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Quando si svegliò, prima di riaprire gli occhi, Alex pregò che fosse stato solo un incubo. Si sarebbe ritrovata nel suo letto, nella sua camera, e avrebbe dovuto alzarsi per andare a scuola. Persino la prospettiva dell’interrogazione di fisica, per la quale non aveva finito di studiare, era niente in confronto a ciò che avrebbe potuto trovarsi davanti se tutte le sue speranze fossero andate deluse.

Purtroppo, ben presto percepì il terreno duro sotto il fianco, l’odore di cenere e muschio e il frusciare degli alberi sopra la sua testa. Quando si rassegnò ad aprire gli occhi, vide il bosco illuminato dal sole caldo del primo mattino, il fuoco spento nel cerchio di pietre e lo scintillio del fiume oltre i cespugli.

Si sollevò seduta con tutti gli arti indolenziti. Era ancora vestita, aveva il berretto calcato sulla testa e una coperta grezza sulle spalle. Marc aveva diviso con lei il suo equipaggiamento e le aveva dato la coperta prima di dormire. L’altra, quella che aveva usato lui, era ripiegata alla bene e meglio lì vicino. Vuota.

Alex si guardò intorno con allarme.

Dov’è andato? fu il suo primo pensiero, subito dopo, però, vide Cimbre pascolare tranquillo poco lontano e si rilassò. Finalmente notò sull’erba i vestiti e gli stivaletti di Marc. Alzò lo sguardo verso il fiume, mentre capiva. Quasi subito individuò il ragazzo nuotare nella corrente placida, con le bracciate pigre di chi si sta godendo un momento di relax.

Beato lui che è così spensierato. Alex si passò la mano sul viso esausto e poi vide che era ancora sporca di terra e polvere. Tutto il resto doveva essere in condizioni pietose, considerò, con il desiderio bruciante di farsi una doccia.

Guardò di nuovo Marc, lontano. Avrebbe avuto tempo di lavarsi un po’ anche lei prima che tornasse indietro. Prima però poteva anche rifare un tentativo con Hyperversum. Alzò la mano. «Help» chiamò. Nulla accadde.

E ti pareva?

Riprovò uno a uno tutti i comandi che conosceva, senza altro risultato che farsi osservare con curiosità da uno scoiattolo su un ramo, alla fine rinunciò, sentendosi stupida.

Tolse il berretto, lasciando che i capelli lunghi le ricadessero sulle spalle. Si alzò in piedi e raccolse il suo pezzo di coperta. Non aveva altro per asciugarsi e la scosse per liberarla dall’erba che vi era rimasta attaccata. Si diresse verso il fiume, trovò un luogo riparato dove Marc non avrebbe potuto vederla e si spogliò con cautela. L’acqua era gelida e le strappò un lamento di protesta.

Voglio tornare a casa! pensò, rabbrividendo, poi si fece coraggio e cominciò a strofinarsi con energia. Dopo qualche minuto si era quasi abituata alla bassa temperatura e cominciò persino a rilassarsi, godendosi almeno la sensazione di pulito. Di tanto in tanto controllava che Marc fosse ancora a distanza di assoluta sicurezza.

Si lavò coscienziosamente, si asciugò alla meglio e si rivestì, non senza aver cercato anche di togliere dagli abiti le macchie più evidenti. Se non altro, le mani avevano quasi smesso di farle male, dopo che il pomeriggio precedente aveva impiegato una vita a togliersi le schegge dalle dita.

Che vestiti assurdi, pensò, mentre allacciava l’ennesima stringa per la casacca e la camicia, dopo tutte quelle che tenevano su il resto, biancheria intima compresa. Aveva ancora qualche zona di stoffa bagnata attaccata alla pelle quando tornò al bivacco e si sedette, nascondendosi di nuovo i capelli sotto il berretto. Cimbre era lì accanto e la guardava con i suoi grandi occhi scuri e intelligenti.

«Tu non hai visto niente, d’accordo?» lo ammonì. «Il fatto che io sia una ragazza rimane un segreto tra me e te.»

