meno, e quando era finalmente tornato nell’appartamento di Eriksson a Rådmansgatan era già pomeriggio avanzato.

«Come va con la letteratura?» chiese Jarnebring entrando nel soggiorno dell’appartamento di Eriksson.

«Sei tornato in tempo» disse Holt. «Ho appena finito.»

Che mi venga un colpo, pensò Jarnebring evitando ovviamente di dirlo.

«Che rapidità» disse invece. «Hai trovato qualcosa di interessante?»

«Non so» disse Holt. «In ogni caso d’insolito. E a te com’è andata?»

«Ehm» disse Jarnebring con calore. «Niente, ma ne parleremo dopo. Racconta.»

«Comincerò dall’inizio» disse Holt. «Altrimenti temo che possa sembrare un po’ strano.»

Così va bene, pensò Jarnebring. Così sarai sicura che il vecchio zio Bo capisca veramente quello che stai dicendo.

«Ti ascolto» disse Jarnebring.

Holt aveva sfogliato ogni singolo libro per vedere se all’interno ci fossero degli appunti o qualcos’altro di interessante. Ma non aveva trovato nulla. Si trattava di una normale biblioteca svedese, come quelle che si potevano trovare in qualunque casa di persone sufficientemente benestanti, istruite e borghesi: tutti i grandi scrittori svedesi in edizioni complete, un buon numero di classici – Dostoevskij, Balzac, Proust, Musil, Mann, Hemingway e così via –, un certo numero dei più noti scrittori moderni svedesi e stranieri, trattati di storia e diverse biografie di personaggi celebri e, naturalmente, un paio di enciclopedie importanti. Fin lì, tutto era in linea con l’arredamento, le scelte di cibo e vestiario di Eriksson, senza dimenticare le bevande alcoliche. Ovviamente, i libri erano sistemati in ordine alfabetico secondo il nome dell’autore.

«Allora, che cosa c’è di così strano?» disse Jarnebring.

«Quelli là» disse Holt indicando una pila di una ventina di libri posati sul tavolino davanti al divano.

Bäckström non era tipo da lasciarsi scoraggiare per essere andato a vuoto nella camera blindata della banca e, non appena si era seduto alla sua scrivania, si era assicurato che le indagini continuassero a essere condotte con immutato vigore.

Visto che quei pederasti dell’ufficio del difensore civico avevano fatto sparire l’insostituibile registro dei finocchi, in mancanza di meglio, aveva chiesto a Gunsan di controllare se il nome di Eriksson apparisse nel registro generale delle cause civili e penali. Al collega Testa di legno, invece, aveva affidato l’incarico di controllare con i colleghi delle altre sezioni se quel nome fosse mai saltato fuori in qualche caso interessante con circostanze che indicassero qualche deviazione sessuale. Infine, aveva ordinato ai tre giovani idioti delle forze dell’ordine di andare in giro a mostrare la fotografia di Eriksson nei ritrovi e nei club dove i culattoni, le checche e tutti gli altri diffusori di germi si precipitavano non appena faceva buio. Secondo Gunsan, il nome di Eriksson non compariva nei registri della polizia. A cosa cavolo serve una befana del genere, pensò Bäckström.

Il collega Testa di legno non aveva ottenuto alcuna informazione ed era proprio quello che Bäckström si era aspettato sin dall’inizio. Uno come lui merita solo di essere eliminato, pensò.

Finalmente, uno dei tre giovani disgraziati delle forze dell’ordine aveva avuto qualcosa da riferire. Uno degli ospiti di un club in Sveavägen aveva riconosciuto Eriksson dalla foto. L’uomo aveva anche suggerito di controllare un ritrovo che Eriksson, apparentemente, aveva l’abitudine di frequentare.

«Ha detto che gli ricordava un tipo sadomaso che aveva incontrato la scorsa estate» spiegò il giovane collega. «Sembra che si trovino in un locale su in Wollmar Yxkullsgatan nel quartiere di Söder. È uno di quei posti per quelli che preferiscono i giochi duri.»

Che massa di idioti, pensò Bäckström, e non stava pensando a quelli che si dilettavano in quel ritrovo, ma ai tre che erano seduti all’altro lato della sua scrivania.

«Me ne occuperò io stesso» disse. «Dammi il biglietto con l’indirizzo.»

