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Clois, Francia nord-occidentale

8 maggio 1233, tra l’ora sesta e la nona

Per i primi istanti rimase paralizzata, con il cuore in gola che a malapena le consentiva di respirare. Avrebbe voluto urlare, ma il terrore la bloccò.

L’armadio puzzava di materie chimiche. Alex ne tastò le pareti pregando di sentirle svanire, ma il legno rimaneva orribilmente tangibile. Si guardò addosso e scoprì di essere vestita come il suo avatar. Aveva persino i capelli raccolti sotto il berretto.

Qualsiasi cosa fosse successa, il gioco era diventato vero. Tutto intorno a lei aveva perso quella leggera patina di artificiosità, tipica delle ricostruzioni 3D, per acquistare tratti reali.

No, non è possibile! Non ci credo! pensò Alex.

Un rumore, fuori, le ricordò che non era sola. Che un uomo era stato sgozzato a due metri da lei. L’idea le piantò un milione di aghi di ghiaccio sulla pelle.

Se l’assassino l’avesse scoperta dentro l’armadio…

Temendo di fare anche il minimo rumore, Alex accostò l’occhio alla serratura e di nuovo sbirciò fuori, cercando di controllare il tremito in tutto il corpo.

Lo speziale non si muoveva più, steso in una pozza viscida e rossa. L’assassino si era chinato sul cadavere per ripulire la lama del coltello sul suo vestito. Quando finì, armeggiò con la lampada sul tavolo. Ne aprì il serbatoio, ne sparse il contenuto sulle carte e sui libri e vi diede fuoco. Aspettò che si riducessero in cenere e infine uscì.

Alex si fiondò fuori dall’armadio, incapace di rimanervi chiusa dentro anche solo per un secondo in più. Si trovò davanti ai piedi il cadavere e vacillò, senza trovare il coraggio di scavalcarlo per tornare alla finestra da cui era salita. La pozza di sangue si allargava lenta, le sfiorava quasi gli stivaletti di cuoio. Alex fece un passo indietro e urtò le ante dell’armadio, provocando un rumore sordo. Il contatto inaspettato sulla schiena le strappò un mezzo grido. Subito dopo la porta si spalancò e ricomparve l’assassino, attirato dal rumore.

L’uomo la guardò, sbalordito. «E tu chi diavolo sei?» Estrasse il pugnale e si slanciò in avanti. Strillando, Alex corse alla finestrella tra i due armadi. Guardò giù e vide la tettoia dell’edificio adiacente. Scavalcò il davanzale e saltò, appena in tempo per sfuggire alla mano tesa dell’assassino che le sfiorò il cappuccio blu sventolante sopra il berretto.

Cadde in piedi e sentì una fitta lancinante alle caviglie. Subito dopo la copertura in legno della tettoia si sfaldò sotto i suoi stivaletti e lei scivolò verso l’orlo. Finì su un fianco e riuscì a girarsi appena in tempo per piantare le unghie sullo spiovente e non finire di sotto, ma anche l’assassino aveva scavalcato il davanzale e adesso scendeva verso di lei, tenendosi chino sulle gambe per non scivolare. Aveva sempre il pugnale in mano.

Alex gattonò lungo la tettoia, si piantò schegge dappertutto, ma riuscì di nuovo a sfuggire all’uomo e a rimettersi in piedi. Senza nemmeno sapere come, mantenne l’equilibrio abbastanza da correre via. L’assassino imprecò, ma affondò con un piede nella tettoia e dovette perdere tempo a liberarsi. Alex guadagnò qualche metro di vantaggio.

Non guardare giù! Non guardare giù! si ripeté, col cuore in gola. La tettoia stava per finire. Al di là di un vicolo, ne cominciava un’altra simile. Alex prese la rincorsa e saltò.

Troppo corto. Mancò la tettoia coi piedi, sbatté con le ginocchia e i gomiti e scivolò verso il basso. Non trovò appigli ma solo il vuoto.

