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Le fronde la graffiavano ovunque, le sbattevano in faccia. Alex corse a perdifiato, temendo persino di voltarsi indietro. Incontrò rovi, cespugli e tronchi caduti; le ortiche la punsero anche attraverso le brache. Le ombre erano nere, il bosco si faceva cupo e minaccioso. Alex continuò a correre, senza nemmeno sapere in che direzione.

Marc le aveva detto di fuggire e adesso era disperata all’idea di averlo lasciato solo contro tre assassini. Avrebbe voluto tornare indietro, ma il terrore glielo impediva. Non sapeva che fare. Solo correre. I polmoni bruciavano per lo sforzo. Inciampò e cadde con un grido soffocato.

Alle sue spalle arrivò il nitrito di più cavalli. Col cuore ormai sul punto di esplodere, Alex si rialzò e cambiò direzione, appena in tempo prima di sentire gli zoccoli sul terreno. Si gettò in un cespuglio e vide passare un uomo al galoppo, chino sulla sella, la spada ben stretta nella mano.

Dov’era Marc? Le aveva promesso che l’avrebbe raggiunta… Alex cominciò a temere il peggio.

Attese finché lo scalpitio del cavallo non sparì nel bosco e riprese a correre, facendosi largo tra i cespugli. Cambiò direzione ancora e ancora, sperando di confondere l’inseguitore, finché non si rese conto di non sapere più da che parte fosse arrivata. Si fermò e si guardò intorno.

Il buio si infittiva sotto gli alberi. Alex sobbalzò a ogni fruscio delle foglie, a ogni richiamo di animale, prigioniera in quel labirinto di tronchi tutti identici, poi scorse una parete di roccia chiara. Il muro di Saint Hubert.

Si maledisse mille volte. A forza di cambiare direzione, aveva girato in tondo ed era tornata là dove gli assassini li avevano aggrediti.

Un rumore la fece sobbalzare di nuovo e non era più dovuto alle foglie. Alex corse verso la roccia e ne esplorò la superficie scabra in cerca di appigli. Il muro di Saint Hubert era alto, ripido, ma la paura metteva le ali ai piedi. Alex si sbucciò le mani, rischiò di cadere almeno dieci volte, si procurò lividi e ferite sulle braccia e le ginocchia, ma scivolando e pregando insieme si arrampicò fino in cima e si abbandonò bocconi, a occhi chiusi.

Per qualche minuto udì solo il suo stesso respiro sulla pietra, poi, tra la vegetazione ormai buia, risuonarono gli zoccoli di un cavallo. Alex riaprì gli occhi e trattenne il fiato. Qualcuno passò sotto le fronde basse degli alberi e costeggiò il muro, poi sembrò fermarsi a qualche decina di metri.

Trascorsero altri minuti.

Vincendo la paura, Alex si risollevò carponi. Doveva vedere, capire cos’era successo o non avrebbe saputo cosa fare una volta scesa da quella parete rocciosa.

Si mosse cercando di non fare rumore. La sommità del muro di Saint Hubert era davvero piatta come aveva detto Marc e le consentì di camminare, protetta dai rami degli alberi e dal fruscio del vento della sera.

D’un tratto la vegetazione si diradò. Alex si appiattì di nuovo sulla pietra e finalmente poté guardare giù. Uno degli aggressori era fermo lì sotto, a cavallo. Si guardava intorno in continuazione, forse attendeva gli altri. Nel frattempo annodava una fasciatura provvisoria intorno a un braccio. Attese ancora qualche minuto, poi fu attirato da qualcosa. Fischiò un richiamo sommesso e gli fu risposto alla stessa maniera. Uno dei suoi compagni arrivò poco dopo, portando qualcosa di traverso sulla sella.

Alex si coprì la bocca con una mano, quando l’uomo gettò a terra Marc: inerte, imbrattato di sangue, con gli occhi chiusi.

Alex nascose il viso sulla pietra.

Gli uomini ai piedi del muro parlavano, ma le voci erano indistinguibili. Quando Alex trovò la forza di rialzare gli occhi, i due avevano messo piede a terra per perquisire Marc.

Maledetti sciacalli bastardi!

