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«Tu sei un vero imbecille!»

Alex venne buttata giù dalla sella come un fardello sgradito. Guaì, ma rimase seduta nell’erba, senza il fiato per poter articolare anche solo una parola.

Erano nel folto dei boschi, soli. Gli inseguitori erano rimasti nel villaggio.

«Non sei bravo a rubare, non sei bravo nemmeno a scappare. Se non ci fossi stato io, a quest’ora saresti alla gogna sulla piazza» rincarò il suo salvatore, smontando per alleggerire il cavallo, ansante dopo la corsa sfrenata.

Alex non gli rispose, troppo sconvolta per ascoltarlo davvero. Si piegò su se stessa come un animale ferito. Aveva lividi dappertutto e le mani sanguinanti.

Il ragazzo continuava a brontolare. «Vorrei sapere chi me l’ha fatto fare. Ho rischiato il collo per te dopo che hai tentato di portarmi via il cavallo. Mi hai fatto pena, ecco la verità. Così giovane e così incapace non puoi essere un ladro vero e quelli chissà cosa ti avrebbero fatto.»

Alex teneva gli occhi bassi, realizzando poco a poco la realtà: Hyperversum Next l’aveva inghiottita nel suo mondo e non le rispondeva più. Aveva provato tutti i comandi che conosceva, ma nessuno le aveva aperto una via di uscita.

«Che cosa ho fatto…» gemette, con un filo di voce.

Aveva acceso il vecchio computer senza permesso e si era messa in un guaio inimmaginabile. «Papà mi ucciderà…» aggiunse, pur sapendo che, in quel momento, quello era l’ultimo dei suoi problemi.

«Mio padre mi spella vivo, stavolta» borbottò il ragazzo in contemporanea, sbirciando verso il villaggio di Clois.

Si guardarono dopo aver capito l’uno la frase dell’altra, pronunciate una in inglese e una in francese. Il ragazzo scrutò Alex negli occhi dilatati. «Tu hai l’aria di chi è appena uscito da un guaio enorme, altro che cadere da una tettoia per un incidente» disse infine e pareva aver perso la voglia di recriminare.

Lei lo fissava, smarrita. Ora che poteva osservare bene cavallo e cavaliere, si rese conto di averli intravisti nel gioco quando ancora Hyperversum Next funzionava come doveva. «Ma tu sei vero?» sussurrò, ritornando al francese per parlare a quel PNG, nel vano tentativo di dare un senso all’assurdità della situazione.

«E cosa dovrei essere, un fantasma?» sbottò lui e si abbassò il cappuccio scuro dalla testa. «Tu sei proprio strambo.»

Alex trattenne a malapena un’esclamazione. Conosceva quegli occhi azzurri e quel viso finalmente libero dall’ombra, eppure non credeva a ciò che vedeva: il ragazzo aveva lo stesso viso di zio Ian, come avrebbe potuto essere quando aveva vent’anni.

«Che c’è?» domandò lui davanti alla sua faccia esterrefatta. «Mi conosci?» chiese subito dopo, sul chi vive.

Alex scosse la testa, incapace di trovare le parole.

«E allora perché mi guardi così?»

«Conosco qualcuno… che ti somiglia.»

«Chi?»

Alex sillabò il nome in un soffio, trepidante. «Ian… Maayrkas.»

«Non so chi sia.» Lui si rilassò in modo palese.

Alex guardò di nuovo a terra. Che idiota. Di che si illudeva? Come poteva avere a che fare con Ian uno che viveva dentro Hyperversum Next?

Vivere dentro Hyperversum Next… la cosa sembrava sempre più folle man mano che ci meditava sopra. Eppure, che alternativa poteva esserci?

Alex rialzo gli occhi. «Che giorno è oggi?»

«Saint Hubert» rispose il ragazzo, sorpreso dal cambio di argomento. «Domenica» aggiunse, davanti alla faccia ancora interrogativa di Alex.

Lei scosse la testa. «No, che numero, che mese?»

«8 maggio.»

«E di che anno?»

«1233 dopo la nascita di Nostro Signore, che anno dovrebbe essere? Possibile che tu non lo sappia?» L’altro allargò le braccia. «Tu hai davvero sbattuto la testa, quando sei caduto.»

Alex cominciava invece a considerare la situazione da un punto di vista diverso: la data corrispondeva ancora a quella impostata prima di iniziare a giocare, possibile che non fosse più una partita di Hyperversum Next?

Un vero salto nel tempo?

L’idea l’aveva sfiorata proprio all’inizio della partita.

Se quel luogo era davvero la Francia medievale, anche la somiglianza di quel ragazzo con Ian poteva avere senso. Maayrkas era un cognome di origine nordeuropea: magari il ragazzo era un avo di Ian…

Ma dai! Alex si portò le mani alla fronte, sentendo la testa scoppiare.

