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Dama Isabeau arrivò a cacciare scherzosamente il marito dalla stanza, dicendo che era arrivato il momento di prepararsi per il banchetto. Alex si ritrovò circondata da due serve che la vestirono da capo a piedi, allacciando i mille nastri delle calze e della camiciola lunga e bianca che le fecero indossare al posto di quella con cui aveva dormito. Dama Isabeau dirigeva la scena con scrupolo. Si era già cambiata per la cena: adesso indossava un vestito blu intenso e aveva raccolto i riccioli biondi in una treccia cosparsa di gioielli. Era bellissima e Alex l’ammirò quasi in soggezione.

La dama le mostrò un abito color cielo. «Me l’ha dato Donna. Ti dovrebbe stare, visto che sei alta più o meno come lei. Anche mio figlio sarà in azzurro stasera, poiché è il colore del casato.»

I ricami erano magnifici, tono su tono, e rappresentavano rose e rondini. «Sarò vestita con lo stesso colore di Marc?» chiese Alex.

«È l’usanza, visto che lui tiene molto a essere il tuo cavaliere al banchetto» disse dama Isabeau con un’espressione strana, a metà tra l’affettuoso e il malinconico.

Alex la notò solo di sfuggita. Il mio cavaliere… si ripeté.

Mentre le serve le allacciavano il vestito sulla schiena, allargò le braccia e ammirò le maniche triangolari che finivano a punta quasi all’altezza delle ginocchia con due pendagli d’oro. Le fecero indossare scarpine in tono con l’abito e le allacciarono una cintura di nastri colorati, poi Isabeau la portò davanti al tavolino della toeletta, le lisciò i capelli puliti con la spazzola e poi le mise una retina di fili d’oro dalla quale pendevano alcune perle. Infine fece un passo indietro per ammirare la sua opera. «L’oro risalta sui tuoi capelli scuri» disse, soddisfatta.

Alex si guardò in uno specchietto di metallo e rimpianse di non avere uno specchio vero in cui ammirarsi tutta intera. Non aveva mai avuto un vestito così bello né un’acconciatura tanto preziosa e ora moriva dalla voglia di assicurarsi che le stessero bene. Provò un’improvvisa fitta d’ansia. «Non sono mai stata a un banchetto, non so come comportarmi. Non sono una dama come voi, mi renderò ridicola.»

«Sei bellissima, invece» la rassicurò Isabeau. «E comunque siederai accanto a noi, quindi non ti devi preoccupare. Rilassati e goditi la serata.»

«Marc sarà vicino a me?» domandò Alex e non seppe se la cosa la tranquillizzava o la metteva in maggiore agitazione.

«Non durante la cena. È uno scudiero, deve servire il suo signore mentre mangia. Ma il banchetto non durerà tutta la sera e quando Marc sarà libero dai suoi doveri, verrà a farti compagnia.»

Io e Marc insieme a una festa. Alex si rimirò ancora nello specchietto e guardò d’istinto le proprie labbra, ricordando le sue. Con che coraggio lo guarderò in faccia?

Dama Isabeau le allacciò una collana d’oro dalla quale pendeva un’altra perla. «Sei pronta? È ora di andare.»

Scesero insieme le scale che conducevano al piano di sotto. Alex si teneva la gonna lunga come vedeva fare dalla moglie dello zio e temeva da un istante all’altro di inciampare lungo quei gradini ripidi. L’ansia cresceva man mano che si udivano voci e rumori provenire dalla fine delle scale.

Rideranno tutti di me, pensò e immaginò una scena di banchetto da film, con lei che faceva la parte dell’impedita davanti a centinaia di invitati agghindati. Si bloccò sugli ultimi gradini appena riconobbe una voce tra le altre. L’agitazione si trasformò in un rimescolio dentro.

Marc era là, nel grande atrio. Istruiva i servitori, che si affrettavano a eseguire i suoi ordini, poi sentì arrivare la madre e si voltò ad accoglierla con un sorriso. Alex trattenne il fiato.

Lui sì che sembrava uscito da un film, con gli abiti aristocratici che mettevano in risalto la statura e l’ampiezza delle spalle. La tunica azzurra sopra le brache scure aveva lo stesso colore dei suoi occhi, limpidi alla luce delle torce. Persino i capelli erano così neri da avere i riflessi freddi del blu.

