L’agglomerato del torneo li inghiottì come una smisurata festa campestre. Alex era frastornata dal via vai di gente, tra il clamore e il mescolarsi di tanti odori forti e inusuali: il legno grezzo e la terra battuta della lizza, il carbone e il ferro delle fucine dei fabbri e dei maniscalchi, il profumo delle carni arrostite alla brace, del vino schietto spillato dalle botti e delle erbe aromatiche usate per condire le pietanze.
La gente comune andava e veniva dai banchi dei mercanti, si affollava intorno ai menestrelli o sostava a mangiare presso gli osti. Ogni tanto tra la folla si faceva largo un paggio, aprendo la strada a un nobile, a una dama o a una coppia di ricchi coniugi. I bambini giocavano sfrenati tra le gambe dei passanti, rischiando più di una volta di far cadere qualcuno o di rovesciare le mercanzie.
«Attento a dove metti i piedi» protestò Marc verso un bimbetto, finito quasi sotto gli zoccoli di Cimbre per recuperare una trottola di legno, ma poi scosse la testa e rise quando il piccolo sgusciò via facendogli una boccaccia.
Alex notò invece più di uno sguardo indirizzato al bel cavallo di Marc e cominciò a sentirsi a disagio. «Secondo me, ti conviene parcheggiare Cimbre da qualche parte. Lo stanno notando in troppi.»
Marc si voltò con un sopracciglio sollevato. «Cosa devo fare?»
Alex si sentì una totale idiota.
«Non ho capito come parli, ma credi davvero che non abbia già pensato di mettere Cimbre al sicuro?» la prese in giro Marc. «È troppo riconoscibile ed è molto più visibile di me. Lo lascerò allo stalliere laggiù.» Indicò un’ampia costruzione di legno, davanti alla quale lavoravano due garzoni robusti. «Anzi, lo porterai tu. Ecco il denaro per pagare.» Tese ad Alex tre monete d’argento, prese dalla scarsella.
Alex sgranò gli occhi. «Che?!»
Marc le mise in mano anche le redini di Cimbre. «Assicurati che riceva acqua in abbondanza, fieno e qualche carota. Di’ ai garzoni che tornerai a riprenderlo al tramonto. Io ti aspetto qui.»
Alex guardò la stalla: era sulle spine all’idea di avere a che fare con gli sconosciuti là davanti, perché non era sicura di sapersi comportare nel modo giusto. «Perché non ci vai tu?»
«Perché devi renderti utile in qualcosa ed è meglio non rischiare che alla stalla qualcuno mi riconosca insieme a Cimbre. Su, cammina. Di’ allo stalliere che il tuo padrone desidera che il cavallo sia trattato bene.»
«Tu non sei il mio padrone.»
«E tu non sembri il padrone di Cimbre. Se ti chiedono come mai un contadinello come te possiede un palafreno tanto prezioso, cosa racconti? Vuoi che sospettino che l’hai rubato?»
Alex abbassò la testa e si voltò verso la stalla. «Andiamo» mugugnò a Cimbre. Il cavallo non si mosse e guardò il suo padrone.
«Va’, ci rivediamo stasera» gli disse Marc, accarezzandogli la criniera.
Cimbre si incamminò docile verso la stalla e quasi si tirò dietro Alex, che faticava a tenere lo stesso passo.
Marc rimase a guardare da lontano, con le mani sui fianchi. «È un incapace assoluto» mormorò, mentre Alex si presentava agli stallieri, e osservò la scena finché non fu certo che Cimbre fosse accompagnato dentro la stalla con tutti i riguardi.
Alex tornò di corsa e gli riconsegnò una moneta d’argento. «Il tuo resto, padrone» annunciò, calcando con sarcasmo sull’ultima parola. «Ne hanno volute solo due.»
«Meglio così» replicò Marc con una scrollata di spalle, ma mentalmente si annotò che il suo giovane protetto non aveva tentato di tenere per sé la moneta che lui gli aveva dato in più apposta, fingendo di averla pagata agli stallieri.
