28

Guardò il castello di Auxi-le-Château con occhi diversi, quando Ian attraversò le tre cinta di mura, salutato con deferenza dai soldati di guardia. Alcuni servi corsero a prendere le briglie del destriero, Ian smontò e aiutò Alex a scendere. Altri si fecero incontro ai ragazzi che li seguivano e si occuparono delle loro cavalcature con il medesimo scrupolo. Il conte di Grandpré fu l’unico a restare nel cortile, per spiegare alle guardie di rimanere in attesa dei cavalieri ancora impegnati nelle ricerche.

Alex si lasciò condurre verso il mastio. Visto da vicino e con la luce del giorno, era maestoso ed emanava un senso di potenza e di nobiltà. «Tu abiti davvero qui?» domandò, incredula, senza poter staccare gli occhi dall’altissima costruzione. Come doveva essere la vita dentro quelle mura?

«No, questo è il castello di mio fratello» le rispose Ian. «La mia casa è a qualche giorno di strada da qui: è il castello di Châtel-Argent nei feudi dei Montmayeur.»

Châtel-Argent. Alex ricordò il nome nelle statistiche della partita di Hyperversum Next sul computer di suo padre.

«È più piccolo di questo, ma più alto e di colore chiaro. Sembra d’argento, come dice il suo nome» diceva Ian, ma Alex si era soffermata su un altro ricordo: «Tu chiami “fratello” il padrone di questo posto».

«E lui chiama me fratello» replicò Ian, guardandola con un’espressione molto seria. «Qui io sono per tutti Jean Marc de Ponthieu, il cadetto del casato, e il conte Guillaume de Ponthieu è mio fratello e il mio signore.»

Alex annuì ed evitò altre domande, perché sentì Marc e gli altri avvicinarsi dietro di loro.

Nell’atrio del castello Ian chiamò i servi e ordinò che fosse preparato il necessario per curare i ragazzi. Alex lo vide trasformarsi davvero nel nobile feudatario appena intravisto in occasione del raduno fantasy. Quel giorno credeva fosse un gioco e invece adesso capiva la vera natura dell’uomo a cui voleva tanto bene: non era Ian Maayrkas a fingere di essere un cavaliere in quel mondo medievale, era il Falco del Re a fingere di essere un uomo comune ogni volta che tornava nel ventunesimo secolo. In quel momento Alex capì anche che la vita dello zio apparteneva completamente a quel mondo antico e straniero.

Qualcuno chiamò dall’alto. Sulla scala che scendeva nell’atrio era apparsa una donna bionda. Alex trattenne il fiato, perché la riconobbe. La donna sulla scala aveva un volto più maturo di quello ritratto sul libro stregato, ma la bellezza era rimasta intatta ed era quella di un angelo. Persino i lunghissimi riccioli biondi erano gli stessi del ritratto miniato.

Lei scese in fretta le scale. «Marc, Michel, finalmente! Cos’è successo?» esclamò. Aveva i lineamenti tirati di chi non ha chiuso occhio per tutta la notte.

«Stiamo bene, madre» rispose Marc, mentre lei lo abbracciava con premura e subito dopo faceva altrettanto con Michel.

«Sono tutti interi, grazie al cielo» aggiunse Ian per rassicurarla. Lei accarezzò il viso di entrambi i figli, come per convincersene, poi seguì con lo sguardo il gesto della mano che Ian fece in direzione di Alex, rimasta in silenzio fino ad allora, e spalancò gli occhi per la sorpresa.

«Isabeau, questa è Alexandra» disse Ian. «Alex, ti presento mia moglie, dama Isabeau de Montmayeur.»

La dama le prese subito le mani tra le sue. Aveva gli stessi occhi nocciola di Michel e un’identica espressione dolce. «Alexandra… non posso crederci. Sei davvero uguale a tua madre. Stai bene?» Le scostò i capelli arruffati dalla fronte.

«Sì, signora» rispose Alex con impaccio. Eccola, la donna di cui aveva sempre sospettato l’esistenza, la compagna che Ian amava con tanta passione. Aveva fantasticato tanto su di lei, ma non se l’era mai immaginata così bella.

«Sei qui da sola?» domandò ancora la dama e guardò soprattutto il marito.

