VIII

LA PAROLA DEL CORPO

Quando Leonardo comincia ad approfondire lo studio dell’anatomia e della scienza medica il ricorso ai libri e agli altori gli si presenta da subito manchevole, imperfetto.1 Nei manoscritti e nelle prime stampe i testi degli anatomisti medievali, in primo luogo Mondino de’ Liuzzi, appaiono o privi di disegni o corredati di illustrazioni di pessima qualità, che spesso privano il testo della sua comprensibilità. Leonardo non può leggere direttamente i testi medici greci e latini, e si servirà quindi dei pochi volgarizzamenti disponibili. Ma proprio la marginalità rispetto alla grande tradizione classica (Ippocrate e Galeno, con i commenti della scuola medievale, araba e occidentale) gli permetterà intuizioni ardite, impensabili per un medico contemporaneo organicamente inserito nel mainstream disciplinare.

Leonardo si era avvicinato alla pratica anatomica già nei suoi primi anni fiorentini, come gli altri giovani apprendisti pittori che seguivano le rare sedute anatomiche nelle università e negli ospedali per migliorare la rappresentazione del corpo umano. A Milano, alla fine degli anni Ottanta, subito dopo l’avvio dell’attività di scrittura nel Codice B e nel Codice Trivulziano, aveva ripreso anche lo studio dell’anatomia, stendendo nella primavera del 1489 il suo primo progetto di un libro sull’uomo: un celebre appunto, fondamentale per la data e il titolo, che si trova sotto un disegno di teschio e un testo sul passaggio della vena mascellare: «Adí 2 d’aprile 1489 libro titolato de figura umana».2

Il libro progettato da Leonardo avrebbe voluto superare i confini di una trattazione medico-anatomica superficiale per occuparsi contemporaneamente di filosofia e fisiognomica, intorno a problemi come la localizzazione dell’anima e del senso comune,3 e poi i moti dell’anima, gli atteggiamenti, gli sguardi, la corrispondenza tra caratteri morali e psicologici. I suoi primi scritti anatomici si collegano a un contesto affine ai Problemata pseudoaristotelici e al Liber de homine di Girolamo Manfredi (in lingua volgare), che (divulgando la fisiognomica, lo pneumatismo e la dottrina fisiologica dello “spirito”, il metodo di comparazione analogica) conoscono un’ampia circolazione al di fuori di un ambito strettamente medico-filosofico, tra letterati e artisti.4 Di piú, lo sfondo meccanicistico delle teorie in cui si muove Leonardo lo porta a collegare lo studio del corpo umano a quello delle macchine, e a travasare continuamente da un campo all’altro osservazioni e metodi di indagine.

Nei testi l’espressione tende a innalzarsi a un livello letterario, con l’uso di elementi stilistici e retorici che danno alla prosa leonardesca la cadenza tipica del discorso di divulgazione e talvolta dell’oralità, con l’uso frequente di comparazioni e analogie. Leggiamo in uno dei primi fogli di anatomia:

Come i 5 sensi sono ofiziali dell’anima. […] I nervi coi loro muscoli servono alle corde come i soldati a’ condottieri, e le corde servano al senso comune come i condottieri al capitano, e ’l senso comune serve all’anima come il capitano serve al suo signore.5

Nella parte superiore del foglio Leonardo sembra rinviare al De usu partium di Galeno («ricordi / maghino spechulus di m° Giovanni Francioso / il senso del tatto veste tutta la superfitiale pelle dell’omo / Galieno de utilità»), ma in realtà sta riprendendo un brano del Convivio di Dante, a sua volta influenzato dalla Politica di Aristotele, sull’ordine naturale che sovraintende a strutture complesse ordinate a un solo fine, come può essere una società umana, un esercito, l’equipaggio di una nave (Conv., IV 4 5), e, appunto, il corpo umano.