Anche Marc la vide e Alex sentì il cuore balzarle in gola. Non ebbe più bisogno dello specchio per sapere come le stavano l’abito e l’acconciatura. Lo sguardo che lui le rivolse dal fondo delle scale la fece sentire bella come mai in vita sua. Nessuno l’aveva guardata in quel modo prima di allora.

Dama Isabeau disse qualcosa al figlio maggiore. Marc annuì meccanicamente, mentre la madre lo lasciava per andare verso l’uscita, ma non distolse mai gli occhi da Alex, ancora ferma sui gradini.

«Marc, insomma! Che cosa fai ancora qui impalato?»

Alex sobbalzò. Marc si girò verso una damigella più o meno tredicenne che lo fissava con aria irritata da qualche passo di distanza. «Mio padre ti sta aspettando da un pezzo. Non penserai di fare così il tuo dovere di scudiero» sbottò lei, le labbra atteggiate in un broncio infantile nel viso cosparso di lentiggini.

«Sto arrivando» rispose Marc, rabbuiato. «Credevo che fosse ancora nelle sue stanze. Non l’ho visto passare.» Indicò Alex, ma la ragazzina ignorò il suo tentativo di presentargliela. «Non lo vedrai mai, se continui a guardare dalla parte sbagliata.»

Marc le lanciò un’occhiataccia. «Niente litigi stasera, Béatrice. Non verrò meno al mio dovere, se tardo un istante per accompagnare al banchetto una nuova ospite della mia famiglia. Anzi, sarebbe bene che tu ti presentassi a lei. Sei più giovane, le devi rispetto e cortesia.»

«Magari più tardi, adesso mio padre ti cerca e non puoi farlo aspettare» si impuntò la ragazzina e lo prese per un braccio, per tirarselo dietro lungo l’atrio.

«Béatrice!» rimproverò Marc. «Che modi sono?»

Alex guardava la scena, perplessa. Aveva capito che la ragazzina era la figlia del conte di Grandpré e che quindi conosceva Marc molto bene, ma non si aspettava un atteggiamento tanto possessivo nei suoi confronti. Faceva tenerezza vederla attaccata al braccio di un ragazzo così alto per portarselo via: Alex però non sorrideva affatto e non solo per il fatto che la piccola Grandpré le aveva chiaramente fatto capire di volerla ignorare. D’un tratto, si era resa conto che Marc aveva un intero mondo intorno a sé, in cui lei era un’estranea. Un mondo fatto non solo di genitori, fratelli, amici e cavalieri, ma anche di ragazze, alcune delle quali dovevano per forza di cose conoscerlo da molti anni. Non c’era da stupirsi che qualcuna gli fosse affezionata.

Molto più che affezionata, si corresse subito Alex, studiando Béatrice de Grandpré. Un ragazzo così faceva colpo di sicuro e la figlia del suo tutore l’aveva avuto in giro per casa per tanti anni… anzi, Marc viveva con lei ancora adesso. Aggrottò la fronte: se Béatrice non fosse stata poco più di una bambina, sarebbe stata invidiosa di lei.

Ripensandoci, era invidiosa lo stesso.

Ma che sciocchezze! si rimproverò.

«Insomma, adesso basta» stava dicendo Marc e nonostante i suoi sforzi, Béatrice non riuscì a smuoverlo nemmeno di un passo, specie perché in quel momento dalle scale arrivarono altri ospiti. Anche Alex si girò, sentendo qualcuno alle sue spalle lungo la scala. Si fece da parte e lasciò passare un’aristocratica coppia di coniugi, seguita da una giovane dama bionda: la figlia, a giudicare almeno dalla somiglianza evidente. Doveva essere una famiglia importante, perché Marc assunse subito un atteggiamento di rispetto e Béatrice smise di strattonarlo per fare un inchino.

«Monsieur de Courtenay. Madame» salutò Marc, rivolto alla coppia e ricevendo in cambio un saluto altrettanto cortese. «Contessina Eugenie» aggiunse e guardò la ragazza bionda che veniva per ultima.

Lei ricambiò i saluti con gentilezza e un bel sorriso disegnato sulle labbra a cuore. «Vi auguro una buona serata» disse in un tono dolce, ma guardava soltanto Marc. «Ci rivedremo a cena.»

«Sarà un piacere» rispose lui.

Dall’occhiata inviperita che Béatrice lanciò a entrambi, Alex non fece fatica a capire che la bionda non era una semplice ospite di riguardo per Marc: forse era la bella innominata che già altre volte era entrata nei suoi pensieri? Eugenie, l’aveva chiamata lui, la contessina Eugenie de Courtenay.