«Sì» confermò Ian, ma aggiunse: «Ne parliamo più tardi».

Marc, che aveva già aperto bocca per chiedere qualcosa, dovette richiuderla e ingoiare tutte le sue curiosità. Alex vide che con quella frase Ian aveva messo a tacere le domande che erano già sulle labbra dei figli, ma capì allo stesso tempo che dama Isabeau sapeva molto di più di quanto sapessero gli altri e che tra lei e il marito c’era una complicità profonda e silenziosa. Lei infatti annuì con prontezza. «Andrò ad avvertire le vostre madri» disse a Laurent e Nicolas. «Anche loro erano in grande ansia per voi.»

«Ho già fatto chiamare i medici» disse Ian e la moglie approvò. «Lo dirò a Donna, immagino che vorrà raggiungervi» rispose.

Un servitore tornò da Ian ad annunciare che tutto era pronto secondo i suoi desideri.

«Farò preparare le camere per tutti» decise dama Isabeau. «Voi invece andate a farvi curare.»

«Io e Nicolas stiamo bene, non abbiamo bisogno dei medici» obiettò Michel, ma un’occhiataccia di suo padre lo rimise subito in riga.

Entrarono insieme in una sala laterale in cui erano stati approntati panche, un tavolo e bacili d’acqua pulita. Nel caminetto acceso i servi scaldavano un paiolo pieno di altra acqua. Laurent si accomodò con un sospiro stanco e una mano sul braccio dolorante. Michel e Nicolas si sedettero un po’ più in là, rassegnati. Marc invece restò in piedi come per guardarsi intorno, ma Alex notò che sbirciava lei e sembrava non sapere che fare. Spostava il peso da un piede all’altro.

Anche lei era a disagio: avrebbe voluto dire qualcosa, ma non trovava parole sensate. Fu tolta dall’imbarazzo dopo qualche minuto dall’arrivo di due medici e di una donna aristocratica, energica, con una lunga treccia di riccioli fulvi.

«Madre!» esclamò Nicolas, balzando in piedi con un sorriso che però fu gelato dall’espressione severa di lei.

La dama lo raggiunse. «Stai bene?» domandò e gli accarezzò il viso e i capelli, negli occhi però tradiva una stanchezza palese. Nemmeno lei doveva aver dormito quella notte.

«Sì, madre» rispose Nicolas, con rispetto. «È stata una missione pericolosa, ma non mi sono fatto nulla. Nemmeno un graffio.»

«Risparmia i dettagli avventurosi per le congratulazioni di tuo padre» replicò dama de Sancerre. «Io e te parleremo più tardi di prudenza e assennatezza, tanto per cambiare.»

Nicolas abbassò la testa.

La donna si rivolse a Ian, che in breve la mise a conoscenza di ciò che sapeva dell’accaduto, e Alex vide che tra i due c’era il tono di confidenza di chi si conosce da molti anni. Dama de Sancerre ascoltò con preoccupazione e infine tornò dai ragazzi, aggiungendosi ai medici che stavano già approntando i loro strumenti. Si assicurò con scrupolo che Nicolas e Michel avessero solo qualche livido e li mandò a riposarsi. Nell’uscire, Michel lanciò un’occhiata colpevole a suo padre. Ian gli mise una mano sulla spalla. «Ci vediamo dopo» promise.

Dama de Sancerre andò da Laurent, che era già stato raggiunto anche da uno dei medici.

«È una ferita da spada» le disse il giovane cavaliere, porgendole il braccio insanguinato. Si era tolto la casacca e il medico gli aveva strappato la manica della camicia già a brandelli per lavorare meglio.

Alex rabbrividì alla vista del sangue, ma notò che nessuno dei presenti sembrava impressionato quanto lei, di sicuro non Marc e nemmeno Ian.

«Te la caverai con qualche punto» disse dama de Sancerre a Laurent, dopo aver esaminato la ferita aperta senza la minima repulsione. «È un taglio netto e ti rimarrà solo una cicatrice sottile.» Diede alcune istruzioni ai medici. Sembrava esperta quanto loro, se non di più. Di sicuro aveva sicurezza nel comandarli e l’atteggiamento efficiente di un dottore da pronto soccorso. «Allora, giovane Falco, adesso tocca a te, fatti vedere. Mi hanno detto che sei quello che è stato strapazzato più di tutti» disse infine a Marc. Esaminò la ferita che lui aveva sulla fronte e le lacerazioni sui polsi e infine lo invitò a sedersi su una panca.