Però, in fondo, un’ipotesi o l’altra che differenza faceva? Storico o inventato che fosse quel mondo tangibile ed estraneo lì intorno, lei era sola, intrappolata senza sapere come tornare indietro.

Papà, vieni a prendermi! pregò Alex, chiudendo gli occhi per un attimo.

«Comunque, adesso sei in salvo. Non ti prendono più, se te ne vai da qui in fretta, e adesso anch’io devo andare» disse il ragazzo e riprese le redini del suo cavallo. «Sta’ lontano dai guai, d’ora in poi.»

Alex trasalì. «No! Non lasciarmi qui!» Non voleva che lui se ne andasse. Aveva bisogno di aggrapparsi alla somiglianza che lo accomunava con Ian, per non cedere alla disperazione. Era sola in un mondo assurdo. Dove sarebbe andata? Come avrebbe fatto a sopravvivere? Persino il bosco verdeggiante le sembrava minaccioso, benché fosse ancora pieno giorno e le fronde fossero animate solo dal cinguettio degli uccelli. Aveva bisogno di aiuto, di un volto familiare e amico. Doveva sperare che quel giovane sosia di Ian Maayrkas l’avrebbe aiutata come lo zio aveva fatto tante volte, oppure sarebbe impazzita davvero.

Si protese sulle ginocchia. «Non lasciarmi qui da sol…» Si corresse all’ultimo istante: «… da solo. Non lasciarmi qui da solo!».

L’istinto le suggerì di continuare l’equivoco che si era creato fin dal primo momento. Quel ragazzo la credeva un maschio e rimaneva comunque uno sconosciuto, anche se tanto simile a una persona amata. Aveva bisogno di lui e allo stesso tempo ne aveva paura.

«Che ti prende, adesso?» domandò lui. «Non posso farti da balia. Ti ho già salvato la pelle, che altro vuoi? Tornatene a casa, è meglio.»

«Io non so dove andare» confessò Alex. «Non so come tornare a casa.»

Il ragazzo aggrottò la fronte. «Come sarebbe?»

Alex rifletté in fretta: come spiegare la situazione senza sembrare fuori di testa? «Mi sono perso. Non so com’è successo… Non lo ricordo. All’improvviso mi sono ritrovato da solo.»

«E non ricordi come!»

«Lo giuro: non so come ho fatto a finire qui!» Alex non ebbe bisogno di fingere angoscia, ma quel ragazzo avrebbe mai potuto credere a una spiegazione un po’ troppo comoda come un’amnesia? E d’altra parte, lei cosa avrebbe potuto inventarsi di più plausibile in quel momento? «Non mi ricordo niente» insisté.

«Adesso dimmi che non ricordi nemmeno come sei finito su quel tetto.»

«No, quello lo ricordo… Ero solo, te l’ho detto, ho avuto paura… Era notte e ho vagato per le strade» Alex inventava a ruota libera e il francese le veniva più fluente man mano. «Mi sono rifugiato in una casa, ma stamattina mi hanno scoperto mentre dormivo dentro un armadio.»

Rabbrividì al ricordo di ciò che aveva visto mentre era davvero nell’armadio. Aveva stampata nella memoria l’espressione feroce dell’uomo che aveva tentato di ucciderla. Chiuse gli occhi, imponendosi la calma. Non avrebbe raccontato l’omicidio a quel ragazzo, altrimenti lui l’avrebbe costretta ad andare dalle autorità a denunciarlo e lei non aveva alcuna intenzione di rimettere piede nel villaggio. Probabilmente l’assassino era ancora in giro a cercarla e lei voleva solo fuggire più lontano possibile.

«I padroni di quella casa hanno creduto che fossi un ladro» mentì, per continuare la sua storia. «Sono scappato dalla finestra, finito sulla tettoia e da lì sul carretto delle verdure.» Tacque e attese la reazione del suo interlocutore.

Lui rimase in silenzio a lungo, valutandola con occhi sospettosi. «Sei straniero, l’ho capito dall’accento» disse infine. «Parli anglosassone. Sei forse inglese?»

Dal tono della domanda, Alex capì che era meglio rispondere di no. Scosse la testa con energia. «Vengo da molto più lontano.»

Tanto lontano, pensò, ma invece continuò dicendo: «Ricordo molti giorni di nave per arrivare qui».

«Vieni da nord, comunque, magari dall’Irlanda. Uno strambo come te potrebbe davvero essere nato nel paese dei folletti e delle streghe dai capelli rossi.»

Alex si limitò a subire in silenzio quel tono di scherno.