Tutti i libri sul tavolino davanti al divano portavano le dediche degli autori a persone diverse. Tutti gli autori, così come le persone omaggiate, erano svedesi. Almeno a giudicare dai cognomi. Si trattava soprattutto di romanzi, ma c’erano anche un paio di biografie di svedesi famosi, un trattato di storia e qualche volume scientifico.

«Può averli comprati in un negozio di antiquariato» azzardò Jarnebring. «C’è gente che colleziona libri con dedica.»

«In un primo momento, ho pensato la stessa cosa» disse Holt. «Ma c’è qualcosa che non quadra.»

«E che cosa sarebbe?» chiese Jarnebring senza riuscire a evitare un sorrisino ironico.

«Innanzitutto, questi libri sono stati scritti fra il 1964 e il 1975» disse Holt. «Poi, sembra che nessuno li abbia mai letti e neppure sfogliati... a parte alcune eccezioni. E come terzo punto, anche se devo ammettere che non sono una collezionista di libri, toccano un’ampia varietà di temi. Di solito, i veri collezionisti si concentrano su temi specifici, non è così?»

«Non ne ho la più pallida idea» disse Jarnebring.

«Neppure io» disse Holt. «Così ho pensato di portarli alla centrale per cercare di capirci qualcosa.»

Non vedo che legame possa esserci con il nostro caso, pensò Jarnebring. Ho l’impressione che si sia lasciata prendere la mano.

«Fai così» disse. «Mettili in un sacco di plastica, e adesso andiamocene a casa. Riprenderemo domani.»

Tornato nell’accogliente tana della sua futura moglie, Jarnebring aveva dovuto cenare in completa solitudine. Non per un motivo particolare, ma semplicemente perché la sua amata quella sera era di turno. Prima di andare al lavoro gli aveva però preparato la cena, che aveva lasciato nel forno con relative istruzioni, scritte con affetto.

Dopo avere cenato, Jarnebring si era seduto davanti al televisore per guardare le notizie sportive dopo il telegiornale, ma non era riuscito a concentrarsi, perché Eriksson si ostinava a tornargli in mente senza sosta.

Che strano personaggio, pensò Jarnebring. Di che cosa si occupava realmente? E arrivato a quel punto, gli era venuto in mente il suo migliore amico, Lars Martin Johansson. Devo telefonare a Lars Martin, pensò. È passato quasi un mese dall’ultima volta che ci siamo visti e abbiamo un bel po’ di cose da raccontarci. Lo chiamerò domani appena arrivo in ufficio, decise. Chissà se è ancora al ministero della Giustizia. L’ultima volta che si erano visti, infatti, Johansson gli aveva raccontato di essere stato distaccato al ministero per seguire un’indagine urgente.

Prima di lasciare l’ufficio per andare a controllare il ritrovo di finocchi personalmente, Bäckström era rimasto indeciso se portare con sé la pistola di ordinanza, ma era stato un momento di debolezza che aveva scacciato quasi subito. Sarebbe stato stupido, considerando che aveva programmato di fare un salto al solito pub per farsi un paio di birre e vedere se c’era qualche donnina piacevole. In caso di problemi, posso occuparmi di quei culattoni con una mano sola, pensò inarcando le sue spalle grassocce, prima di infilarsi il suo capiente cappotto e mettere in tasca la foto di Eriksson.

Naturalmente aveva preso un taxi, dopotutto si trattava di un’indagine di omicidio, e i buoni taxi che si era procurato bastavano e avanzavano. Per motivi tecnici legati all’indagine, aveva detto al tassista di fermarsi all’inizio della strada, in modo da potere effettuare un’avanzata discreta fino all’indirizzo in questione. E poi, nessuna persona normale si sarebbe fatta portare da un taxi fino a un club di finocchi.

L’entrata del club dava sulla strada, le finestre erano chiuse e nessuna luce filtrava dall’interno, ma dato che Bäckström non era un grullo, aveva messo il dito sul campanello e ce lo aveva lasciato per un bel po’. Come si era aspettato, alla fine un ceffo aveva aperto la porta. Era un tipo massiccio con una camicia di flanella a quadri, jeans stracciati e capelli a spazzola. Ricordava vagamente uno di quei giovanotti delle pubblicità della Marlboro, cappello e cavallo esclusi. Quindi non può essere che una specie di guardiano, pensò Bäckström.

«È chiuso» disse il tipo con uno sguardo poco incoraggiante.

«Sono un poliziotto e me ne frego se è chiuso» disse Bäckström autoritario ricambiando lo sguardo. «Devo chiederti un paio di cose.»