Marc indicò Alex. «Curate prima lei, ve ne prego. Io posso ancora aspettare.»

Dama de Sancerre inarcò un sopracciglio, ma lasciò Marc alle cure del secondo medico. Si girò verso Alex e le sorrise. Aveva un’espressione strana, forse commossa. «Vieni. Siediti qui.»

Alex obbedì e lasciò che la donna le controllasse le ferite al braccio e alla gamba.

«Non sono profonde, per fortuna. Basterà disinfettarle bene» le disse dama de Sancerre. «Ti fa male da qualche altra parte?»

«Direi di no. Forse ho qualche livido qua e là» disse Alex, tastandosi il torace e la schiena.

«Allora, se ti faranno male, li guarderemo più tardi in privato.» La dama accennò in modo eloquente a quel luogo pieno di uomini. «È stato il vetro a farti sanguinare?»

«Solo sul braccio. Ci sono caduta sopra e la boccetta si è rotta. Alla gamba invece, mi sono fatta male con dei legni spezzati.»

«Non sono rimaste schegge dentro.» La dama le scrutò anche gli occhi. «Hai ancora le pupille enormi. Qualsiasi cosa fosse, la roba che ti ha fatto star male era potente.»

«Ho creduto di morire» confessò Alex. «Sono andata nel panico, mi sembrava tutto così spaventoso… non capivo più niente…»

Dama de Sancerre rifletté a lungo mentre continuava la visita, poi si rivolse a Marc e Laurent. «Che sintomi aveva, quando è stata male?» domandò. «Come si comportava?» chiarì, vedendo i loro sguardi incerti. Ascoltò con attenzione tutto il racconto e poi esaminò di nuovo Alex e le sue reazioni riflesse. «Se fosse stato un veleno, a quest’ora non saresti qui a raccontarlo. Era di sicuro un allucinogeno, una droga molto potente, tanto da causare una reazione immediata entrando a contatto con una ferita superficiale. Ciò nonostante, non credo che avrai altre conseguenze, per fortuna.»

Con la coda dell’occhio, Alex vide Ian e Marc rilassarsi. Dama de Sancerre le diede un buffetto sulla guancia. «Adesso ti disinfettiamo e poi ti aspetta un bagno. Ti farà meglio un’ora nell’acqua calda di qualsiasi altra cosa.»

Alex annuì, sollevata e stanca allo stesso tempo. «Grazie.»

La dama la lasciò alle cure del medico, già pronto con pezzuole pulite e un bacile pieno di un liquido caldo dall’odore di vino. Alex osservò perplessa l’intruglio e trattenne una smorfia quando venne applicato sui tagli con una pezzuola bagnata. Sì, era decisamente un alcolico, forse mescolato ad acqua.

«Adesso tocca davvero a te, sei rimasto l’ultimo.» Con un cenno dama de Sancerre invitò Marc a farle vedere le ferite.

Lui esitò, per la prima volta sembrava in imbarazzo, ma non poteva certo esimersi dall’obbedire. Si spogliò a torso nudo e si sedette sulla panca. Dama de Sancerre aggrottò la fronte nel vedere il sangue rappreso e i lividi, ancora più violacei di quanto Alex li ricordasse. «Che ti hanno fatto?»

Dopo un respiro profondo Marc raccontò ciò che ancora nessun altro sapeva nei dettagli. Usò le parole meno cruente che riuscì a trovare, ma nemmeno il migliore oratore avrebbe mai potuto anche solo attenuare tanto orrore. Alex provò l’istinto di tapparsi le orecchie per non sentire, ma non lo fece, sapendo che non poteva scappare dalle conseguenze delle sue azioni.

È colpa mia.

Se solo lei non avesse mai incrociato Marc, lui non avrebbe dovuto subire un trattamento così atroce. Lo avevano torturato a causa sua. Non se lo sarebbe mai perdonato. Guardò gli altri: Ian si era fatto cinereo. Anche Laurent aveva la faccia tirata e taceva. Il senso di colpa diventò un macigno dieci volte più opprimente.