Il cavallo scosse la criniera e riprese a brucare con calma. Alex rimase a meditare sulla situazione.

Il giorno prima aveva viaggiato fino al calar del sole insieme a Marc, improvvisatosi suo difensore. Lui conosceva bene la strada e i posti e da più di un discorso Alex aveva capito che si sentiva a casa sua, in un luogo dove nessuno poteva toccarlo. Doveva davvero essere un ragazzo di famiglia nobile e quindi potente: aveva il modo di fare di chi è abituato a un certo grado di autorità e di rispetto e allo stesso tempo era cortese e disinvolto.

Aveva detto di essere uno scudiero e Alex gli credeva: era troppo abituato a cavarsela nel bosco, a trovare il luogo adatto a bivaccare. La sera precedente era andato a caccia ed era tornato con una lepre. In quel breve lasso di tempo, Alex non era nemmeno riuscita a fare un cerchio di pietre decente per ospitare il falò o a raccogliere abbastanza rami secchi.

«E il fuoco?» le aveva domandato Marc, e lei si era sentita una totale incapace mentre il ragazzo si sedeva accanto al cerchio di pietre e in pochi minuti faceva guizzare le fiamme tra i rami.

Poi Marc aveva preparato la lepre per metterla allo spiedo. Alex era quasi svenuta nel vedere il povero animale scuoiato e aperto, ma la sua carne arrostita era buona e lei aveva una fame da lupo. Mentalmente, aveva chiesto scusa alla lepre e se n’era mangiata quasi la metà, accompagnandola con qualche frutto selvatico e con l’acqua di una borraccia.

Marc era di ottimo umore e aveva chiacchierato quasi tutto il tempo, divertendosi a fare il maestro che spiegava con pazienza al ragazzino inesperto tutto ciò che conosceva sul bosco. Lei lo aveva ascoltato senza perdere una parola, in parte per distrarsi dall’angoscia e in parte perché era affascinata da quel sorriso uguale a quello di Ian.

Sospirò. Sperava tanto che Marc fosse davvero affidabile come sembrava. Aveva bisogno di dargli tutta la sua fiducia e di non avere paura di lui, dato che era spaventata a morte da tutto il resto.

Anche solo la notte trascorsa nel bosco era stata piena di angosce e di rumori misteriosi. Non aveva chiuso occhio per molto tempo, mentre Marc si era addormentato come un sasso dall’altra parte del falò acceso. Lei invece aveva ascoltato il fruscio di ogni foglia, ogni cespuglio, e più di una volta aveva insultato con il pensiero il suo incosciente difensore, che dormiva beato sotto la coperta senza preoccuparsi delle belve feroci che si aggiravano nel buio, anzi senza nemmeno sentirne i rumori e le voci. Schiacciata dalla sensazione di minaccia perenne, si era infine risollevata a sedere per scrutare l’oscurità.

«Dove vai?»

Si era voltata di scatto e, alla luce del falò, aveva visto gli occhi di Marc, brillanti, vigili. Era sveglio, eppure lei non aveva fatto un suono.

«Ho sentito un rumore diverso dagli altri» gli aveva infine risposto, indicando il buio oltre gli alberi.

«È una volpe. È passata anche prima. Non ti farà niente.» Marc si era girato sull’altro fianco per riprendere sonno e Alex aveva visto la spada che teneva tra le braccia sotto la coperta, pronta all’uso. Aveva capito di averlo sottovalutato molto.

Era un vero scudiero e quindi addestrato a combattere. Stava riposando, ma tutt’altro che ignaro di ciò che gli accadeva intorno: nonostante l’apparenza, aveva i sensi all’erta ed era pronto a reagire.

Alex si era coricata di nuovo, guardandolo con rispetto e gratitudine. Si era sentita più al sicuro e più legata a quel ragazzo che era la sua unica protezione e alla fine era riuscita a dormire.

