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Dopo il pranzo, Marc fu l’unico a scortare Laurent fino all’ingresso della lizza, da bravo scudiero. I cavalieri pronti alla mischia erano quaranta e cominciavano ad affollarsi verso il grande spiazzo recintato dei combattimenti, tra il via vai concitato degli scudieri e degli attendenti. Le tribune erano piene degli ospiti importanti: la regina, la contessa, le dame e i cavalieri che non combattevano. Il pubblico vociava eccitato, gli stendardi garrivano al vento, i giudici di campo si preparavano ai loro posti e i valletti componevano sulla parete di legno di fronte alla tribuna i gruppi di blasoni che formavano le due fazioni in lotta, appendendo gli scudi dei compagni d’arme uno vicino all’altro.

Lo scudo di Laurent scintillava già al sole accanto a quello di molti valorosi come i Courtenay, i Dreux e i Cluny. Quel giorno i campioni Roger de Cluny e Thibault de Courtenay combattevano insieme nella stessa fazione e Laurent li avrebbe avuti come alleati.

«Sei in ottima compagnia» disse Marc, mentre procedeva accanto al cavallo dell’amico, portandogli lo scudo.

«Ho anche ottimi avversari» replicò Laurent, accennando alla fazione opposta. Anche tra i blasoni avversari si distinguevano casati famosi come i Perche e i Châtillon, senza contare Morlhon. Il conte Sigert aveva vinto le sfide in lizza di due giorni prima e ora il suo stemma era al primo posto tra quelli dei suoi compagni.

«Chissà da che parte starà il re» disse Marc, notando l’assenza dello scudo azzurro con i gigli d’oro. I valletti però non avevano ancora finito di appendere tutti i blasoni.

«Può scegliere una qualsiasi delle due fazioni» osservò Laurent. «I Dreux sono suoi parenti, il conte Sigert lo diventerà presto quando il principe Alfonso sposerà la contessa Giovanna di Tolosa, visto che i Morlhon sono tolosani e suoi cugini di primo grado.»

Thibault de Courtenay si fece vedere tra i cavalieri poco lontano, in sella al suo destriero dalla gualdrappa d’oro. Chiamava a raccolta i suoi compagni di fazione, probabilmente per accordarsi sulla strategia da tenere nella mischia.

«Devi andare anche tu» disse Marc e porse a Laurent prima l’elmo e poi lo scudo e la mazza. «Cerca di tornare tutto intero.»

«E tu cerca di essere al mio fianco nel prossimo torneo» ribatté l’altro, controllando forse per la ventesima volta ogni pezzo dell’equipaggiamento, e non poté nascondere del tutto il tono nervoso, nemmeno con la voce camuffata dall’elmo chiuso. Accarezzò il nastro d’oro di Elodie, legato appena sopra il gomito, quasi fosse un talismano. Poi spronò il cavallo e raggiunse i cavalieri riuniti intorno a Courtenay.

Spero davvero di poterlo fare, pensò Marc.

Era ancora lì in piedi, a guardare Laurent con gli altri partecipanti alla mischia e a struggersi di desiderio, quando un destriero sopraggiunse alle sue spalle. Voltandosi, trovò re Luigi in sella a Neige, armato di tutto punto e vestito con la cotta azzurra con i gigli d’oro. Era accompagnato dai suoi tre scudieri e da alcuni cavalieri, che però lo precedettero verso la lizza a un suo cenno. Solo gli scudieri rimasero con lui e gli tenevano lo scudo, l’elmo e il mazzafrusto.

«Sarà una bella mischia oggi» disse Luigi IX. I suoi occhi scintillavano eccitati.

«Ne sono sicuro, mio signore» rispose Marc, dopo avergli reso omaggio. «Vi invidio perché potete parteciparvi.»

«Prima o poi vi parteciperete anche voi» replicò il re. «Ricordatevi che mi avete più o meno promesso di diventare il mio falco.»

Marc sollevò il mento. «Contateci, sire.»

Altri cavalieri li stavano oltrepassando nel frattempo; uno di loro rallentò per raggiungere il re e Marc riconobbe sulla sua cotta i colori e lo stemma del conte di Morlhon. Provò emozione all’idea di poterlo vedere da vicino per la prima volta. Era un uomo tra i trenta e i quarant’anni, bruno e più muscoloso del giovane re. Anche con l’elmo sottobraccio, aveva il portamento del guerriero e sfoggiava il sorriso sicuro del veterano di torneo.

