Ritrovarono il corridoio lambito dalla luce tremula del piano di sotto, e abbandonarono la scala a chiocciola per costeggiare le porte in silenzio, con Laurent davanti a tutti. Alex, ultima dietro ai due ragazzi, sentiva un nodo stringersi intorno allo stomaco a ogni passo. Sapeva che avrebbe dovuto impugnare il coltello di Nicolas, ma era certa che non sarebbe mai riuscita a usarlo contro qualcuno: al momento del bisogno sarebbe stata di sicuro troppo agitata e avrebbe finito per farsi male da sola.
Eppure non doveva diventare di nuovo una zavorra, continuava a ripetersi, mentre scendeva i gradini. Se non fosse riuscita a difendersi da sola, avrebbe messo in pericolo tutti.
Con commiserazione ricordò quante volte, leggendo, aveva fantasticato di essere lei l’eroina delle pericolosissime avventure descritte nelle pagine dei suoi libri. Ma questo non era un romanzo, e la paura le stava ghiacciando il cuore. E dire che non stava andando a sfidare mostri o chissà quali super criminali, solo semplici uomini, che però erano armati e probabilmente pronti ad ammazzarla senza nessuno scrupolo.
Laurent alzò una mano e fece fermare il gruppo. Alex si sentì mancare il fiato, come se una morsa invisibile le avesse strizzato i polmoni.
Erano arrivati alla scala e adesso davanti a loro c’erano i gradini larghi e illuminati dalla luce proveniente dal basso. Laurent si sporse per guardare giù. «Non c’è nessuno» sussurrò e iniziò adagio la discesa.
La luce aumentava e tuttavia le lampade non erano nemmeno alla fine della scala, ma ancora più in basso. Arrivata in fondo ai gradini, Alex vide un ballatoio deserto che correva tutto intorno all’atrio al piano terra della dimora. Le lampade erano laggiù e facevano salire la loro luce fino a illuminare altre porte chiuse e scale che riconducevano al piano di sopra.
Laurent si chinò e procedette curvo fino al muretto che separava il ballatoio dal vuoto. Gli altri due ragazzi fecero altrettanto e andarono ad appiattirsi accanto a lui. Nella pietra c’erano feritoie regolari che consentirono di guardare giù senza essere troppo esposti.
Si vedeva che l’edificio era stato una dimora signorile poiché si scorgevano ancora i resti di pitture araldiche sui muri, anche se adesso il pianoterra era ingombro di sacchi vuoti, barili di legno, strumenti da lavoro, pale e ramazze. Il grande portone principale era aperto a metà su un cortile lastricato e illuminato da torce e dalla luna.
Adesso c’erano voci di sotto e Alex si addossò ancora di più al muretto di pietra. Laurent e Michel tennero le spade pronte.
Qualcuno attraversò l’atrio, con un rumore cupo di stivali sulla pietra grezza. Due uomini raggiunsero il portone. Alex riconobbe il primo: era lo stesso uomo, alto e con i capelli lunghi, che aveva ucciso lo speziale a Clois.
Michel notò il suo sussulto e con la mano libera le indicò l’uomo. Le stava facendo una domanda con gli occhi e Alex annuì. Michel diede di gomito a Laurent e l’amico appuntò subito l’attenzione sull’assassino, distogliendola dall’accompagnatore. Quest’ultimo sembrava un soldato, a giudicare dal fatto che indossava anche una cotta di maglia e non semplici abiti scuri come l’uomo dai capelli lunghi. Forse era andato a chiamare l’assassino per conto di qualcuno che stava fuori, infatti a un certo punto accelerò il passo per spalancargli la porta.
Alex sentì l’assassino brontolare. «Spero che il tuo padrone si dimostri ragionevole e si decida a tornare al suo posto come ha fatto il mio. Non ho più informazioni adesso di quante ne avessi due ore fa. Il tuo signore deve mantenere i nervi saldi o si renderà sospettabile. Del ragazzo, me ne sto occupando io e non è una minaccia.»
Il resto della conversazione si consumò fuori dalla porta, che si richiuse.
Michel scambiò uno sguardo eloquente con Laurent. Alex sentì il cuore alleggerirsi solo in parte. L’assassino parlava di Marc, non c’era dubbio, e questo voleva dire che non l’aveva ucciso. Allo stesso tempo, però, il tono freddo con cui aveva detto «me ne sto occupando io» faceva accapponare la pelle.
Il piano terra era rimasto deserto. Laurent attese ancora qualche attimo, per precauzione, poi si avviò, tenendosi sempre basso, rasente al muretto di pietra. Michel lo seguì e così fece Alex, in coda al gruppo. Arrivato giù, Laurent si guardò intorno un’ultima volta, al riparo del corrimano della scala, poi corse al portone. Trovò il chiavistello e lo tirò. «Abbiamo poco tempo prima che se ne accorgano, muoviamoci» disse e s’incamminò nella direzione da cui erano appena arrivati l’assassino e il soldato.