Non seppe definire il sentimento ostile che le passò per la testa. L’altra ragazza sembrava già una donna adulta, era abbastanza alta e soprattutto ben fatta, con tutte le curve al posto giusto, esaltate dall’abito color panna. Oltretutto, neanche a farlo apposta, era l’esatto contrario di lei: morbida, bionda, aristocratica e aggraziata. Il morbido ciuffo di capelli che le scendeva lungo il collo da sotto l’acconciatura sembrava fatto apposta per attirare sguardi o baci. Era bella, non lo si poteva negare, e da come Marc la guardava, era chiaro che lui l’apprezzava.

Alex cominciò a chiedersi se la detestava oppure no, ma non fece in tempo ad arrivare a una decisione definitiva, perché i Courtenay proseguirono verso il banchetto che si teneva all’esterno e quindi anche la bionda Eugenie si allontanò. Lei, però, si girò poco prima di varcare la soglia, per sorridere a Marc un’ultima volta e rivolgergli un cenno d’intesa, forse un segnale segreto, che lui ricambiò.

Alex decise che, sì, la detestava. Raccolse la gonna lunga con entrambe le mani e scese gli ultimi gradini. Si fermò a una cauta distanza da Béatrice, che le arrivava appena alla spalla, ma la fissava da sotto in su tenendole il broncio. «Sono Alexandra, tanto piacere» si presentò per prima.

«Sì, lo so. Noelle si è già premurata di riferire il racconto di Nicolas. È tutto il pomeriggio che lei ed Elodie non parlano d’altro» replicò la ragazzina, brusca. «Io sono Béatrice de Grandpré» si decise a dire alla fine, sotto lo sguardo perentorio di Marc.

«Piacere» ripeté Alex, ma si preoccupò del fatto che il suo nome fosse già sulle bocche delle dame di quel castello. Che voci giravano su di lei? E soprattutto, chi le stava diffondendo? Aveva già conosciuto almeno di vista l’aggraziata Elodie, ma l’altra?

«Noelle è la sorella di Nicolas» spiegò Marc. «Non fa che parlare, ma mai con chi non conosce intimamente. I dettagli di quanto è accaduto non sono usciti dal cerchio della mia famiglia e degli amici fraterni di mio padre, vero?» aggiunse nel rivolgere a Béatrice un’occhiata che non pareva poi tanto sicura.

«Sono una dama: non vado a raccontare storie disdicevoli ai quattro venti; non ne parlo neanche tra persone intime» sbottò la ragazzina.

Storie disdicevoli, si ripeté Alex, disperata. Non voleva nemmeno immaginarsi che tono avessero i pettegolezzi su di lei. Marc aveva un bel da fare per rassicurarla: gli occhi sdegnati di Béatrice de Grandpré erano più che significativi.

«Ti presenterò Noelle durante la cena» continuò Marc. «E anche Elodie. Non hai ancora avuto modo di conoscerla come si deve.»

«D’accordo. Grazie» rispose Alex, non sapendo che altro dire.

Per un attimo le sembrò che Marc volesse prenderle la mano, invece lui restò a distanza. Forse lo faceva per Béatrice? La ragazzina era già sobbalzata quando l’aveva sentito darle del tu.

O forse c’era dell’altro? Forse Marc ce l’aveva con lei per quanto era accaduto? Non aveva ancora avuto modo di chiedergli scusa, di giustificarsi… però lui non sembrava provare rancore né era stato così distante fino a quando non erano arrivati al castello.

Di colpo, Alex capì. Marc aveva ripreso il suo ruolo di erede del casato. Era un uomo del medioevo, dopotutto, e adesso sapeva che lei era la figlia di un amico di suo padre. I vestiti e l’atmosfera solenne del castello li mettevano a una distanza che lui non avrebbe più superato con leggerezza. Non erano più casuali compagni di viaggio nel bosco o fuggiaschi per i quali contava la vita e non la posizione sociale; non avevano la stessa libertà di essere spontanei, a maggior ragione perché Béatrice stava scrutando entrambi da un bel pezzo, con aria da giudice.

Tra i tre rimase un silenzio pesante.

«Insomma, è ora o no di andare a cena?» Il conte Henri de Grandpré si fece vedere sulla soglia dell’atrio con le mani sui fianchi. «Dobbiamo aspettare ancora molto? Si sta facendo tardi.»