«Potete andare, adesso, madame, se lo desiderate» le disse il medico e la fece quasi sobbalzare.

Anche Ian si riscosse e a fatica spostò l’attenzione su di lei. «Ti farò accompagnare da Isabeau. È ora che tu ti riposi e mangi qualcosa, se te la senti.»

Alex non avrebbe voluto andarsene perché sentiva di dover rimanere accanto a Marc e perché lei stessa voleva la compagnia di persone conosciute con cui sentirsi protetta. Lo zio le si accostò per rassicurarla. «Io ti raggiungerò presto. Lasciami parlare ancora un po’ con Marc.»

«D’accordo» disse Alex, sapendo che Ian aveva mille volte più diritto di lei di rimanere vicino al figlio ferito.

Anche Laurent si alzò e si gettò la casacca sulle spalle, perché il medico aveva terminato di ricucirgli la ferita e l’aveva fasciata con cura. «Signore, permettete che sia io ad accompagnare dama Alexandra. La scorterò di persona da vostra moglie, senza che dobbiate lasciarla in compagnia di un servo a lei sconosciuto.»

Ian approvò con gratitudine e anche Marc li guardò prima che uscissero, in particolare lei. Sembrava volerle dire tante cose e allo stesso tempo non riuscirci.

Nemmeno Alex ne fu capace.

Si trovò a camminare per il grande castello, in silenzio, pensando a Marc e chiedendosi in contemporanea perché Laurent avesse voluto scortarla. Fu lui a rompere il ghiaccio per primo, mentre salivano le scale che portavano al piano nobile. «Vi ho detto cose molto spiacevoli e ne ho pensate almeno altrettante. Di questo mi pento e mi scuso: volevo che voi lo sapeste. Non meritavate di essere trattata in quel modo e se decideste di non perdonarmi, potrei solo comprendervi.»

Alex rimase spiazzata: tutto si aspettava da lui tranne che sentirlo chiederle scusa. Inoltre, il tono formale la mise subito a disagio. «Non ci davamo del tu, noi due?»

«Non sapevo chi eravate in quei momenti» rispose Laurent. «Un’altra mancanza di rispetto di cui devo chiedervi perdono.»

«E non possiamo ritornare a parlare come prima?»

«Se lo desiderate…»

«Sì, assolutamente.»

«D’accordo.»

Seguì qualche istante di silenzio.

«Be’, nemmeno tu mi sei mai stato tanto simpatico» riprese Alex. «Anch’io ho pensato tante cose spiacevoli su di te.»

«Forse le meritavo» ribatté Laurent. «Tu invece hai agito sempre e solo per il meglio e io malignavo senza motivo. Marc non sarebbe salvo senza di te e probabilmente nemmeno noi.»

Alex abbassò la testa. «Marc non sarebbe mai stato in pericolo, se io non ci fossi stata.»

«Non l’hai fatto apposta, quindi non puoi rimproverartelo. Hai rischiato tutto per salvarlo.»

«Dovevo farlo. Non potevo abbandonarlo.»

«Avresti potuto cedere alle mie pretese e lasciarci andare da soli a cercare Marc, invece di insistere per venire con noi. Avevi già fatto il tuo dovere avvertendoci, potevi evitare di metterti in ulteriore pericolo. Hai fatto una cosa eccezionale di cui ti saremo grati per sempre.»

Alex fu colpita da quel complimento tanto serio. «Grazie» mormorò. «Le tue parole mi aiutano molto.»

Laurent si fermò di fronte a lei sul pianerottolo. «Allora posso sperare che tu non me ne voglia per come mi sono comportato?»

«Se non mi chiami più strega…» disse Alex, azzardando un lieve sorriso.

«Se prometti di non fare più diavolerie…» ribatté lui con una mezza smorfia.

Tacquero entrambi, ma poi si sorrisero con più convinzione.

Pace fatta, comprese Alex.

Laurent l’esortò a proseguire da sola sul pianerottolo, verso una serva in attesa davanti a una porta socchiusa. «Buon riposo» le augurò e le fece un inchino solenne, da cavaliere.