Incapace, ma non ladro, si disse, soddisfatto di quella piccola conferma al suo giudizio dato d’istinto. «Va’ a comprare da mangiare, adesso. Ho così fame che mangerei un bue» ordinò poi e mise altre monete in mano ad Alex.
Se pensa che io sia disposta a fargli da serva solo perché lui è il “nobile scudiero”, si sbaglia di grosso! si ripeté Alex furibonda, tornando con le mani piene verso il luogo dove Marc le aveva dato appuntamento per mangiare.
Aveva girato almeno cinque banchi prima di riuscire a comprare il necessario per il pranzo, aveva dovuto destreggiarsi tra cibarie sconosciute e contrattare coi mercanti. Adesso aveva in braccio un cestino di rami intrecciati, datole da un oste mosso a compassione dalla sua evidente imbranataggine, nel quale aveva impilato quattro pezzi di carne arrostita con l’osso e due morbide focacce scure condite con le olive. Nell’altra mano reggeva gli stecchi con i fichi secchi canditi.
Mi ha fatto fare tutto da sola; se non gli va bene il menu, lo prendo a calci, si disse ancora, ricordando la condiscendenza con cui Marc l’aveva spedita a fare la spesa, neanche fosse una servetta, anzi un garzone, visto che la credeva un maschio.
In ogni caso, era riuscita nella sua missione, nonostante il timore di muoversi da sola in quel mondo sconosciuto, e si sentiva soddisfatta. Non aveva nemmeno speso tutti i soldi. Il suo “padrone” non doveva neanche sognarsi di brontolare o avrebbe ricevuto una risposta coi fiocchi.
Marc l’aspettava seduto sull’erba vicino a una siepe folta, a metà strada tra il torneo e il castello. In quel punto il prato era fresco e si allargava senza ostacoli fino alla distesa variopinta dei padiglioni dei cavalieri e alla lizza, intorno alla quale già si radunava gente.
«Ho comprato da bere» annunciò Marc a mo’ di benvenuto, alzando due boccali di terracotta e il sorriso smagliante con cui accompagnò il gesto fece dimenticare ad Alex tutte le recriminazioni in un colpo solo. «Ho scelto il vino migliore, sentirai che meraviglia.»
«Non c’era dell’acqua?» domandò lei, preoccupata dall’idea di doversi dissetare con un alcolico.
«Acqua? Ma è per i bambini e i malati!»
Alex gli passò il cestino con il cibo senza dire altro e si sedette accanto a lui.
Marc divise una focaccia. «Hai messo insieme un pranzo da re: bel lavoro.»
«Ho scelto quello che mi sembrava meglio» Alex frugò nella scarsella e trovò le monete d’argento rimaste dopo gli acquisti. Nel farlo, però, sentì contro le dita anche il vetro freddo della boccetta presa a casa dallo speziale e rabbrividì. Per un attimo pensò di gettarla via, ma non avrebbe potuto farlo senza che Marc se ne accorgesse e temeva che le facesse domande a cui non voleva rispondere. Ritirò in fretta la mano. «I tuoi soldi» disse, cercando di mascherare il disagio e i ricordi orribili.
«Tienili» le rispose lui e addentò il pezzo di focaccia. «Compra ciò che vuoi.»
«Sei sicuro?»
«Sicurissimo.»
«Be’, allora… grazie.»
Marc le rivolse ancora quel sorriso spensierato e Alex si sentì quasi in imbarazzo al pensiero che le avesse appena fatto un regalo.
No, non ha fatto un regalo a me, si corresse subito dopo. Ha pagato per i suoi servigi il contadinello che crede che io sia.
Era comunque un segno di apprezzamento che le scaldò curiosamente il cuore.
Con cautela bevve un sorso di vino: era forte e aromatico. Diede un morso alla focaccia e scoprì che aveva un buon sapore di olio freschissimo. Per un po’, assaporando il buon cibo accanto a Marc, si sentì bene e provò persino fiducia per il futuro.
«Allora, sei proprio sicuro di voler rimanere con me fino a venerdì?» riprese Marc dopo qualche boccone. «Posso scrivere quella lettera adesso e anche per te sarebbe più facile presentarti da mio padre prima che sia troppo impegnato per il torneo.»