Guardò, impotente, mentre frugavano quel povero corpo abbandonato. Poi uno lo girò bocconi, gli torse le braccia dietro la schiena e gli legò mani e piedi con un tratto di corda. Lo imbavagliò con un lembo di stoffa tra i denti, annodato dietro la nuca.

È vivo! pensò Alex, soffocando un gemito di sollievo. Ringraziò il cielo con tutta l’anima, ma subito dopo un altro timore l’assalì. Che cosa vogliono fargli adesso?

Marc venne di nuovo caricato su un cavallo. Poco dopo, il terzo assassino arrivò al trotto dal bosco e si affiancò ai compagni. Gesticolava con rabbia.

Perché non mi ha trovata.

Alex provò un brivido e si appiattì di più sul muro.

I tre parlarono tra loro a lungo, infine decisero di separarsi. L’uomo che portava Marc sulla sella si allontanò veloce in una direzione, i suoi compagni dall’altra parte. Nel bosco rimase il silenzio.

Alex osò sporgersi solo dopo molti minuti ancora. Guardò in tutte le direzioni e ascoltò ogni fruscio degli alberi. Infine, misurando ogni movimento, si risollevò a sedere.

Ormai il cielo si tingeva di scuro e così il bosco intorno al muro di Saint Hubert. All’orizzonte si addensavano nuvole nere, accompagnate da fastidiose folate di vento, e la temperatura calava in fretta.

Alex cercò di riflettere. Non aveva alcuna possibilità di inseguire l’uomo che aveva portato via Marc: lei era a piedi, non conosceva i luoghi e non sapeva riconoscere le tracce, meno che mai al buio. E in ogni caso, come avrebbe potuto aiutare Marc da sola, inesperta e disarmata?

Eppure devo fare qualcosa! si disse, sbattendo un pugno sulla roccia. Si fece male, ma guardò la superficie fredda con un’idea improvvisa. Avevano costeggiato il muro di Saint Hubert venendo via da Auxi-le-Château, quindi poteva percorrerlo dall’alto per tornare indietro, camminando al riparo delle chiome degli alberi. Gli assassini la cercavano in basso e di sicuro non si aspettavano che fosse invece sopra le loro teste. Se non faceva rumore e il muro era abbastanza lungo, poteva arrivare quasi al limitare del bosco. Poi però ci sarebbe stato un bel pezzo di strada nei prati aperti fino ad Auxi, con solo qualche cespuglio per nascondersi.

Mi prenderanno in mezzo all’erba come un coniglio, pensò, ma il timore di ciò che poteva accadere a Marc era mille volte peggio.

La luna era già sorta dietro le nuvole fitte e forse non ci sarebbe stata abbastanza luce da permettere agli inseguitori di individuarla nel prato, quando ci fosse arrivata. Alex si sollevò in piedi sul muro di roccia e cominciò a seguirne il corso, un passo dopo l’altro, con tutti i sensi tesi.

Aveva una sola possibilità di aiutare Marc, purché fosse riuscita a sfuggire agli assassini. Doveva raggiungere Auxi e il Falco del Re.

Il tempo cominciò a scorrere al rallentatore o almeno così le sembrò dopo essersi messa in marcia. Il bosco era nero, quando abbandonò il muro di Saint Hubert per proseguire a terra e da quel momento il tempo sembrò rallentare ancora di più, mentre aumentava l’ansia di avere gli inseguitori sul collo e la consapevolezza di sprecare minuti preziosi ogni volta che si attardava a capire la direzione giusta in cui proseguire.

Il cammino in mezzo agli alberi era difficile; l’oscurità rendeva un’impresa anche solo vedere dove mettere i piedi e Alex tratteneva il fiato ogni volta che spezzava un ramo secco sotto le suole, producendo un rumore che il silenzio amplificava mille volte.

Non riusciva a orientarsi con precisione senza la parete di roccia. La sua unica speranza era la luna, che ogni tanto si affacciava tra le nuvole: finché rimaneva alle sue spalle, la direzione era grossomodo giusta. L’importante era non impiegarci così tanto per tornare indietro da far procedere troppo la luna nel suo cammino notturno e renderla così inaffidabile come punto di riferimento.