Per Leonardo, la modalità di divulgazione scientifico-filosofica proposta dal Convivio e il sistema analogico basato sull’uso di similitudini dal mondo naturale sono (e resteranno) importanti modelli di comunicazione e di stile. Non è un caso che uno dei suoi primi Proemii cominci con le stesse parole iniziali del Convivio, a loro volta riprese dall’incipit della Metafisica di Aristotele: «Proemio. / Naturalmente gli omini boni desiderano sapere».6 E sempre il Convivio gli offre una citazione dall’Ethica: «Aristotile nel terzo dell’Etica: l’uomo è degno di loda e di vituperio solo in quelle cose che sono in sua potestà di fare e di non fare».7

Come è noto, il quarto libro del Convivio è dedicato all’illustrazione della canzone «Le dolci rime», dalla quale Leonardo cita i famosi versi «chi pinge figura, / se non può esser lei, non la può porre» (vv. 52-53), e il corrispondente commento: «Nullo dipintore potrebbe porre alcuna figura, se intenzionalmente non si facesse prima tale, quale la figura esser dee» (Conv., IV 10 11): esattamente nel Codice A, fra altri testi su ombra e lume destinati al Libro di pittura:

In nella elezione delle figure. sia piú tosto gentile che secco o legnoso

Chi pingie figura se non pò esser lei non la pò purre

Sommo danno è quando l’openione avanza l’opera.8

In quella canzone Dante affrontava il tema della nobiltà, esteso anche alla nobiltà della natura umana nell’ordine della creazione, riprendendo la dottrina aristotelica e scolastica de generatione, e tra l’altro confutava una sentenza materialistica attribuita all’imperatore Federico II, «Omo è legno animato» (v. 41): un’immagine che invece piace a Leonardo, che continuerà a servirsene nella sua visione del corpo umano: «Il core è il nocciolo che genera l’albero delle vene».9

La metafora “cuore-nocciolo” porta con sé la piú ampia comparazione “uomo-pianta”, descritta nel testo e resa visibile nei celebri disegni dell’«albero di vene» e dell’«albero di tutt’i nervi», a loro volta influenzati da una tavola del Fasciculus medicinae, importante miscellanea medica attribuita a un Johannes Ketham (in realtà Johannes Kelner von Kirkheim docente di medicina a Vienna), pubblicata a Venezia nel 1491 con un apparato di tavole sugli organi interni del corpo umano.10 È uno dei primi libri di medicina posseduti da Leonardo, che in seguito ne acquisterà anche l’edizione italiana, curata da Sebastiano Manilio e pubblicata a Venezia nel 1494, con il titolo di Fasciculo de medicina e la significativa aggiunta della traduzione di Mondino.11

Nel testo vinciano, la parola sembra accompagnare il flusso degli umori vitali da un organo all’altro, lungo le canalizzazioni delle vene e delle arterie, che hanno la loro origine nel cuore cosí come tutte le radici e le ramificazioni hanno la loro origine nella parte inferiore delle piante, e a sua volta nel nocciolo da cui esse nascono. Non è un paragone solo teorico: Leonardo allega la «sperienza» del nocciolo di pesco, che fa parte di una serie nutrita di immagini e di ricordi provenienti dalla vita quotidiana del mondo contadino, lo stesso mondo nel quale, nelle campagne di Vinci, si era consumata la sua inquieta fanciullezza. L’anatomia della testa, e la sua stratificazione superficiale, rinvierà per esempio, in un altro famoso disegno, all’immagine delle sfoglie successive di una cipolla.12

In fogli del Codice Arundel databili al periodo milanese Leonardo riscrive molte volte alcuni brevi testi sull’acqua vitale umore del mondo, che viene assimilata contemporaneamente al flusso della linfa della vite e a quello del sangue nelle vene:

E come il basso sangue in alto sur‹g›e, e per le rocte vene della fronte versa, e come dalla inferior parte della vite l’acqua surmonta a’ sua tagliati rami, tal da l’imfima profondità del mare l’acqua s’inalza alle somità de’ monti, e ‹…›.13

L’analogia fra la circolazione dell’acqua nel mondo e la circolazione del sangue nel corpo umano è un luogo comune della filosofia naturale degli Antichi, e della piú generale teoria del rapporto fra macrocosmo e microcosmo, e come tale appare frequentemente tra gli scritti di Leonardo. Ma la linfa della vite, l’umore che sale sotto la scorza aggrinzita della pianta mosso dal calore naturale, vivificato e trasformato dal sole nella nuova mirabile sostanza del vino, rinvia di nuovo a Dante, al canto XXV del Purgatorio, dove l’esempio del vino è associato alla circolazione sanguigna per spiegare il processo di infusione dell’anima nel feto: «guarda il calor del sol che si fa vino, / giunto a l’omor che de la vite cola» (Purg., XXV 76-78). Un tema, quello della circolazione dei fluidi nel corpo umano, che Leonardo affronta in parallelo con lo studio delle acque e dei meccanismi che si servono dell’acqua (gli Pneumatica di Filone e di Erone), e con rinvii espliciti a Ippocrate, Galeno e Avicenna a proposito della generazione e dell’apparato sessuale.14