L’attenzione di Marc fu subito assorbita da quel campione tanto nobile e famoso, eppure, insieme all’ammirazione cresceva anche una sensazione strana e spiacevole. Marc non seppe definirla, fino a quando il conte non gli fu così vicino da poterne vedere bene i dettagli del viso: le labbra sottili, gli zigomi spigolosi, gli occhi neri.

Sentì un brivido ghiacciato lungo la schiena e per un attimo il cuore mancò un palpito.

Quegli occhi neri… non li aveva dimenticati, né avrebbe mai potuto. Lo avevano fissato senza pietà da dietro una maschera di cuoio e adesso li ritrovava nel volto sorridente del conte di Morlhon.

Non è possibile, pensò, paralizzato.

Sigert de Morlhon si fermò accanto a Luigi IX e salutò. Aveva un’espressione serena e il suo sguardo non si soffermò più di un attimo su Marc, come se fosse uno sconosciuto di nessuna importanza. «Sire, se posso permettermi un umile consiglio da veterano, non fa bene distrarsi in chiacchiere prima di una competizione impegnativa come una melée» disse. «Inoltre le fazioni sono quasi complete e tutti noi ci chiediamo con ansia da che parte vorrete stare.»

Marc sentì la prima impressione vacillare davanti alla calma assoluta di quell’uomo che gli stava a poca distanza come se nulla fosse e benché si sforzasse di scrutare tutti i dettagli non trovò alcuna conferma al suo sospetto indicibile. Certo, la corporatura corrispondeva a quella del suo aguzzino mascherato nella casaforte di Arençon, ma era una corporatura media: centinaia di uomini avevano la stessa figura del conte e la stessa età.

«Che domande: starò dalla vostra» rispose re Luigi con un sorriso. «Mi piace troppo vincere per volervi come avversario.»

Morlhon rise e chinò la testa. «Siete troppo buono, ma sono onorato di avervi come compagno d’arme.»

«Fate esporre il mio blasone accanto a quello del mio futuro parente, il conte» ordinò il re ai suoi scudieri e uno di loro corse dai valletti di campo che stavano completando l’esposizione degli stemmi araldici.

«Andiamo a organizzare la nostra fazione, allora» esortò Sigert de Morlhon, si alzò il camaglio e indossò l’elmo prima di fare strada verso la lizza.

«Badate, monsieur Sigert: anche se saremo compagni, non vi lascerò fare la parte dell’eroe davanti alle dame» ammonì il re.

«Allora dovrò impegnarmi il doppio per non sfigurare accanto a voi» rispose Morlhon e la sua voce distorta dall’elmo suonò orribilmente conosciuta. Marc riuscì a stento a dominarsi, con mille emozioni nel petto, sentendo quella voce, così simile a quella che l’aveva schernito e minacciato ad Arençon.

Luigi IX si diresse verso la lizza dietro al conte, ma Marc riuscì appena a ricambiare il suo saluto per rimanere a fissare il cavaliere che precedeva il sovrano.

Lo sbalordimento e l’orrore gli avevano seccato la gola: non riusciva a credere alle sue sensazioni, eppure non poteva fingere con se stesso di essersi sbagliato. Aveva riconosciuto quegli occhi e quella voce.

L’assassino con la maschera, il suo aguzzino, era là, davanti a lui, ed era un futuro parente del re.

I tamburi annunciarono l’ingresso degli araldi e l’eccitazione tra il pubblico e i cavalieri diventò palpabile. Le fazioni erano quasi pronte a battagliare e soltanto alcuni tra i cavalieri si stavano attardando ancora fuori dal recinto della lizza. Da dove si trovava, accanto a Michel e Nicolas, Alex osservò i gruppi di armati prendere gli ultimi accordi e vide il re parlare con Marc insieme al cavaliere vestito di rosso e blu che era il conte di Morlhon, visto al torneo due giorni prima. Aspettò che Marc rimanesse solo e poi fece per raggiungerlo.

«Devo andare a riferire a Elodie un messaggio di Laurent prima dell’inizio della mischia» disse Michel in quel mentre, con un sorrisetto malizioso.