Ad Alex sembrava di avanzare come una lumaca e di perdere tempo continuamente. Due volte un rumore sospetto tra gli alberi la fece sobbalzare e tutte e due le volte, dopo minuti d’angoscia passati a nascondersi in un cespuglio, capì che si trattava solo di un animale innocuo. Era trascorsa un’eternità quando all’improvviso il bosco finì davanti ai prati aperti. Alex si fermò, ormai esausta. Quella distesa d’erba senza ripari o nascondigli le sembrò un ostacolo insormontabile, eppure non poteva fermarsi. Facendo violenza a se stessa, si inoltrò nel prato libero.

La visuale non arrivava più in là di qualche passo. In vita sua Alex non aveva mai visto un nero così profondo né percepito un silenzio tanto assoluto. Si sentì inghiottita dal nulla, esposta alle peggiori minacce, e fu sul punto di lasciarsi cadere seduta nell’erba per non muoversi più. Eppure proseguì con la forza e il coraggio della disperazione. Adesso tremava anche per il freddo.

All’improvviso scorse all’orizzonte un puntino luminoso e poi un altro e un altro ancora: le prime luci di Auxi. Ringraziò il cielo con tutto il cuore. Pochi attimi dopo, trovò sotto i piedi la strada di terra battuta che conduceva in città. Era stata brava oppure aveva avuto fortuna. Gli assassini non l’avevano ancora scovata.

Strinse i denti e andò avanti. Ci sono quasi, manca poco, cominciò a ripetersi per convincersi, passo dopo passo, ma quando finalmente il maniero di Auxi le apparve davanti agli occhi, nero e illuminato dalle torce sugli spalti, la riempì di nuova ansia invece che di sollievo, perché le sembrò spettrale. Eppure il Falco del Re era là dentro, da qualche parte, e lei doveva raggiungerlo a qualsiasi costo.

Come faccio? pensò, arrancando verso la destinazione. Le gambe le facevano così male da minacciare di non reggerla più. Le mani, strette sulle spalle per difendersi dal freddo, bruciavano per le escoriazioni.

Le torce erano più fitte sopra e intorno al ponte levatoio: dovevano esserci molti soldati laggiù, a sorvegliare l’ingresso e avrebbero sicuramente fermato e interrogato una straniera, per giunta ridotta così male.

Come li convinco a portarmi dal Falco?

Alex ricordò di aver letto in un romanzo che nel medioevo le donne scoperte a vestirsi da uomo venivano punite severamente, con la prigione o peggio, e pregò che fosse soltanto un’invenzione dello scrittore. Si costrinse ad andare avanti. D’altra parte, non avrebbe avuto alcun modo di camuffarsi: non aveva più il berretto e le guardie l’avrebbero di certo sottoposta a un esame attento. Forse l’avrebbero addirittura perquisita. La prospettiva di farsi mettere le mani addosso la bloccò in mezzo alla strada.

Non ce la farò mai.

Abbassò gli occhi dal castello sull’agglomerato del torneo sotto le mura. Il luogo era buio e gli spettatori se n’erano andati, ma alcune torce brillavano ancora al campo dei cavalieri e Alex sentì rinascere un po’ di speranza. Forse laggiù avrebbe incontrato qualcuno che potesse portarla dal padre di Marc senza passare dalle guardie. Bastava trovare i padiglioni giusti e lei era sicura di ricordare almeno i blasoni dei compagni del Falco, se non ne ricordava i nomi. Riprese la marcia con le ultime forze, pregando che la fortuna l’assistesse ancora.

S’inoltrò in quella che di giorno era stata l’affollata fiera dei mercanti. Adesso le strade improvvisate tra le baracche erano deserte: gli ambulanti erano chiusi nelle loro tende, i menestrelli e i girovaghi sostavano sotto le tettoie accanto ai bracieri accesi, a bere, a giocare d’azzardo, a dormire e a chiacchierare. Tutti gli altri erano vagabondi o ubriachi.

Ad Alex sembrò di entrare in una scena da film con il serial killer. Si tirò il cappuccio sulla testa e cercò di passare inosservata, ma sentiva la pelle accapponarsi a ogni rumore, vicino o lontano.