Il canto XXV del Purgatorio, con la lunga esposizione dottrinale di Stazio sul tema della generazione umana e dell’infusione dell’anima, resta nella memoria di Leonardo, fornendogli allo stesso tempo una rapida sintesi delle piú importanti teorie antiche e medievali su tematiche dominanti nei suoi primi fogli anatomici: la circolazione degli umori, la generazione umana, il coito e il concepimento, il rapporto tra l’anima e il corpo nei loro reciproci movimenti. Le dottrine sintetizzate o confutate da Dante (il De animalibus e De generatione animalium di Aristotele, attraverso gli interpreti medievali: Avicenna, Bartolomeo Anglico, il De animalibus di Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, il De informatione corporis in utero matris di Egidio Romano) erano a loro volta esposte nel commento alla Commedia piú vicino a Leonardo, per contesto culturale e tempo di pubblicazione: il Comento sopra la Comedia di Cristoforo Landino uscito a Firenze il 30 agosto 1481, per i tipi di Nicolò Tedesco, e presentato pubblicamente alla Signoria con un’orazione ufficiale dell’autore.15 È una splendida edizione, corredata di tavole incise su rame da Baccio Baldini ma ricavate da disegni di Botticelli, che Leonardo può aver visto alla vigilia della sua partenza da Firenze o portato con sé a Milano, e il cui fondamentale proemio, con la laudatio della città di Firenze e dei suoi uomini illustri, si distende, per la prima volta da parte di un umanista, anche nella lode dei Fiorentini eccellenti in pittura e scultura; una storia dell’arte moderna in chiave fiorentinocentrica, che accompagnerà Leonardo nel suo passaggio a Milano, e tornerà frequentemente alla sua memoria.16 Landino è inoltre il solo commentatore della Commedia prima di Vellutello a citare Galeno, il cui De usu partium è la fonte del memorabile sintagma dantesco «sangue perfetto».

Indipendentemente dalle fonti medico-filosofiche, il rapporto per cosí dire genetico tra Dante e Leonardo si avverte anche nel registro della meraviglia, dello stupore nei confronti dei processi naturali che la sperientia illumina per la prima volta.17 Lo stesso luogo del Convivio in cui si trattava della dottrina de generatione (ripresa poi in Purg., XXV) si concludeva con un’esclamazione ripresa dalla lettera di san Paolo ai Romani (11 33): «O altezza de le divizie de la sapienza di Dio, come sono incomprensibili li tuoi giudicii e investigabili le tue vie» (Conv., IV 21 6). Lo stile enfatico della “meraviglia” caratterizza i testi vinciani che raccontano le “scoperte”, e che per questo presentano spesso l’uso della prima persona, che accresce il valore della sperientia, e dà alle osservazioni il carattere della certificazione per testimonianza diretta, riservata di solito a eventi nuovi o mirabili. Si tratta di un elemento tipico della letteratura popolare alla fine del Medioevo, riscontrabile in particolare nella letteratura esemplare, nella novellistica, nella predicazione, e anche nella letteratura di viaggio: un elemento presente già nelle piú antiche scritture vinciane, come il celebre brano della caverna, anch’esso intessuto di echi danteschi. In piú, per Leonardo, la dichiarazione della “scoperta” introduce il rapporto oppositivo con l’auctor (Avicenna, Mondino) e con la precedente tradizione scritta, di cui sono rilevati gli errori (per erata = ‘per errata’): un segno che, nel tempo, è cambiato il suo rapporto con gli altori anche nel campo della medicina.

Agli inizi, su questo scaffale Leonardo non aveva quasi nulla (il Fasciculus medicinae del 1491 e poi il Fasciculo de medicina volgarizzato del 1494, la Cyrurgia di Guy de Chauliac e gli opuscoli igienico-dietetici di Ugo Benzi, Tractato circa la conservatione de la sanitade, e del Libro tertio de lo Almansore chiamato Cibaldone), ed era naturale per lui ricorrere a Dante (Commedia e Convivio) o a Plinio il Vecchio. Nel 1503, nell’elenco del Codice di Madrid II, registriamo invece la presenza del Tractatus de urinarum iudiciis di Bartolomeo Montagnana, del De natura humana di Antonio Zeno, e degli Anatomice sive historia corporis humani libri v di Alessandro Benedetto.