Attraversarono di corsa il piano terra e trovarono una porta aperta tra le tante chiuse sotto il ballatoio. Laurent si appostò vicino alla soglia e agitando più volte la mano avvertì gli altri di nascondersi. Qualcuno stava arrivando: si sentiva il rumore dei passi.
«Dietro quei barili» disse Michel ad Alex, muovendo solo le labbra, e diede l’esempio per primo, andando a nascondersi dietro i materiali accatastati ovunque. Alex non se lo fece ripetere. Laurent si appiattì contro il muro e lasciò che l’uomo uscito dalla porta lo oltrepassasse. Era vestito di nero come l’assassino appena uscito e Alex immaginò che si trattasse di un suo compagno. Trattenne il fiato nel vedere Laurent seguirlo per qualche passo e infine aggredirlo alle spalle. Fu velocissimo: tappò la bocca dell’uomo con una mano e con l’altra gli portò la spada alla gola. Il tizio provò a strattonarlo, ma Laurent lo dissuase subito, premendogli la lama contro la pelle fino a farla sanguinare. «Avete fatto un prigioniero stanotte. Dimmi dov’è o ti ammazzo come un cane» gli disse vicino all’orecchio. Sembrava davvero deciso e per un attimo Alex temette di vederlo passare dalle parole ai fatti.
Michel uscì dal suo nascondiglio e si parò davanti all’ostaggio puntandogli la spada al petto. Vedendosi circondato, l’uomo rinunciò a opporre resistenza.
«Grida e ti taglio la gola» minacciò ancora Laurent, prima di lasciargli libera la bocca.
L’uomo guardò Michel con rabbia, ma non osò girarsi per vedere l’altro aggressore, poiché la spada di Laurent gli premeva troppo sulla carotide. Rimase in silenzio, con sfida.
«Dove tenete il prigioniero?» lo interrogò Michel. «Vi farò impiccare tutti, se gli avete fatto del male.»
«Risparmiati le minacce, ragazzino» replicò l’uomo, ma Michel gli si accostò, faccia a faccia. Era più alto di lui e in quel momento aveva uno sguardo spietato. «Sono un Ponthieu» sibilò. «La terra su cui appoggi i piedi è mia e il boia che ti strapperà la pelle ubbidirà a me.»
L’uomo ebbe un moto evidente di incertezza e non disse più nulla.
Laurent strinse la presa. «Dov’è il prigioniero?»
«Nel magazzino interrato» rispose l’uomo, con voce strozzata sotto la spada.
«Dove?» incalzò Laurent.
L’uomo indicò col pollice la porta da cui era appena uscito. «In fondo al corridoio. Giù dalle scale.»
«In quanti lo sorvegliano?»
«Un uomo solo.»
«Uno solo. Non mentire!»
«Uno solo, giuro! Io ero il secondo.»
«E che ci fai qui allora?»
«Volevo avvertire il mio capo che il ragazzo…»
«Il ragazzo, cosa?» ringhiò Michel, premendo la spada sul petto dell’ostaggio fino a trapassarne i vestiti con la punta.
«È svenuto! Volevo sapere cosa fare con lui» esclamò l’uomo con paura.
«Carogna, so io cosa dovrei fare con te!» esclamò Michel e colpì l’uomo al ventre con una ginocchiata, piegandolo in due.
Alex sobbalzò. Michel colpì di nuovo l’ostaggio, questa volta con il pomo della spada sulla nuca protesa in avanti. L’uomo si accasciò svenuto ai piedi di Laurent. I due ragazzi rimasero a guardare il corpo a terra senza dir niente. Michel stringeva la spada con tale violenza da farla tremare.
«Avresti dovuto ucciderlo» considerò Laurent. «Se si sveglia, darà l’allarme.»
Michel lo guardò negli occhi. «Puoi sempre ammazzarlo tu adesso.»
Laurent ricambiò lo sguardo, ma poi si girò verso la porta che portava di sotto. «Andiamo.»
Alex riemerse dal suo nascondiglio, quando Michel le fece cenno passandole accanto, e si affrettò dietro di loro.
Al di là della porta trovarono un breve corridoio, proprio come aveva detto l’uomo. Non c’erano lampade, ma solo altre due porte chiuse su stanze apparentemente inutilizzate, a giudicare almeno dalle ragnatele penzolanti agli angoli. Era una vera fortuna che l’edificio fosse soltanto una dimora adibita ormai ad altri usi, pensò Alex, altrimenti ci sarebbe stato da combattere a ogni passo. Le uniche guardie dovevano essere fuori nel cortile.