Un movimento vicino le fece rialzare la testa. Dai cespugli comparve Marc, che si strizzava i capelli neri con le mani. «Buongiorno. Era ora che ti svegliassi, scansafatiche! Io sono in piedi dall’alba» salutò con una smorfia ironica.

Alex deglutì a vuoto, vedendolo nudo. Provò l’istinto di andarsene, ma capì di non poterlo fare, se voleva continuare a interpretare la parte di un maschio. Finse di osservare il bosco, eppure non poté fare a meno di notare che quel ragazzo aveva un corpo davvero magnifico, con le spalle ampie, i fianchi stretti, le gambe lunghe, l’addome piatto e… Si augurò di non essere diventata rossa come un semaforo.

Marc si asciugò con la coperta lasciata sull’erba, la distese in un angolo di sole tra gli alberi e si sdraiò con un sospiro soddisfatto e gli occhi chiusi. «Il fiume era magnifico oggi. Avresti dovuto venire anche tu.»

«Non so nuotare» mentì Alex, terrorizzata dall’idea che lui le proponesse una nuotata insieme. «Mi sono lavato stando sulla riva.» Non sapeva più da che parte guardare.

Ma non ha freddo? Perché non si riveste, invece di perdere tempo a fare conversazione? protestò col pensiero.

Marc la sbirciò e le fece un sorrisetto. «Era ora che ti togliessi la polvere dal muso. Certo, adesso hai una faccia ancora più da bambino. Sarà bene che ti cresca la barba in fretta, perché così come sei sembri una femmina.»

«Sarai bello tu» brontolò Alex. Be’, a dir la verità, lui era davvero molto bello. Un po’ per ripicca e un po’ per soddisfazione, si concesse di dargli un’altra bella occhiata da capo a piedi.

Ignaro dei suoi pensieri, Marc rise e finalmente si allungò a prendere i vestiti. «Ho fatto i miei piani per quando arriveremo ad Auxi» annunciò, riemergendo con la testa dalla camicia. «Troverò uno scrivano e farò una lettera da presentare a mio padre, poi ti dirò a chi recapitarla e ti mostrerò la strada. Con un mio scritto in mano, ti accoglieranno al castello senza problemi.»

«Tu non vieni con me?» domandò Alex, ora allarmata. «Hai detto che al castello c’è tuo padre.»

«Proprio perché c’è lui non posso portarti di persona» replicò Marc con un sorriso che voleva essere disinvolto. «Fingeremo che io ti abbia incontrato al monastero di Saint Germain, dove in teoria dovrei rimanere fino a giovedì, e che là io ti abbia dato la lettera per metterti sotto la protezione della mia famiglia. Venerdì mi presenterò al castello anch’io e tutto andrà liscio.»

«Ma non puoi dire a tuo padre che hai deciso di tornare in anticipo dal monastero?»

«No, non glielo posso dire» replicò Marc con l’aria di chi sta spiegando una cosa ovvia a qualcuno duro di comprendonio. «Visto che mi ci ha mandato lui, non posso tornare e dirgli: “padre, ho pensato che il periodo di penitenza deciso da voi fosse troppo lungo, perciò rieccomi qui prima del previsto”.»

Alex capì. «Tuo padre ti ha mandato in monastero per punizione e tu non vuoi perderti il torneo.»

«E bravo, volpe: sto disubbidendo a mio padre e allora? Non mi dire che tu non l’hai mai fatto.»

Alex non rispose e guardò altrove.

«Vedrai che al castello ti tratteranno bene, non avrai di che lamentarti.»

«Non posso stare con te fino a venerdì? Al castello ci andiamo insieme.»

«E vuoi rimanere a dormire all’aperto per tre giorni? Io continuerò a bivaccare fuori dal castello.»

«Ma là non conosco nessuno!» implorò Alex, che non aveva alcuna voglia di trovarsi di nuovo in mezzo a degli sconosciuti.

Marc la guardò di sbieco. «Sei proprio un bambino: hai paura di rimanere da solo.»

Alex replicò con uno sguardo ancora più supplichevole.