Marc quasi scattò sull’attenti davanti al suo tutore. Béatrice gli lanciò uno sguardo compiaciuto, ma il conte parlò prima di lei. «Béatrice, tua madre ti cerca per sedersi a tavola. Affrettati a raggiungerla, prima che si arrabbi davvero.»

La ragazzina aprì la bocca, presa alla sprovvista dal rimprovero, ma l’occhiata intransigente di suo padre la fece subito desistere dall’obiettare. Abbassò la testa e uscì mugugnando un «sì».

«Marc, tua madre ti aveva chiesto di accompagnare dama Alexandra a tavola. Non vorrai lasciar entrare la nuova ospite da sola a un banchetto dove non conosce nessuno» continuò il conte.

«Certamente no» rispose Marc, rivolgendo ad Alex un gran sorriso. Forte del permesso del suo tutore, le tese la mano e lei lo guardò col batticuore.

«Vorrei avere io, invece, il piacere di accompagnare dama Alexandra a cena» disse un’altra voce poco distante.

Insieme a Marc, Alex si voltò e vide quello che aveva imparato a riconoscere come il padrone di casa. Il conte Guillaume de Ponthieu, sbucato inosservato da chissà dove, le fece un aristocratico inchino di saluto. «Spero che vorrete concedermi questo onore, anche se non ci hanno ancora presentato ufficialmente.»

«A questo rimedio io» intervenne subito il conte di Grandpré e fece le presentazioni. Alex deglutì, in preda a tanti sentimenti diversi, davanti al severo signore del castello, che pure le sorrideva.

Avrebbe voluto farsi accompagnare da Marc e non solo perché era splendido, ma anche e soprattutto perché desiderava a tutti i costi superare la barriera d’imbarazzo cresciuta tra loro due e che lei non riusciva a oltrepassare da sola. Inoltre, con Marc si sentiva al sicuro e farsi tenere la mano in quel posto sconosciuto le avrebbe dato coraggio.

Non che il conte di Ponthieu le sembrasse inaffidabile, ma le faceva soggezione e lei era già abbastanza agitata all’idea di affrontare un banchetto stracolmo di nobili, alcuni dei quali stavano già sparlando di lei. Aveva sperato almeno di passare inosservata il più possibile, per evitare figuracce di etichetta: entrare nella sala accompagnata dal padrone del castello sarebbe stato come avere un riflettore dritto sulla testa.

Mi fisseranno tutti, pensò, inorridita. Allo stesso tempo capì che un invito così cortese pronunciato da un feudatario maggiore, per giunta il padrone di casa, poteva ricevere solo una risposta. Lo sapeva bene anche Marc, che non osò dire nulla, nonostante la delusione evidente stampata in faccia.

«Sono onorata, signore» disse Alex e sperò di non cominciare a fare gaffe proprio con il conte. Fece un inchino e accettò il braccio che lui le porse. Per fortuna il conte sembrò apprezzare il gesto e le sorrise.

«Monsieur Guillaume, voi state prendendo gusto al fatto di poter accompagnare in società tutte le belle dame prive di cavaliere» insinuò il conte di Grandpré. «Prima la regina Bianca, poi la contessa Margherita e adesso dama Alexandra.»

«È il privilegio del padrone di casa» rispose Ponthieu senza mutare sorriso. «Vogliamo andare?» domandò poi ad Alex. Lei annuì e si lasciò guidare fuori dall’atrio.

Marc, in silenzio, li seguì a distanza insieme al suo tutore.

Appena fuori, Alex fece un respiro profondo nel vedere, dall’alto del ponte che portava al camminamento sulle mura, le tende e le luci del banchetto da cui provenivano voci, musica e suoni allegri. Il via vai dei servi era frenetico, quello degli ospiti più rilassato ma ugualmente affollato di uomini e donne, a coppie o a gruppi. Il cortile del castello era magnifico, illuminato dalla luna e dalle innumerevoli torce accese, eppure lei non riusciva a staccare gli occhi dalla gente.

«Avrete un posto accanto a mio fratello e a sua moglie, non temete» disse a sorpresa Ponthieu.

Si vede così tanto che sono nervosa? si domandò Alex, ma non osò chiederlo.

«Vi sentirete meglio non appena avrete preso confidenza con l’ambiente» continuò il conte, conducendola lungo la scala che dalle mura scendeva al piano.