In fondo al corridoio, una rampa di scale portava al piano interrato. Non se ne vedeva la fine perché la luce calava e rendeva indistinguibili gli ultimi gradini.
Laurent si fermò prima della discesa e guardò giù. «Proseguite voi, io resto a difendere il corridoio. Se ci intrappolano in fondo a quelle scale, ci prenderanno tutti come topi.»
Alex guardò in fondo alla scala, temendo quel tunnel buio senza vie di fuga.
«Fa’ attenzione» disse invece Michel a Laurent.
«Anche voi» replicò l’altro.
Michel iniziò la discesa insieme ad Alex e lei si rese conto che la scala era più ampia di quanto sembrasse a prima vista e molto più breve. Non appena gli occhi si furono abituati di nuovo al buio, vide il pianerottolo e una porta di legno, chiusa. In totale non dovevano esserci nemmeno venti gradini. Voltandosi indietro da giù, si vedeva bene la sagoma di Laurent, nera in controluce, con la spada sguainata a difendere la via del ritorno.
Michel si accostò alla porta per ascoltare. Non si sentivano voci e questo rassicurò Alex: forse a custodire il magazzino c’era davvero una sola guardia. Michel socchiuse la porta, sbirciò attraverso lo spiraglio e fece cenno ad Alex di restare contro la parete. Mentre lei obbediva, lui sgattaiolò dentro.
Con il cuore che le martellava nelle orecchie, Alex udì il rumore di una breve colluttazione e poi il tonfo di un corpo che cadeva.
«Vieni!» la chiamò Michel e lei si precipitò verso la porta. Quello che vide le tolse il fiato per un attimo.
Michel era chino su un uomo svenuto appena sotto i pochi gradini che separavano la soglia dal pavimento, ma Alex notò a malapena sia lui sia il caminetto acceso in fondo allo stanzone, le pile di sacchi vuoti e il tavolaccio di legno. Aveva subito individuato Marc, appeso per i polsi a una corda che scendeva da una trave del soffitto. Pallido, inerte, con il capo abbandonato in avanti. Era quasi nudo e sul petto, i fianchi e l’addome aveva orribili lividi e macchie di sangue.
Alex corse da lui, dimenticando ogni altra cosa. Lo chiamò, ma non ottenne reazioni. «Marc, ti prego» ripeté, sollevandogli il viso tra le mani. Sotto le dita sentì il sangue rappreso, colato lungo un brutto taglio appena sotto l’attaccatura dei capelli. «Rispondimi!» insisté, ma osò toccarlo solo sulle guance, per timore di fargli male. Si girò a cercare dell’acqua o qualsiasi altra cosa per aiutarlo a rinvenire e vide gli aghi di ferro e gli strumenti insanguinati sul tavolaccio. Si sentì morire per l’orrore.
Marc corrugò la fronte, emise un gemito e schiuse gli occhi. Impiegò qualche istante a metterla a fuoco, ma infine la riconobbe. «… sei tornata» mormorò, ma poi non riuscì a proseguire.
«Ti porto via. Fatti coraggio» disse Alex e si sollevò in punta di piedi per provare a sciogliere la corda che gli legava i polsi sopra la testa, ma i nodi erano al di fuori della sua portata. Michel corse in suo aiuto, brandendo il pugnale.
Marc cercò di rimettersi in piedi da solo, ma non ci riuscì. «… ti stanno ancora cercando, se ti trovano qui…»
«Ho i rinforzi, non sono sola» rispose Alex, di nuovo con le mani sulle sue guance.
Michel tagliò i nodi. Marc crollò in avanti e Alex non poté sorreggerlo; cadde in ginocchio con lui e il ragazzo le si accasciò addosso. Aveva la pelle gelata e tremava. Alex dovette abbracciarlo per non farlo scivolare al suolo. Lo chiamò, ma lui non le rispose più. Michel si chinò su di loro. «Come sta?» domandò. Era pallido quasi quanto suo fratello.
Alex lo guardò, impotente. «Non lo so.» Un pensiero le attraversò la testa come un lampo. Come lo portiamo fuori da qui, se non si regge nemmeno in piedi?
Marc sentiva il calore della ragazza sulla guancia che le appoggiava sulla spalla, tutto il resto del corpo però doleva in modo intollerabile, soprattutto il torace e le braccia rimaste immobilizzate troppo a lungo. «Non sento più le mani…» gemette. «… non riesco a muoverle.» Nella mente, però, oltre al dolore si faceva strada la consapevolezza che la straniera era tornata per lui: non l’aveva abbandonato per fuggire lontano, ma si era messa in pericolo pur di aiutarlo. Era una consapevolezza che faceva bene al cuore e dava forza e calore.