Piombò in mezzo a una pila di ceste di verdura, metà delle quali le crollò addosso, ricoprendola. L’urto la fece quasi svenire. Tutto cominciò a sobbalzare intorno a lei, in un caos di grida e rumori ai quali si mischiarono il cigolio di ruote di legno e il nitrito di un cavallo. Alex cercò di aggrapparsi a qualcosa per non essere sbalzata fuori da quella cosa in movimento in cui era caduta di peso, affogando tra verdure di ogni genere. Quando buona parte degli ortaggi rotolò via, scoprì di essere dentro un carretto che viaggiava alla massima velocità per la strada sconnessa.

Marc non credeva ai suoi occhi. Qualcuno, balzato giù da una tettoia, gli aveva appena rubato il cavallo, insieme al carretto di un mercante di verdure.

Era stato tutto così improvviso da non consentirgli la minima reazione. Stava comprando alcune carote per Cimbre e aveva fatto appena in tempo ad alzare gli occhi in alto quando aveva udito il rumore sulla tettoia sotto la quale sostava il mercante. Un attimo dopo il carretto era in corsa senza controllo per la strada, con Cimbre ancora legato a una delle sponde. Marc, seduto a terra nella polvere, non aveva potuto fare altro che guardare la scena di panico tra la folla del mercato e la scia di verdure rimasta sul terreno.

Scattò in piedi snocciolando tutte le imprecazioni che conosceva. Il mercante strillava per i suoi beni perduti e indicava ora la direzione in cui il carretto era scomparso, ora Marc che era il padrone dell’altro cavallo rubato; dall’angolo della strada stavano arrivando alcuni uomini armati, vestiti con mantelli scuri. Non ci sarebbe voluto molto prima che qualcuno andasse a chiamare le guardie del villaggio.

Se mi riconoscono, mio padre mi rispedisce in monastero e stavolta per prendere i voti, pensò Marc in un lampo. Ignorò il mercante che continuava a chiamarlo in causa e sgusciò via di corsa tra la gente, prima che qualcuno potesse fermarlo. Svoltò in una strada laterale, la percorse tutta e girò in un altro vicolo. Nemmeno quando fu certo di aver fatto perdere le proprie tracce smise di correre e proseguì per una scorciatoia conosciuta, che portava allo spiazzo dietro la chiesa del villaggio.

La strada imboccata dal carretto sfociava nello stesso punto, ma con una curva ampia che gli avrebbe dato un vantaggio prezioso. Anche se gli animali correvano più veloci, lui poteva arrivare alla chiesa quasi in contemporanea con il ladro, prima che da lì potesse imboccare la via che portava fuori dal villaggio e dileguarsi nei boschi.

Contava molto anche sull’intelligenza di Cimbre: non avrebbe mai sopportato che qualcuno diverso dal suo padrone lo cavalcasse e una volta superato il primo momento di terrore, avrebbe di sicuro cercato di liberarsi, per raggiungere un luogo familiare.

Marc era quasi certo di poter riavere il suo cavallo all’abbeveratoio dietro la chiesa.

Alex lanciò un grido, quando il carretto perse una ruota, sparpagliando dietro di sé le ultime ceste di verdura. Anche lei rotolò nella polvere e vi rimase bocconi, tossendo. Si ripulì gli occhi dalla terra e vide un cavallo scuro scappare trascinando i resti del carretto. Un secondo cavallo, color nocciola, strappò il nodo che lo legava alle sponde e rimase a scalpitare nello spiazzo che si apriva tutto intorno. Un fischio deciso lo richiamò quasi subito. Alex sentì una voce maschile, ma era troppo confusa per capire cosa diceva. Qualcuno si avvicinò a passi decisi, poi ci fu il suono metallico di una lama estratta dal fodero. Alex riuscì a girarsi sulla schiena e in controluce vide un uomo incappucciato che le puntava una spada in faccia.

«Ladro maledetto, mi hai rubato il cavallo!»

Alex alzò le braccia in un inutile gesto di difesa. «Non mi uccidere! Non volevo, ti giuro non volevo!»