Alex scosse la testa con decisione e il suo momento di relativa serenità vacillò. «No, resto con te. Posso? Ti prego.»
«Dovrai continuare a fare attenzione per non farti notare.»
«Sono stato bravo finora, no? Dai, fammi restare.»
«D’accordo.» Marc sembrò rassegnarsi, ma Alex sospettò che sotto sotto fosse felice di avere compagnia. Gli piaceva troppo parlare, era evidente, e senza dubbio era contento di passare le serate future nel bosco a commentare il torneo con qualcuno.
Anche lei era sollevata. Preferiva di gran lunga dormire all’addiaccio con quel ragazzo di cui aveva cominciato a fidarsi, piuttosto che da sola in un castello. «Per me, esageri con l’ossessione di essere riconosciuto» disse, per consolidare la sua posizione accanto al suo accompagnatore e convincerlo a tenerla con sé. «In mezzo a tutta ‘sta folla quante possibilità hai di incontrare proprio qualcuno che conosci?»
«Be’…» Marc bevve un bel sorso di vino prima di rispondere. «Molte più di quanto credi, direi. Vedi quello? È André de la Cour, il luogotenente di mio padre.» Indicò col mento i padiglioni dei cavalieri.
Alex individuò un biondo sulla trentina, vestito di scuro e armato di spada, appena prima che entrasse nella tenda più imponente di tutte, bianca e azzurra, montata al centro dell’agglomerato formato da tutte le altre.
«Mi ha insegnato ad andare a cavallo, quando avevo sei anni e lui era ancora uno scudiero.»
«Spostiamoci di qua, allora. Non hai paura che ti veda?»
«Fermo.» Marc afferrò Alex per un polso, impedendole di alzarsi. Lei avvertì un improvviso batticuore, ma riuscì a non darlo a vedere.
«Se ti sposti adesso, è peggio» le disse Marc e indicò cauto un secondo uomo, brizzolato e armato da capo a piedi, che passava a cavallo alla loro destra, sul sentiero diretto ai padiglioni. «Quello è il conestabile di mio zio, il suo capo delle guardie. Mi conosce da quando sono nato: sai quante volte mi ha rincorso, quando facevo danni da bambino?»
Alex deglutì, mentre guardava incredula quell’uomo con la maglia di ferro, di cui non si era accorta prima che le venisse indicato. Per fortuna era troppo lontano per badare ai due seduti sotto la siepe e scrutava piuttosto il via vai di gente intorno alla lizza.
«Ma qui c’è solo gente che ti conosce?» sbottò. Non aveva preso troppo sul serio Marc, ritenendolo paranoico. Adesso però, di colpo, si sentiva vulnerabile in quel luogo pieno di gente.
Marc fece spallucce. «Sono quasi il padrone di casa» disse e attese la reazione.
Alex guardò prima lui e poi il castello gigantesco alle sue spalle. «Questo posto è tuo?!»
«Di mio zio: il conte Guillaume de Ponthieu, feudatario maggiore di Francia. Le terre da qui a Boulogne e all’Artois sono sue. Subito dopo, iniziano quelle di mio padre, il cadetto Jean Marc de Ponthieu, il Falco del Re, signore di Montmayeur e vassallo di mio zio.»
«E tu saresti…»
«Marc de Ponthieu, il primo erede di Montmayeur.»
Alex rimase senza parole. Un giovane conte, un futuro feudatario: tutto si sarebbe aspettata tranne di avere a che fare con uno che stava ai vertici della nobiltà. Non era esperta di storia come zio Ian ma, per quanto ne sapeva, al di sopra di un conte c’erano pochissimi nobili nella società medievale, forse solo i principi e i re. Marc era figlio e nipote di uomini che avevano potere di vita o di morte sui loro sudditi.
«Adesso capisci perché dico che mio padre potrà aiutarti?» disse Marc, in risposta al suo silenzio impressionato. «Saprà cosa fare per riportarti a casa o per tenerti al sicuro finché qualcuno non verrà a riprenderti.»
Alex tacque ancora. Di certo nessuno meglio di un conte avrebbe potuto offrirle un rifugio sicuro. Allo stesso tempo, però, un feudatario che veniva chiamato Falco del Re le ispirava parecchia soggezione, anzi, fifa vera e propria.