«Se è vero che vieni da così lontano, non puoi aver fatto il viaggio da solo» osservò ancora il ragazzo. «Con chi sei venuto? Chi ti accompagnava?»

Alex si trincerò dietro la menzogna, poiché non aveva risposte plausibili da dare. «Non lo so. Non ricordo.»

Lui allargò le braccia con un gesto brusco. «Possibile che non ricordi niente! O meglio, ricordi solo quello che ti pare.»

«Mi dispiace, va bene?!» scattò Alex, esasperata. «Non è colpa mia se non ricordo niente! Puoi consumarti la lingua a forza di domande, ma io non so dirti più di così.» Si strinse le ginocchia al petto e vi appoggiò sopra la fronte. «Mi dispiace» ripeté, ormai sull’orlo di una vera crisi di nervi. Non sapeva più cosa inventare. Non c’era speranza che quel ragazzo volesse aiutarla.

Lui invece meditava in silenzio. «Una volta ho sentito dire da un medico che un colpo alla testa può far dimenticare il passato» borbottò infine.

Alex rialzò la testa, trattenendo il fiato.

«Non puoi essere così bravo a fingere. Sei davvero spaventato a morte» proseguì il ragazzo. «Sono quasi tentato di crederti.»

«Sto dicendo la verità, lo giuro» ribadì Alex, ma lui le scoccò un’occhiataccia.

«Tu giuri troppo spesso.»

Lei si morse le labbra.

Il ragazzo prese un lungo respiro. «Se tu non ricordi, chi ti accompagnava non avrà dimenticato. A quest’ora ti starà cercando.»

Alex sentì una stretta al cuore. Nessuno la stava ancora cercando, poiché sua madre era fuori casa con Gabe e suo padre lontano, all’estero. Cosa sarebbe successo quando avrebbero scoperto che lei era sparita? L’avrebbero cercata, sì, ma come potevano immaginarsi dov’era finita? Come avrebbero fatto a ritrovarla?

«Come ti chiami? Questo almeno lo ricordi?» proseguì il ragazzo.

«Alex…» rispose lei. «Alexander» si corresse al volo, sottolineando la parte finale e maschile del nome.

«Alexander: nientemeno! Un po’ troppo pretenzioso per il mucchietto di ossa che sei» commentò l’altro. «Ti chiamerò Alex e sarà più che sufficiente» decise, con la condiscendenza di chi sta dando il nome a un cucciolo trovato per strada. Poi, però, per la prima volta sorrise.

Alex si sentì rinascere: quel sorriso le diceva che aveva trovato un aiuto e, soprattutto, era così simile al sorriso di Ian da scaldarle il cuore. Si rifletteva addirittura negli occhi azzurri, spontaneo, e ispirava fiducia come non avrebbe mai osato sperare.

«Ti troverò un posto dove stare al sicuro finché qualcuno non verrà a riprenderti» continuò il ragazzo con aria magnanima. «La mia famiglia ti aiuterà. Mio padre e mio zio sono cavalieri importanti: sapranno risolvere il tuo problema, ne sono certo.»

Sembrava sincero e forse era anche incuriosito dalla strana faccenda. Forse, nonostante tutto, pensava di essersi imbattuto in un mistero eccitante. «Ti accompagnerò ad Auxi-le-Château» annunciò. «Ci arriveremo domani mattina e là non dovrai più temere niente.»

Per la prima volta da quando era iniziato l’incubo, Alex provò sollievo, e anche gratitudine per quello che era diventato il suo primo soccorritore: grazie a lui, adesso poteva almeno contare su un luogo sicuro finché qualcuno non fosse andato a cercarla.

Non sapeva come, ma suo padre l’avrebbe ritrovata prima o poi, doveva solo aspettarlo e sopravvivere fino ad allora: era una speranza a cui si aggrappò come a un salvagente in un mare in tempesta. Chiuse fuori dalla testa tutte le ipotesi alternative, perché non poteva tollerarle.

«Grazie» disse. «Grazie, grazie, grazie.»

L’altro continuò a sorriderle, indulgente. «Mi chiamo Marc e per ora ti deve bastare sapere che sono scudiero e di famiglia nobile. Ti do la mia parola d’onore che farò tutto ciò che posso per tenerti in salvo finché non potrai ritornare a casa.»

Alex si rialzò in piedi, asciugandosi gli occhi umidi. «Grazie» ripeté piano. Non le veniva altro che quella parola.

Il ragazzo montò a cavallo e le fece cenno di avvicinarsi. «Andiamo» esortò con la mano tesa per aiutarla a salire. «Abbiamo molta strada da percorrere e una notte da passare nel bosco, prima di arrivare alla meta, e io non posso arrivare tardi a un torneo.»