«Resterò io di scorta a madame» rispose Nicolas, mettendosi per finta accanto ad Alex come un vero paggio. Michel si avviò verso la tribuna.

«Raggiungiamo Marc» esortò Alex.

«No, vai tu da sola. Credo che lui apprezzerà» le sorrise Nicolas con un’espressione identica a quella di Michel. «Noelle mi ha raccontato cos’è successo ieri sera, nel cortile» spiegò con aria saputa.

«Non è successo niente nel cortile» esclamò Alex, ma Nicolas la salutò ridendo. «Ritornerò dopo, giusto per salvare le apparenze.»

Alex brontolava ancora tra sé e sé quando raggiunse Marc. «Rieccomi qui» esordì, ostentando naturalezza.

Lui mantenne gli occhi verso la lizza, come se non l’avesse nemmeno udita.

«Che c’è?» domandò Alex.

Marc sembrò accorgersi di lei solo in quel momento, come scuotendosi da un pensiero fisso grazie a un’idea improvvisa. «Va’ dal conte di Morlhon» disse con urgenza. «Chiedigli qualcosa, prima che vada in lizza.»

Lei fece tanto d’occhi. «Cosa?»

«Va’ da lui!» Marc la spinse verso i cavalieri che si preparavano alla mischia. «Parlagli prima che vada a combattere. Inventa qualcosa: che pregherai per la sua vittoria, che ammiri un campione come lui, qualsiasi cosa. Sei una dama nobile e bella, lui ha mille spasimanti, ti crederà. Non ti ha mai vista, quindi non può riconoscerti.»

Alex continuava a non capire, ma intuì che si trattava di una cosa seria e decise di assecondarlo. Marc aveva già fermato due servi e ordinato di accompagnare la dama. «Muovetevi!» esortò con rabbia.

Alex si ritrovò a correre verso la lizza, facendo un giro ampio per dare l’impressione di arrivare all’ingresso dei cavalieri dalla direzione della tribuna, come le aveva consigliato Marc. Non sapeva neanche cosa avrebbe detto al conte di Morlhon e non riusciva a capire perché Marc le avesse fatto tanta fretta e tante raccomandazioni.

Doveva farsi rispondere una frase qualsiasi, doveva fare attenzione che Morlhon fosse più o meno da solo, non doveva farsi notare troppo dagli altri cavalieri.

Ma che gli è saltato in mente? si domandò per l’ennesima volta, ma non riuscì a rispondersi perché si trovò davanti il recinto della lizza e il conte di Morlhon pronto per andare a combattere. Si fermò e cercò di darsi un contegno. Era accaldata e di sicuro non dimostrava tranquillità, ma non aveva tempo per riprendere fiato e calmarsi: Morlhon stava per avviarsi.

Sbirciò verso le tribune le eleganti dame velate e si sentì inadeguata.

Come può Marc pensare che io sembri una di quelle?

In risposta le venne un’idea.

Si passò la mano sulle guance, sperando di attenuare il rossore, poi fece un bel respiro e si avviò verso il cavaliere, che in quel momento controllava la sua mazza insieme allo scudiero. Ne lavava la testa chiodata con scrupolo, usando un panno gocciolante, ma si girò quando si accorse della ragazza in arrivo, scortata da due servi.

Pur non potendolo vedere in faccia per via dell’elmo, Alex si sentì rivolgere uno sguardo interrogativo. Si fermò a distanza e fece un inchino il più deferente possibile. «Perdonatemi, monsieur, se vi disturbo in questo momento» esordì con voce timida e desiderò ardentemente essere da un’altra parte. Marc me la pagherà per questa figuraccia, giurò in contemporanea. «La mia signora, la contessina Eugenie de Courtenay, vi manda a dire che pregherà per la vittoria di un grande campione come voi» aggiunse, concedendosi una punta di maligna soddisfazione. Almeno non farò la figuraccia da sola, si consolò.

Morlhon la squadrò dall’alto del destriero con perplessità evidente, ma mantenne un contegno cortese impeccabile. «Spero di poter fare felice la vostra signora e voi, madame. Combatterò per la sua gioia e per i vostri begli occhi.» Salutò con un cenno del capo, riconsegnò il panno allo scudiero e con calma entrò in lizza.

Alex rimase immobile come una statua di sale, raggelata dal suono della sua voce distorta dall’elmo.