Sotto una lampada appesa a una tenda tre donne lanciavano saluti inequivocabili a qualsiasi uomo passasse nelle loro vicinanze e una si lasciò palpare il seno dal primo che si avvicinò. Dall’interno della tenda venivano i gemiti e gli ansiti di chi aveva già pagato per la compagnia. Alex affrettò il passo e proseguì.

«Ragazzino, non vuoi scoprire com’è diventare adulti?» l’apostrofò una delle prostitute e scoppiò a ridere quando Alex abbassò la testa e accelerò ancora, quasi mettendosi a correre. Svoltò in fretta dietro una baracca e andò a sbattere contro un uomo che camminava in direzione opposta. L’uomo grugnì e perse il piccolo otre che aveva in mano. A terra si allargò una pozza di liquido dall’inconfondibile odore alcolico. «Guarda dove metti i piedi, imbecille!»

«Mi dispiace! Non volevo» esclamò Alex e tentò di riprendere il cammino, ma venne trattenuta per un braccio.

«Dove credi di andare? Mi hai fatto rovesciare il vino e adesso me lo ripaghi» biascicò l’uomo. Era grosso e tarchiato eppure malfermo sulle gambe, puzzava d’alcol e di sudore.

Alex strattonò per liberarsi, senza successo. «Non ho soldi, mi dispiace, lasciatemi andare!»

L’ubriaco le strizzò il braccio fino a farle male. «E pensi di cavartela così!» Allungò anche l’altra mano e afferrò la preda per lo scollo della tunica.

«Lasciami andare!» strillò Alex, divincolandosi. Senza nemmeno sapere come, riuscì a bilanciarsi su un piede e a sferrare un calcio con l’altro. Dritto sui testicoli. L’uomo si piegò in due e crollò in ginocchio con un muggito e perse la presa sulla sua preda.

«Smettetela, voglio dormire!» urlò una voce maschile e inferocita da una tenda a due passi di distanza, ma Alex correva già nella direzione opposta e si guardò bene dal voltarsi indietro. Zigzagò tra baracche e carri per far perdere le proprie tracce. Quando si fermò con il fiato mozzo e il cuore ancora a mille, scoprì di nuovo di non avere più idea di che direzione prendere per raggiungere il campo dei cavalieri.

Stupida! Perché faccio sempre lo stesso errore?

Si guardò intorno: con quel buio fitto, tutte le direzioni sembravano uguali e l’agglomerato della fiera le parve un dedalo di vicoli neri.

E adesso?

Si sforzò di calmarsi e di pensare. Da lontano aveva visto le luci ancora accese tra i padiglioni dei cavalieri, adesso doveva solo trovare un rialzo sufficiente su cui arrampicarsi per guardare al di sopra delle baracche e trovare la direzione giusta. Scartate le tende e le baracche più traballanti, restavano un carro carico di casse e una tettoia sotto la quale però provenivano le esclamazioni concitate di almeno tre uomini intenti a giocare a dadi.

Alex non aveva alcuna intenzione di arrivare a tiro di altri sconosciuti, perciò optò per il carro, augurandosi che il cumulo delle merci fosse abbastanza alto e stabile per i suoi scopi.

Per fortuna la struttura emise solo qualche scricchiolio e resse senza difficoltà il suo peso. Allargando le braccia per mantenere l’equilibrio, Alex si mise in piedi sull’ultima cassa in cima al mucchio e allungò il collo per guardare fin dove poteva. Anche così l’orizzonte era in gran parte ostruito, ma nello spazio vuoto tra due tende apparve la cupola di un padiglione a righe, sormontato da uno stendardo nobiliare, adorno di frange.

Alex balzò subito giù dal carro e riprese a correre nella direzione ritrovata.

Per fortuna, nessuno tentò più di avvicinarsi a lei, e le esclamazioni dei giocatori d’azzardo o le voci impastate degli ubriachi rimasero solo rumori di sottofondo. Si sentì comunque meglio quando mise piede nell’accampamento ordinato e aristocratico dei cavalieri. Lì nessuno bivaccava all’aperto e solo qualche servo indaffarato e ben vestito andava e veniva tra le tende, portando una lampada. Alcuni padiglioni erano ancora illuminati dall’interno e uomini armati sorvegliavano i recinti dei cavalli.