Il progresso piú significativo si avrà all’epoca delle anatomie compiute presso l’ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, tra 1506 e 1508, e poi a Milano, tra 1508 e 1511, grazie alla collaborazione con un giovane medico anatomista di Pavia studioso di Galeno, Marcantonio Della Torre.18 Tramite Della Torre Leonardo viene a conoscenza della teleologia positiva del De usu partium e del De motu musculorum di Galeno (autore poco conosciuto prima del 1509), e allo stesso tempo supera Mondino, non risparmiandogli critiche.19 In questo nuovo fervore di studi e di letture compaiono citazioni dal Canone di Avicenna e dal Conciliator di Pietro d’Abano.20 E sul foglio dove compone il proemio ai suoi libri di anatomia appunta anche il proposito di far tradurre Avicenna («fa tradurre Avicenna de’ giovamenti») e due nomi di anatomisti della scuola bolognese, «Zerbe e Agnol Benedetto», cioè Gabriele Zerbi autore del Liber anathomie corporis humani et singulorum membrorum illius (Venezia 1502), e Angelo Benedetto zio di Alessandro Benedetto.21

Non cambia però il suo modo di raccontare l’esperienza anatomica, cosí diverso dai trattati contemporanei, e cosí legato all’immaginario poetico e letterario. Colpisce in particolare il resoconto dell’anatomia di un vecchio di oltre cento anni, che, prima di morire, espone personalmente a Leonardo il suo stato di salute, e che poche ore dopo, seduto sulla sponda del letto, spira senza alcuna sofferenza, in quella che è definita una «dolce morte». Il vecchio, che è come una pianta inaridita che si spegne per mancanza naturale di umore vitale, può richiamare le immagini dantesche dell’uomo-albero e dell’uomo-pianta disseccato dell’umore vitale, presenti nel XIII dell’Inferno e nel XXIII del Purgatorio. Sono frequenti le espressioni e le similitudini tratte dal mondo naturale: l’attorcigliarsi delle vene «a uso di biscia», il disseccarsi del fegato «a modo di crusca congelata», le analogie con la meliga o saggina, le castagne, i tartufi, la loppa o marogna di ferro, la legna, la castagna secca, i pomaranci dalla scorza grossa.22

La causa della «dolce morte», riscontrata nella dissezione, è provocata dal mancamento naturale del flusso vitale, per il restringimento graduale dei vasi sanguigni. Ma, anche in questo caso, l’idea della «dolce morte» come passaggio naturale oltre il «termine» della vita richiama un passo dantesco del Convivio, in cui la nozione di «naturale morte» è associata piú volte all’isotopia della dolcezza («con tutta soavitade e con tutta pace») e alla similitudine botanica del pomo maturo che si stacca dal ramo «sanza violenza» (Conv., IV 28 3-4).

Resta comunque fondamentale la scrittura dell’io. In un altro testo contemporaneo, concepito come uno dei possibili proemi del trattato di anatomia, Leonardo sembra rispondere a un’obiezione di uno “scolare” che assiste alle lezioni di anatomia, e che, appunto, affermerebbe che la visione diretta della dissezione è comunque e sempre superiore a qualunque tentativo di rappresentazione, sia con il disegno che con la parola. L’obiezione coglierebbe nel segno, se fosse possibile, nel corso dell’anatomia, avere una conoscenza globale e sintetica di tutte le parti, mentre nella realtà a stento non si riesce a riconoscere che poche vene. A questo punto inizia il racconto in prima persona, in cui Leonardo cerca di rendere, con l’uso del gerundio e del superlativo («destruggendo ogni altri membri, consumando con minutissime particule tutta la carne»), il senso del faticoso lavoro di «scavo» nell’opacità fisica del corpo, tale da dover essere ripetuto piú volte, fino a disfare «piú di dieci corpi umani».23

Il carattere primario dei fogli di anatomia di Leonardo risiede nel loro essere testimonianza personale della sperientia compiuta sul corpo umano e basata sul “vedere”, per cui il rapporto tra parola e immagine acquista un valore fondamentale. I proemi per il progettato trattato di anatomia sono quindi collegabili ai testi del Paragone (a partire dalla loro prima redazione nel Codice A, intorno al 1490-1492) che affermavano il primato della pittura sulle altre discipline intellettuali. La parola, da sola, non basta: è necessario «figurare e descrivere»:24

E tu, che vogli con parole dimostrare la figura dell’omo con tutti li aspetti della sua membrificazione, removi da te tale openione, perché, quanto piú minutamente descriverai, tanto piú confonderai la mente del lettore e piú lo removerai dalla cognizione della cosa descritta. Adunque è necessario figurare e descrivere.