Aiutata da Michel, Alex lo mise a sedere sui talloni e lo tenne per le spalle finché non fu sicura che riuscisse a rimanere dritto da solo. Poi gli prese le mani tra le sue e cominciò a massaggiarle forte, strofinandogli anche le braccia. Erano bianche, prive di colore, e su entrambi i polsi la pelle era lacerata in profondità dalla corda, eppure non sanguinava. Marc fece una smorfia e un gemito più prolungato. Quel contatto però, anche se doloroso, almeno lo stava aiutando a snebbiare la mente confusa.
«Tieni duro» lo incoraggiò Alex, senza smettere di strofinargli le braccia. «Riattivo la circolazione del sangue, il dolore passerà presto.»
Lui non capì neanche cosa volesse dire, ma la lasciò fare perché in effetti le mani riprendevano sensibilità poco a poco. Nel frattempo si accorse che Michel spostava in continuazione lo sguardo preoccupato da loro alla porta. «Dobbiamo andarcene in fretta» diceva alla ragazza. «Facciamolo alzare, non possiamo stare qui.»
«Non ce la fa» rispose lei. «Dagli tempo, ti prego!»
«No, non c’è tempo» mormorò Marc e, stringendo i denti, cercò di raddrizzare le spalle. «Ce la posso fare… aiutatemi a vestirmi.»
Michel individuò subito i suoi abiti abbandonati a terra in un angolo, corse a recuperarli e li tese ad Alex. Mentre lei li sbrogliava, Marc rialzò gli occhi sul fratello. «Trovami una spada» disse, dopo un respiro profondo. Michel raggiunse il carceriere ancora svenuto.
Intanto Alex stava provando a infilargli la camicia sopra la testa. Marc l’aiutò come poté. I muscoli si scioglievano con il movimento, ma non così in fretta come sarebbe servito. Anche se il dolore si attenuava, lasciava il posto a un formicolio insopportabile che intorpidiva la pelle e toglieva forza agli arti. Marc imprecò in silenzio, sentendosi inutile: non riusciva nemmeno ad annodare i lacci della camicia da solo. Come avrebbe fatto a combattere, se nelle dita non aveva forza sufficiente a stringere un nodo? Senza contare il dolore che gli dava ogni respiro, come se avesse ancora quei dannati aghi piantati addosso. Il ricordo lo fece rabbrividire involontariamente.
Alex lo aiutò con le brache. Marc si sentì avvampare, mentre lei gliele chiudeva e gli allacciava la cintura appena sotto l’ombelico, ma vide che la ragazza ricambiava lo sguardo con un’angoscia infinita, al limite della disperazione. Il suo pensiero era lontanissimo da ciò che stava facendo: temeva per lui ed era rimasta sconvolta dalla condizioni in cui l’aveva trovato, dalla sua evidente debolezza. L’idea fece trovare a Marc doppia forza per ribellarsi al suo stato di impotenza.
«Lascia, faccio da solo» disse e cercò di ostentare tutta la sicurezza che poté mentre s’impegnava per infilarsi gli stivaletti. «Quello non lo voglio» aggiunse con una smorfia e indicò il cappuccio blu rimasto nelle mani di Alex. Lei gli rivolse un’occhiata così colpevole che gli fece venire spontanea la voglia di consolarla. «È un vecchio cimelio fuori moda, te l’ho già detto, no?»
Lei riuscì a ricambiare il suo sorriso stentato.
Michel ritornò con una spada. «Laurent ci aspetta sulle scale e Nicolas è fuori con i cavalli.»
«Aiutami» disse Marc, tendendo la mano al fratello.
Michel lo aiutò ad alzarsi, ma gli si leggeva in faccia l’apprensione mentre studiava ogni suo fremito di sofferenza.
«Ce la faccio» gli disse Marc, cercando di ignorare le fitte che gli attraversavano il torace a ogni minimo movimento. Le vertigini gli facevano girare la testa, ma non doveva far capire agli altri quanto i suoi carcerieri fossero riusciti a piegarlo o avrebbero concentrato troppo le loro preoccupazioni su di lui, rischiando di fare imprudenze pur di proteggerlo. In qualsiasi modo, doveva mostrare di poter badare a se stesso.
Prese la spada che Michel gli tendeva, ma la fece cadere perché le dita non riuscirono a reggerne il peso. Imprecò sottovoce.
Fu Alex a raccogliere l’arma. «Andiamo via prima che ci scoprano.»
Michel corse alla porta per assicurarsi che la via fosse libera. Marc allungò la mano. «Ridammela» disse ad Alex, accennando alla spada. «Legamela alla mano, se necessario.»
Lei gliela riconsegnò e lo aiutò a chiudere le dita sull’impugnatura, ma poi strinse forte la mano sulla sua e la tenne lì, per fare forza sulla spada insieme a lui. Il calore di quelle dita riscaldò Marc fin dentro il cuore.
«Andiamo» gli disse lei. «Portami fuori.»