«Non sarà stata un’imprudenza enorme venire qui, ribellandosi a uno come tuo padre?» domandò. Poteva immaginarsi tante cose su un conte medievale, che portava per giunta un soprannome temibile, ma di sicuro non si illudeva che fosse una persona accomodante e incline al perdono.
«L’importante è non farsi vedere, te l’ho detto» rispose Marc. «E finora siamo stati bravi: sta andando tutto a meravi…» Si interruppe e imprecò.
Alex fece quasi un salto. «Che c’è?» Individuò un uomo a una decina di metri di distanza; proveniva a piedi dai banchi dei mercanti, accompagnato da due servitori. A giudicare dagli abiti preziosi e dal gioiello d’argento appeso al collo, era un uomo di alto lignaggio e si muoveva sicuro ed elegante, con il mantello lungo raccolto sull’avambraccio. Doveva avere meno di quarant’anni e il suo viso snello accentuava l’aria aristocratica della sua figura. Anche da lontano notò Alex seduta ai piedi della siepe e ne ricambiò lo sguardo, ma non si fermò.
Lei si sentì esaminata dai suoi occhi castani ed ebbe paura, benché l’uomo non avesse un’espressione ostile. Si affrettò a salutarlo con umiltà e in cambio ricevette un distaccato ma cortese cenno del capo. Poi l’uomo si confuse nel movimento frenetico tra i padiglioni dei cavalieri, insieme ai suoi servi.
Alex riprese a respirare. «Chi era quello?» domandò, ma si accorse anche di essere rimasta sola. «Marc?» chiamò sottovoce, con allarme.
Lui riemerse dalla siepe, ma prima di rimettersi seduto controllò che il nobiluomo fosse sparito. «C’è mancato poco!» esclamò e sogghignava eccitato come chi ha appena fatto un audace colpo di mano. «Era il mio tutore. L’ho scampata bella.»
«Il tuo tutore?»
«Il conte Henri de Grandpré, il cavaliere di cui sono scudiero. È un grande amico di mio padre e un suo compagno d’armi.»
Un conte pure quello? Alex guardò i padiglioni e poi Marc con ansia. «Si è accorto di me!»
«Avrà notato il tuo cappuccio e pensato che è uguale al mio» rispose Marc. «Non gli sfugge niente, è quasi peggio di mio padre. Meno male che ho avuto l’idea di scambiarci i cappucci.» Si rilassò sull’erba e terminò i suoi fichi canditi, accompagnandoli con un ultimo sorso di vino. «Bene, hai finito? È ora di muoversi, se non vogliamo perderci lo spettacolo.»
«Vuoi andare là adesso? Ma sei matto? E se il tuo tutore ti vede?»
«Stava andando ad armarsi, non tornerà indietro. Lo rivedremo soltanto quando entrerà in lizza e allora non ci sarà pericolo che si accorga di noi.» Marc si alzò in piedi. «Chissà chi gli fa da scudiero al posto mio oggi?» si chiese, pensoso, ma subito distolse gli occhi dai padiglioni per togliersi i fili d’erba dalle brache. «Allora, vuoi venire o no?»
Alex si alzò di malavoglia. Adesso le sembrava che da qualunque parte e in qualunque momento potesse sbucare un testimone pronto a riconoscere Marc, eppure lui sembrava tranquillo, mentre lei stava sulle spine.
In fondo è solo lui a finire nei guai, se lo scoprono, si disse, ma il pensiero di essere separata dal ragazzo la innervosiva. «Sei un incosciente. Cosa faccio, io, se ti beccano?» brontolò.
Marc le diede una pacca sulla spalla. «E smettila di preoccuparti, fifone: se mi scoprono, mi porteranno da mio padre e tu verrai con me. Non ti negherà il suo aiuto, vedrai, anche se mi darà una strigliata esemplare.»
Alex provò ad annuire, ma non era affatto rassicurata. A quel punto, l’idea di incontrare l’inflessibile Falco del Re, con i suoi amici e parenti altrettanto altolocati, le faceva venir voglia di darsela a gambe levate.