«Lo spero» rispose Alex, ma si sentiva rigida come una scopa, mentre scendeva i gradini e concentrava tutta la sua attenzione per non inciampare.

Il conte di Ponthieu la indagò con quello sguardo penetrante che la metteva tanto a disagio. «Avete paura anche di me?»

«A dir la verità… sì.»

Lui sollevò un sopracciglio. «Ma come? Mi hanno detto che siete stata tanto coraggiosa da affrontare il pericolo come uno scudiero. Adesso avete timore di un vecchio cavaliere?»

«Voi non siete vecchio e sfido chiunque a non avere paura di voi» rispose Alex e subito si vergognò della sua risposta data di getto. «Comunque, non sono mai stata coraggiosa. In questi due giorni ho avuto una fifa maledetta… cioè, paura da morire.»

Il conte le prese la mano per aiutarla a scendere dall’ultimo gradino. «Per questo siete stata coraggiosa. Se non aveste avuto paura, sareste stata solo incosciente.»

Alex lo guardò, sorpresa. «Grazie…»

«E tuttavia siete stata avventata, allontanandovi da vostro padre» continuò l’uomo con più severità. «Spero che ve ne rendiate conto e che l’esperienza vi serva da lezione per il futuro.»

Alex abbassò gli occhi. «Sono stata stupida, lo so. Ho messo in pericolo me stessa e gli altri. Non me lo perdonerò mai. Se penso a quello che sarebbe potuto succedere a Marc…»

Tacque perché ormai erano arrivati nel cortile e i primi ospiti incontrati lungo la strada avevano già salutato il padrone di casa.

«Più tardi avremo modo di parlare meglio e in privato» disse Ponthieu a bassa voce, dopo aver ricambiato i saluti. «Per ora, mi accontenterò di sapere che rifletterete con molta attenzione su qualsiasi parola prima di pronunciarla.»

Alex capì che il conte l’aveva voluta accompagnare di persona proprio per poterle fare quella breve raccomandazione prima di trovarsi in mezzo agli ospiti. «Sì, l’ho promesso anche a zio Ian: non dirò mai niente che possa compromettere le indagini o rivelare qualche segreto.»

Specie quello che riguarda Hyperversum, pensò in aggiunta e sbirciò indietro verso Marc, che li seguiva a distanza. Si chiese quanti e quali segreti si intrecciassero tra le persone con cui aveva a che fare in quel mondo incredibile. Lei e Marc dovevano mantenere il segreto con gli estranei riguardo quanto accaduto ad Arençon, ma lei e Ian dovevano mantenere il segreto con Marc e tutti gli altri riguardo Hyperversum Next.

E riguardo il fatto che Ian non era davvero consanguineo del conte di Ponthieu? Dama Isabeau lo sapeva, a giudicare dal racconto di Ian, ma gli altri? E dama Isabeau sapeva anche di Hyperversum oppure era ancora convinta che suo marito fosse uno straniero delle Shetland? Chi sapeva cosa?

Che casino, si disse Alex. Meglio tenere la bocca chiusa con tutti, così almeno non avrebbe rischiato di sbagliare, però le pareva di camminare sulle uova, se non fossero bastati già la serata e l’abito lungo a farla sentire impacciata.

Il conte la stava ancora indagando con gli occhi, ma sembrò soddisfatto della risposta. «Conosco bene i vostri genitori, perciò sono propenso a credere che siate altrettanto affidabile» disse. «Ma usate particolare cautela nel rispondere alle domande curiose. Anche nell’allegria della festa, siate prudente.»

«Terrò la bocca cucita. Giuro.»

Il conte rimase forse di nuovo stupito dalla risposta gergale, ma assunse subito un’espressione affabile, salutando un capannello di ospiti intenti a conversare. Ormai avevano raggiunto il banchetto e Alex capì che non c’era più né tempo né spazio per le confidenze, con troppe orecchie intorno.

Ponthieu, infatti, passò subito ad argomenti più frivoli. «Chiamate “zio” mio fratello: chiamerete così anche me, non appena vi farò meno paura?»

Alex temette di aver detto qualcosa di sconveniente per gli usi dell’epoca. «Non vorrei osare troppo…»

L’uomo le sorrise. «Ho già tre nipoti grazie a Jean, averne una in più non può che farmi piacere.»

«Anche una scapestrata come me?» azzardò Alex.

«Se è per questo, sono abituato a ben altro.» Il conte lanciò un’occhiata alle sue spalle, verso Marc.