«Va bene, intanto andiamo in città e poi vedremo il da farsi» cedette Marc. «Però, se vuoi stare con me, devi farti notare il meno possibile, hai capito?»

«Lo farò, giuro» si affrettò a dire Alex, dissimulando un sospiro di sollievo.

Il castello di Auxi-le-Château sembrava uscito da un’illustrazione fantasy, o almeno così parve ad Alex, che rimase a bocca aperta quando lo vide per la prima volta, dal limitare del bosco.

Era un maniero imponente e scuro, dalle alte torri rotonde su cui sventolavano decine di stendardi rossi a bande blu e oro. Le tre cinte di mura, una più alta dell’altra, si estendevano ampie nella piana erbosa e il ponte levatoio attraversava un fossato profondo ricolmo dell’acqua proveniente dal fiume vicino. Sulla torre più alta dominava lo stendardo azzurro con i gigli d’oro del re di Francia, stagliato contro il cielo sereno del mattino avanzato.

Appena fuori dal castello sorgeva un’immensa distesa di tende e padiglioni variopinti, affollati di gente, come un gigantesco circo sorto intorno a una spianata di terra battuta, circondata da un recinto e affiancata da una gradinata di legno.

Alex capì che quella era la lizza in cui si sarebbe svolto il torneo e ripensò al raduno fantasy a cui aveva partecipato a Phoenix. Quella pretesa rievocazione storica le sembrava infantile, ora che vedeva l’imponenza e la solennità di un torneo vero, di un vero castello.

Lo spazio intorno alla lizza era una sorta di città provvisoria nella quale si davano da fare mercanti, osti, giocolieri, cantastorie e venditori di ogni genere. I padiglioni dei cavalieri, appartati dalla folla, brulicavano di scudieri, servi e uomini in armi, esibendo ciascuno i propri colori araldici. L’eccitazione era palpabile anche da lontano.

Alex non poté dare torto a Marc per non aver voluto perdersi uno spettacolo simile e per un attimo anche lei dimenticò tutte le sue ansie.

«La regina Bianca è già qui, ma re Luigi arriverà soltanto domani, di ritorno dalla Provenza insieme alla contessa Margherita» spiegò Marc, indicando lo stendardo reale sulla torre. «Lo so perché mio zio mi aveva detto che Sua Maestà non avrebbe partecipato alla prima giornata di torneo.»

Alex annuì, ancora troppo impressionata dall’idea di poter vedere dei cavalieri autentici per pensare anche al re di Francia.

«Scendi» le disse Marc. «Arriveremo a piedi, ci faremo notare di meno, piuttosto che presentarci in due su un cavallo solo.»

«Ma di cosa hai paura?» domandò Alex. «Con tutta la gente che c’è là in mezzo, come vuoi che faccia tuo padre a notarti?»

Marc fece una smorfia. «Mio padre ha molti più occhi là in mezzo di quanto credi. Non voglio correre rischi, anzi, per precauzione, tieni questo.» Si levò il cappuccio scuro e lo tese ad Alex. «Dammi il tuo.»

«Esagerato» commentò Alex, stupita da tutti quei sotterfugi da agente segreto, ma obbedì e diede al suo accompagnatore il cappuccio blu con la mantellina smerlata.

«Dove hai preso questo cimelio?» domandò Marc con un’occhiata disgustata. «Fatto così, l’ho visto solo anni fa, addosso a un vecchio porcaro.»

«Se non ti piace, ridammelo» brontolò Alex, ma lui se l’era già infilato. «Per quello che deve fare, va più che bene» replicò. Si coprì i capelli e nascose il viso nell’ombra. «Ti chiederei di scambiarci anche la casacca, ma non mi starebbe e comunque sei vestito di grigio pure tu. Potresti darmi il berretto.»

«Scordatelo» tagliò corto Alex e si tirò anche lei il cappuccio sulla testa.

«Allora possiamo andare» decise Marc e si avviò tenendo Cimbre per le redini.