Per l’anatomia si tratta di un problema basilare di comunicazione. L’utilizzazione simultanea di linguaggi consente allo scienziatoanatomista la piú fedele rappresentazione della realtà, colta nel difficile processo di smontaggio e rimontaggio dei pezzi della macchina umana. È una forma di dialogo scolastico, tra Leonardo che si fa maestro e altore, e il discepolo, lo scolare, l’avversario, l’antico auctor da confutare, o infine la turba di studenti distratti e frettolosamente “abbreviatori”.

In questi tardi fogli ritroviamo tutta la dialettica tra «figurare» e «descrivere» che era già nei primi studi anatomici, dove la prevalente preoccupazione per l’ordinamento della materia del «libro» portava alla composizione di lunghe liste di soggetti da affrontare, sempre nella duplice modalità del disegno e della scrittura.25 In un altro elenco del 1489 intitolato «dell’ordine del libro» appariva ancora predominante lo spazio della «descrizione», cioè del testo verbale, accanto al proposito di raccogliere le «figure» in quattro «storie», cioè probabilmente quattro grandi tavole in cui sarebbero state esemplificate le diverse categorie di espressione e movimento del corpo umano corrispondenti ai «moti mentali», secondo una casistica simile ai Problemata di Aristotele. Sullo stesso foglio, dopo il 1506, Leonardo aggiungerà un nuovo promemoria, in cui si nota il radicale cambiamento dell’ordinamento della materia, basato ora quasi esclusivamente sulle «figure», cioè sulle tavole anatomiche vere e proprie, raccolte insieme per dimostrare la «figura strumentale dell’omo».26

In generale, nei fogli anatomici dominati dal disegno la funzione del testo si riduce allora alla tipologia del breve appunto di servizio, finalizzato all’esecuzione di nuovi disegni e testi («figura» e «descrivi»). Eppure, la metodologia della ricerca di base Leonardo l’aveva appresa non sulla fredda tavola marmorea dell’anatomista, ma sul banco di legno dello scrittoio, in un ambiente fatto di libri e di parole. Lo dimostra un appunto che accosta la tecnica della «dimostrazione» anatomica alla pratica dei «buoni gramatici», e alla «dirivatione de vocavoli latini», approfondita nel Codice Trivulziano. Il singolo muscolo, con tutti i suoi possibili movimenti, è come una “parola” (la «parola del corpo») che si combina alle altre nel rapporto sintetico della langue:27

In questa dimostratione basta figurare solamente 9 spondili de quali 7 ne va nel collo.

Questa dimostrazione è tanto necessaria a’ buoni disegnatori quanto alli buoni gramatici la dirivatione de’ vocavoli latini perché male farà li muscoli delle figure nelli movimenti e attioni di tal figure chi non sa quali sieno li muscoli che son causa delli lor movimenti.

Sono queste le “parole” con cui parla il corpo, costruendo armoniosamente la sua “grammatica”. Di queste “parole” doveva essere fatto anche il libro di anatomia pensato da Leonardo intorno al 1509. Il grande libro che viene ormai immaginato come un’edizione della cosmografia di Tolomeo, con quindici grandi tavole che avrebbero dovuto presentare visivamente il corpo umano (microcosmo o «mondo minore»), come si dice nel proemio intitolato Ordine del libro:

Adunque qui con quindici figure intere ti sarà mostro la cosmografia del minor mondo, col medesimo ordine che innanti a me fu fatto da Tolomeo nella sua cosmografia; e cosí dividerò poi quelle membra come lui divise il tutto in province.28

E ancora: «qui si farà l’albero delle vene in generale siccome fe’ Tolomeo l’universale nella sua Cosmografia».29 Un libro che, anticipando con le sue cartografie l’atlante anatomico di Vesalio, sarebbe stato anche un racconto in prima persona, un giornale di bordo di un viaggio di esplorazione del microcosmo parallelo a quelli di Colombo e Vasco de Gama.