Quelle parole erano bastate al tipo, perché di colpo sembrava veramente interessato e quasi esageratamente affabile mentre spalancava la porta.

«Entra, prego» disse. «Così vediamo se posso essere di aiuto al signor agente.»

C’è qualcosa che non quadra, pensò Bäckström.

Porca puttana che posto, pensò Bäckström guardandosi intorno nel locale semioscuro. È una vera e propria camera di tortura. In che cavolo di paese viviamo? Ganci appesi al soffitto, cinghie e catene dalle quali pendevano bracciali di ferro, le pareti ricoperte di fruste di ogni tipo e un sacco di altre porcate che Bäckström preferiva non pensare a cosa potessero servire. Roba simile dovrebbe essere proibita, pensò indignato.

Il tipo aveva preso posto su una specie di trono e aveva fatto cenno a Bäckström di sedersi su uno sgabello ai suoi piedi. Lo fissava pieno di interesse. Questo posto è troppo strano, pensò Bäckström.

«Siediti» disse il tipo indicando lo sgabello.

«Come ti ho detto, sono un poliziotto» ripeté Bäckström. «E mi chiedo se puoi aiutarmi con una certa cosa.» Con chi diavolo crede di avere a che fare, pensò.

«Ho aiutato molti poliziotti» disse il tipo che improvvisamente sembrava abbastanza divertito.

Forse è uno dei nostri regolari informatori, pensò Bäckström. Uno così in un posto di questo genere vale tanto oro quanto pesa. Ma c’è qualcosa che non mi quadra.

«Riconosci questa persona?» chiese Bäckström porgendogli la fotografia di Eriksson.

Il tipo prese tempo. Girò e rigirò la foto e guardò persino sul retro. Poi, scosse il capo e gliela restituì.

«Non è il mio genere» disse. «I poveracci tutti pelle e ossa non sono i miei favoriti. Sembra uscito da uno di quei campi nazisti.»

«Dunque non lo riconosci» disse Bäckström. Merda, pensò sbirciando la porta alle sue spalle, perché c’era qualcosa in quel posto che non quadrava per niente.

«No» disse il tipo lanciandogli uno sguardo pieno di bramosia. «Mi piace lavorare con quelli bene in carne.»

«Adesso diamoci una dannata calmata» urlò Bäckström alzando una mano per bloccare un eventuale attacco. «Datti una maledetta calmata.»

«Io sono calmo» disse il tipo sogghignando. «È il nostro caro agente che si sta eccitando.»

Che posto di merda, pensò Bäckström respirando profondamente non appena si era messo in salvo raggiungendo la strada. E proprio mentre era fermo sul marciapiede cercando di riprendere fiato, aveva visto quel bastardo di Lars Martin Johansson avvicinarsi con una bruna sottobraccio. Che cosa diavolo ci fa da queste parti?, si chiese Bäckström confuso. E se è qui che vuole andare non è certo il posto dove portare una donna.

Johansson si era fermato e lo aveva fissato. Per qualche motivo, Bäckström si era improvvisamente ricordato che diversi colleghi alla centrale di polizia chiamavano Johansson Il macellaio venuto dal nord. Meglio volar basso, pensò Bäckström.

«Buona sera Bäckström» disse Johansson sfoderando persino un mezzo sogghigno. «Stai andando a farti massaggiare le tue parti più tenere?» chiese con un cenno del capo verso la porta chiusa alle spalle di Bäckström.

Bäckström aveva reagito con la velocità di un lampo. Che cos’altro ci si poteva aspettare da un professionista della sua portata?

«È per un’indagine» disse seccamente. «Stiamo lavorando a un caso di omicidio di un finocchio.» Poi, annuì con decisione per dare ulteriore peso a quello che aveva appena detto.

«Sì, mi sembra di avere letto qualcosa sui giornali» disse Johansson con un sogghigno ironico. «Stammi bene, Bäckström... e fai attenzione che non ti succeda niente» concluse. Poi quel bastardo aveva continuato per la sua strada con la bruna sottobraccio. E come se non bastasse, quando erano arrivati a una decina di metri di distanza, la troia si era messa a ridere sguaiatamente, ma Bäckström non riuscì a udire quello che Johansson le stava dicendo.

Che mezzo lappone di merda, pensò con convinzione. Fermò un taxi che passava e si fece portare al pub.