31

Alex riemerse dal sonno al bisbiglio di alcune voci. Anche nel dormiveglia riconobbe un uomo e una donna. «Zio Ian!» chiamò, alzando la testa. «Zio Ian, sono sveglia!» Cercò di aprire i tendaggi del baldacchino, ma armeggiò per un po’ senza venirne a capo.

Le voci tacquero. Ian aprì le cortine e fece entrare la luce. «Buongiorno, dormigliona» sorrise. «Era ora che ti svegliassi. Come ti senti?»

Alex si alzò a sedere, stirandosi. «Sto bene. Molto meglio adesso.»

Ian si sedette sul bordo del letto, mentre al suo fianco compariva dama Isabeau. «Fatti guardare» disse lo zio. «Donna, cioè dama de Sancerre, mi ha detto di controllarti gli occhi al risveglio.»

Alex si sporse verso di lui.

«Tutto bene» concluse Ian. «Le tue pupille sono tornate normali. Direi proprio che è tutto passato, ormai.»

Alex si rilassò contro i cuscini.

«Lo riferirò a Donna» disse dama Isabeau. «Nel frattempo andrò anche a prendere gli abiti per la cena.»

«Cena?» si stupì Alex, mentre la dama usciva. «Ma che ore sono?»

Ian fece un gesto vago. «Se qui misurassimo il tempo con un orologio, direi che sono passate le cinque da un pezzo. Si avvicinano i vespri ed è quasi pronto il banchetto della sera.»

«Un banchetto?»

«È la norma, dopo una giornata di torneo, anche se oggi non ha fatto che piovere e quindi non ci sono stati scontri in lizza.»

«Ho dormito così tanto!»

«Hanno fatto in tempo a tornare alcuni dei cavalieri dalle ricerche nel contado.»

Alex drizzò subito le orecchie. «Hanno scoperto qualcosa?»

«Per ora no. Durante la cena, se te la senti, vorrei che tu e Marc incontraste in privato mio fratello Guillaume. Insieme cercheremo di capire meglio la faccenda e scoprire se ci è sfuggito qualcosa.» Ian fece una pausa e poi aggiunse: «Prima però dobbiamo parlare un po’ noi due, non è vero?».

Alex annuì piano, in silenzio.

«Comincerò io» disse lui e riunì le mani in grembo. Alex trattenne quasi il fiato.

«È successo più di diciotto anni fa» esordì Ian. «Io avevo ventotto anni, tuo padre pochi meno e aveva appena iniziato a uscire con tua madre. Hyperversum non era ancora arrivato alla sua versione chiamata Next: era stato lanciato da poco sul mercato e noi ci eravamo appassionati. Quel giorno avevamo iniziato una partita inventata da me e ambientata in Fiandra nel 1214: giocavamo io, i tuoi genitori, tuo zio Martin e un paio di amici.»

Tacque un istante e Alex intuì cosa stava per dire. «All’improvviso vi siete ritrovati qui, senza sapere come» continuò al posto suo.

«Sì. A quell’epoca Francia e Inghilterra erano in guerra, la Fiandra era sulla linea del fronte e noi ci ritrovammo lì, senza modo di tornare indietro. Fu uno choc tremendo, ma questo lo sai bene anche tu.»

«Sì» sussurrò Alex, rabbrividendo. «Ho creduto d’impazzire.»

«E lo stesso fu per noi. Nel nostro caso, Hyperversum simulò un naufragio e noi finimmo davvero sulla riva fiamminga come veri naufraghi. Per giunta, io, Daniel, Jodie e Martin ci ritrovammo separati dagli altri due giocatori. Passò più di un mese, prima che potessimo ritrovarne le tracce.»

«Più di un mese… intrappolati qui?!»

«Molto di più, alla fine: rimanemmo qui quasi sei mesi, prima di trovare il modo di ritornare indietro. Grazie a Dio, il conte Guillaume de Ponthieu, allora tutore di Isabeau, ci accolse sotto la sua protezione.»

«E non vi fece domande su dove venivate? Io non sapevo cosa raccontare e mi sono inventata la storia dell’amnesia» disse Alex, quasi sottovoce.

«Io inventai che eravamo viandanti in arrivo dalle Shetland e naufragati sulle coste fiamminghe» rispose Ian. «Dovevo spiegare in qualche modo il nostro accento straniero. Non potevo certo dire che eravamo americani e di sicuro non che eravamo inglesi.»

«Immagino.»

«Il conte mi credette e ci accettò tra i suoi famigli» continuò Ian. «Lui fu la nostra salvezza, perché non avremmo saputo come sopravvivere in questo mondo così diverso.»

«Ma ora tu lo chiami fratello.»