Alex sgattaiolò fino al centro dell’accampamento e si fermò davanti all’ampia tenda bianca e azzurra, sormontata dallo stendardo con il falco d’argento. Fece un respiro profondo. Fuori non c’era nessuno, ma la luce era accesa dentro il padiglione silenzioso. Alex cercò di togliere la polvere e le foglie dai vestiti, si ripulì la faccia, infine raccolse ciò che restava del suo coraggio. «È permesso?» domandò, facendo capolino all’interno del padiglione. «C’è nessuno?» Nel silenzio totale che seguì, osò fare un passo dentro. «Scusatemi… Non c’è nessuno?»

Il padiglione pareva davvero vuoto. Una lampada illuminava i tappeti di cuoio lavorato, due ampie panche coperte di cuscini, una cassapanca e uno scranno intagliato. A quest’ultimo era appoggiato lo scudo del Falco, su un tavolo c’era l’elmo.

Alex attraversò il padiglione con cautela e sbirciò oltre una cortina di arazzi sul fondo. Dietro trovò solo le rastrelliere con le lance dipinte di bianco e di azzurro e l’usbergo di maglia di ferro, su un apposito supporto. Costernata, tornò indietro. Aveva sperato di finire il suo orribile viaggio e adesso che era arrivata nel posto giusto il Falco non c’era.

Ho bisogno d’aiuto, Marc ha bisogno d’aiuto! protestò in silenzio, cercando tutto intorno una qualsiasi traccia del padrone assente. Sfiorò l’elmo del Falco. Adesso non aveva altra scelta che andare a cercare il padre di Marc all’interno del castello.

Qualcuno l’afferrò da dietro e la rovesciò di schiena sul tavolo. Alex non ebbe nemmeno il tempo di reagire: l’aggressore la tenne giù, puntandole una mano sul petto e un pugnale contro la faccia.

«Ladro! Come osi entrare nel padiglione del Falco del Re?»

Alex strillò nel vedere la lama lampeggiare vicina al suo naso. Laurent de Bar trasalì. «Una donna?!» esclamò. Ritirò subito la mano che le aveva piantato sul seno, neanche avesse toccato la brace, e si fece indietro di un passo. Alex cadde seduta ai piedi del tavolo.

«Chi sei? Cosa fai qui dentro?» domandò il giovane cavaliere, sempre con il pugnale bene in mostra.

Alex faticò a calmare il respiro sotto l’esame dei suoi occhi glaciali. «Ho bisogno di aiuto» mormorò alla fine.

«Laurent, che succede?» chiamò una nuova voce.

Michel de Ponthieu entrò nel padiglione. Alex lo riconobbe subito, anche se non portava più la divisa con i colori del casato, ma era vestito di scuro come l’altro ragazzo. Il fratello di Marc si bloccò sulla soglia, osservando la scena con occhi sgranati.

«Questa straniera curiosava qui dentro» spiegò Laurent.

«Ma io ti conosco! Eri con Marc oggi pomeriggio» esclamò Michel in contemporanea. «Sei una donna?» aggiunse, incredulo.

Alex sospirò di sollievo. Invece Laurent rimase a bocca aperta. «Marc era qui oggi?»

Michel avanzò verso il tavolo. «Marc sapeva che sei una donna?»

Alex scosse la testa e Michel fece una smorfia. «Chissà perché, lo immaginavo. Con Marc le cose non sono mai semplici.»

«Insomma!» sbottò Laurent, allargando le braccia. «Volete spiegare anche a me?»

«Marc è in pericolo! Dovete aiutarmi!» quasi gridò Alex, protendendosi in avanti. «Vi prego, aiutatemi!»

I due la guardarono ancor più allibiti.

«Marc, in pericolo?» ripeté Michel. Anche Laurent si fece subito preoccupato e abbassò il pugnale.

Finalmente aveva trovato l’aiuto che cercava: Alex si sentì cadere addosso la tensione, l’angoscia e lo sfinimento delle ore appena trascorse. Per un attimo il nodo alla gola le impedì di continuare.

«Parla! Cos’è questa storia?» intimò Laurent.

«Così la spaventi» protestò Michel e si inginocchiò. «In che guaio si è cacciato mio fratello, stavolta?»

Davanti ai suoi occhi seri ma rassicuranti, Alex raccontò l’aggressione.