Lo sconosciuto sembrò preso in contropiede. «Ma sei solo un ragazzino! Straniero per giunta!» esclamò. «Fatti vedere» ordinò poi.

Alex abbassò le braccia un po’ alla volta, sempre sotto la minaccia della spada: davanti a lei non c’era un uomo ma un ragazzo alto, di poco più vecchio. Aveva il volto nascosto nell’ombra del cappuccio, ma la sua spada era sicuramente pericolosa e lui sembrava ben preparato a usarla.

«Non mi uccidere, ti prego» ripeté Alex.

Lui scrutò la sua faccia sporca di polvere, il berretto messo di sghimbescio e la frangia scura e arruffata. «Sei poco più di un bambino, non hai nemmeno la barba e pretendi di fare il ladro. Di rubare il cavallo a me! Dovrei portarti personalmente dal boia, così ti passerebbe la voglia di diventare un ladro adulto.»

Vedendo la spada diretta al suo naso, Alex si coprì di nuovo la testa con le mani. «Io non volevo rubare è stato un incidente! Non sono un ladro! Non farmi male!»

«Un incidente! Sei anche bugiardo oltre che ladro.»

«È la verità! Il tetto era ripido e io…»

«Sei caduto come un uccellino! Guarda caso proprio sul carro del mercante.»

«Ma è vero! Non farmi del male!» Alex si rannicchiò più che poté, aspettandosi da un istante all’altro di sentire addosso quella lama affilata. Ce l’aveva già a pochi centimetri dalla pelle.

Il ragazzo fece una smorfia, rifletté a lungo, e infine abbassò la spada. «Forse hai ragione: non sei un ladro vero. Con il coraggio che hai, non saresti capace nemmeno di rubare una gallina che si è persa.» Lanciò un secondo fischio e il suo cavallo lo raggiunse, scuotendo la criniera bionda. «Vattene e ringrazia il cielo che ho pietà di un marmocchio come te.»

Alex lo sbirciò, cauta, da sotto le braccia alzate, e lo vide montare in sella. Con incredulità, capì che l’avrebbe lasciata andare.

«Ti conviene sparire in fretta» consigliò lui. «Loro non saranno clementi quanto me. Corri, se non vuoi conoscere davvero lo staffile del boia.»

Un nutrito gruppo di persone era in arrivo dalla strada ampia. Vociavano. Alcuni brandivano bastoni. Alex capì che venivano per lei, per lo scompiglio causato al mercato e per punire il ladro. In mezzo a loro poteva esserci anche l’assassino dello speziale.

Balzò in piedi. Il cavallo nocciola era già lontano, insieme al suo padrone. Guardò di nuovo la gente, che si avvicinava quasi di corsa.

No, è assurdo! Questa partita deve finire!

«Esci dal gioco!» ordinò ad alta voce.

Nulla accadde.

«Chiudi partita! Uscita di emergenza!» ordinò Alex tutto d’un fiato.

La folla si avvicinava. Ormai anche mettersi a correre non sarebbe servito a granché.

«Help!» chiamò Alex.

Niente.

«Help!» strillò Alex con tutta la voce che le era rimasta.

Marc si voltò indietro. Conosceva la lingua degli inglesi fin da quando era bambino e capì che il ladruncolo strillava “aiuto”. Con incredulità, lo vide ancora fermo impalato nello spiazzo. Ormai la folla l’aveva quasi raggiunto.

«Che razza di idiota» imprecò a mezza voce. Esitò ancora un attimo e poi prese una decisione d’istinto, come gli capitava fin troppo spesso. Tornò indietro al galoppo. Raggiunse il ladruncolo e gli afferrò la casacca da dietro. «Salta su, imbecille!»

L’altro provò a montare in groppa a Cimbre, ma non ci riuscì. Marc lo issò più o meno di peso e se lo gettò di traverso sulla sella come un sacco di farina, appena prima che un paesano tarchiato e armato di bastone riuscisse ad agguantarlo. «Via di qua!»

Cimbre balzò in avanti e si allontanò al galoppo, sottraendo i due dalle mani della folla.