Lo sguardo di Ian fuggì per un attimo altrove. «Ho avuto modo di farmi apprezzare da lui nel corso degli anni. Tra alti e bassi.»

«Sei rimasto qui per amore di Isabeau» sussurrò Alex e il sorriso luminosissimo che ricevette in cambio fu più eloquente di qualsiasi risposta affermativa.

«Quando la sposai, divenni Jean Marc de Ponthieu a tutti gli effetti» disse Ian.

«E diventasti cavaliere.»

«Poco prima del matrimonio, prima della guerra.»

«Sei andato in guerra?!»

«Con i francesi, insieme a tuo padre.»

Alex sgranò gli occhi.

«È cavaliere anche lui» continuò Ian. «Si è guadagnato il titolo con un gesto eroico sul campo di battaglia, ha salvato la vita al re di Francia di allora, Filippo Augusto. Ed è anche un arciere eccezionale. I suoi tiri sono leggenda ancora adesso, qui, a quasi vent’anni di distanza.»

Alex tacque a lungo, impressionata. «Com’è stata la guerra?» domandò alla fine.

«Orribile» ammise Ian con onestà. «Da allora Daniel ha sempre odiato spade e armature.»

Di nuovo in silenzio, Alex cominciò a capire molte cose su suo padre, a partire dalla sua ostilità verso le rievocazioni storiche e i raduni fantasy. Anche Ian taceva, perso nei suoi ricordi. Impiegò qualche istante a riprendere il discorso, come se avesse cercato le parole adatte per proseguire. «Comunque, per farla breve, dopo sei mesi tuo padre trovò finalmente il modo di far ripartire Hyperversum. Così i tuoi poterono tornare a casa.»

«E tu rimanesti qui» concluse Alex.

Ian tacque ancora per un po’. Si vedeva che pensava a qualcosa di doloroso, eppure non lo disse. «Diciamo di sì. Sì» rispose e ritrovò il suo sorriso. «Più che altro, da allora cominciai a fare avanti e indietro. Di fatto, mi costruii la mia vita qui. Con mia moglie. Con mio fratello.»

Alex capì che il momento della scelta tra restare o andare non era stato indolore per Ian. Forse era successo qualcosa, forse c’erano state difficoltà; di certo non doveva essere stata una decisione facile, nonostante l’amore che lo zio nutriva per la sua sposa. Abbandonare la vita normale, lasciare tutto per un mondo così diverso… Cosa si doveva provare in un momento del genere?

Avrebbe voluto fare mille domande, eppure non osò porne neanche una. Si sentiva a disagio a indagare sulla vita di Ian, al quale non aveva mai chiesto nulla in tanti anni. «Come funziona il ritorno?» domandò allora.

Ian si strinse nelle spalle. «Tuo padre chiama Hyperversum Next, scandisce login e password e il passaggio si apre.»

«Tutto qui?!»

«Pare di sì. Però lo sa fare solo lui.»

«Tu non puoi?»

«No, posso andare e venire solo se tuo padre mi viene a prendere e mi riporta qui. È lui a controllare i giocatori della partita.»

«Ti ricrea l’avatar ogni volta? Nella lista dei giocatori ho visto solo lui.»

«Mi trovi tra i PNG: conte Jean Marc de Ponthieu. Daniel mi abilita a PG solo quando serve, per precauzione.»

«Ah. Già.» Alex dovette ammettere che la cosa aveva un suo senso, pur nell’assurdità della situazione.

«Anche con tua madre e tuo zio Martin è lo stesso. Loro però non sono più venuti da anni. Tua madre smise del tutto quando nascesti tu. Non voleva che un incidente le impedisse di tornare da te, capisci?»

Alex annuì. «Né lei né papà avrebbero mai voluto che io venissi qui» mormorò poi.

«E nemmeno io. È già abbastanza innaturale che noi possiamo fare questi “viaggi”, non avremmo mai voluto che succedesse anche a te.»

Alex rimase in silenzio, chiedendosi come fosse possibile quell’incredibile mistero. Il suo pensiero dovette essere trasparente perché Ian lo intuì senza bisogno di parole. «Non esiste una sola teoria scientifica che possa spiegare quello che Hyperversum fa quando Daniel attiva la partita. Tuo padre ha fatto studi e ricerche fino a rompersi la testa e non è venuto a capo di niente. È un miracolo, magia, non so come definirlo altrimenti. Io so soltanto che funziona con lui e con… be’, ora anche con te.»

«Ma io… no, con me non funziona davvero» disse Alex, scuotendo la testa. «Sono passata di qua, ma poi Hyperversum Next non mi ha più risposto. Mi ha tagliata fuori da tutto.»

«Hai riprovato di recente?»

«No» ammise Alex.

Ian le fece un cenno silenzioso per invitarla a tentare.