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Un silenzio di ghiaccio scese tra i presenti. Luigi IX si era fatto, se possibile, ancora più pallido. «Cosa avete detto?»

In quel momento sopraggiunsero le guardie di Auxi, il conestabile e il padrone di casa in persona. «Che succede qui?» domandò il conte Guillaume, accertandosi con un’occhiata che la situazione fosse sotto controllo. Anche Laurent arrivò zoppicando, con la mano stretta sul braccio destro che aveva ricominciato a sanguinare anche attraverso la maglia di ferro, dopo la brutta caduta. Si fermò accanto a suo padre e al conte di Sancerre. Tutti gli altri erano ancora paralizzati da quell’accusa così diretta, dichiarata con tanta sicurezza.

Marc si alzò in piedi con fatica. Suo padre andò da lui e lo afferrò per un braccio, lo strattonò. Era cinereo.

Sigert de Morlhon scese di sella, si tolse l’elmo, abbassò il camaglio e si affiancò al re. «È stata lanciata un’accusa molto pesante e totalmente assurda» disse e fissò Marc. «Ora pretendo che venga ritirata.»

Marc non si lasciò intimorire e non arretrò, benché sentisse suo padre stringergli il braccio fino a fargli male. «Avete ordito un complotto per assassinare il re» accusò di nuovo, nel momento stesso in cui suo padre diceva: «Credo che mio figlio abbia tratto conclusioni troppo avventate da una brutta esperienza, mio signore».

Si guardarono per aver parlato insieme e l’espressione del Falco era furiosa. Un brusio concitato si diffuse tra gli astanti.

«Che follia è questa?» intervenne il conte Guillaume.

«Non è una follia: abbiamo trovato l’uomo con la maschera» rispose Marc, prima che suo padre potesse fermarlo. Il conte di Ponthieu spostò lo sguardo attonito sul conte di Morlhon.

Luigi IX aveva i pugni serrati. «Esigo una spiegazione.»

«Non so di che parlano» rispose Morlhon. Sembrava calmissimo, ma Marc vide bene che in quegli occhi neri c’era molto più di quello che l’espressione voleva rivelare.

Bastardo, lo sai che ti ho scoperto, pensò, ma allo stesso tempo l’autocontrollo totale dell’uomo lo inquietava. Si era aspettato almeno una reazione di sorpresa se non di colpevolezza, anche minima, Morlhon invece riusciva benissimo a recitare la parte dell’innocente offeso.

«Dunque?» esortò il re spazientito, ma fece un gesto per impedire a chiunque altro di intervenire nel discorso al posto di Marc. Lui sentì suo padre lasciargli il braccio, sconfitto.

«Sire, forse è il caso di discuterne in privato» tentò il conte di Ponthieu, ma il sovrano non volle sentire ragioni. «È stata formulata un’accusa pubblica contro un futuro membro della mia famiglia e pubblicamente dovrà essere confermata o smentita.»

Il conte Guillaume si ritirò in buon ordine, benché con un’occhiata furente rivolta al nipote. Marc lo vide parlare sottovoce con il Falco per farsi spiegare; infine chiamò il conestabile e ordinò qualcosa. L’ufficiale corse via con alcune guardie.

Davanti al re e ai cavalieri vennero riferiti ancora una volta nei minimi dettagli i fatti di Clois e di Arençon. Al termine del racconto tornò un silenzio innaturale. Marc si sentì indagato, insieme ad Alex, e dovette far ricorso a tutto il suo sangue freddo per dare esempio di coraggio e risolutezza soprattutto davanti a lei, che sembrava spaventatissima. Era l’unica donna tra tanti uomini e questo senz’altro raddoppiava il suo disagio.

«È una storia incredibile» disse il conte di Morlhon come prima cosa.

«Ma è vera» ribatté Marc. «Ci sono altri testimoni che l’hanno vissuta insieme a me.» Con un gesto incluse Michel e Laurent. Entrambi sostennero l’esame di tutti a testa alta.

«Ma solo in due avete visto questo fantomatico uomo con la maschera.»

«E allora? Dubitate della mia affidabilità e di quella di dama Alexandra?»

Morlhon tacque come chi preferisce non dare risposta. Marc si sentì offeso, ma prima che potesse dire qualcosa l’uomo continuò: «E vi siete convinti che l’assassino sia io. Per quale motivo avrei dovuto ordire un complotto del genere?».

«Dovreste spiegarlo voi. Io posso solo immaginare che vogliate liberare il trono o abbiate un qualsiasi altro tornaconto personale» replicò Marc.

I commenti scandalizzati ricominciarono. «Usurpare il trono! Impossibile!» esclamò qualcuno.

Morlhon socchiuse gli occhi. «Badate a ciò che dite. Non sempre inventare favole è un passatempo innocuo.»

«Ordire complotti lo è ancora meno» ribatté Marc. Notò che suo padre taceva, anche se fremeva dalla voglia di intervenire, nonostante il divieto del re. Il conte Guillaume gli stava ancora dicendo qualcosa all’orecchio: gli consigliava come comportarsi e allo stesso tempo cercava di tenerlo calmo.

Invece Alex prese la parola, contro ogni consuetudine. «Non sarebbe un’usurpazione, se si potesse mettere sul trono un re di Francia legittimo ma più favorevole alle sorti di Tolosa. Il principe Alfonso, ad esempio.»

La constatazione accese i toni dei commenti. Alex venne di nuovo fissata dai presenti, ma gli sguardi che più la fecero tremare furono quelli del Falco e del conte di Ponthieu. «Madame, fareste bene a osservare un silenzio più dignitoso, se non volete che vi faccia allontanare» minacciò quest’ultimo.

Alex fece un passo indietro. Il conte di Grandpré la tirò in disparte. «Per l’amor del cielo, madame, tacete. Se andate oltre e non potete dimostrare ciò che dite, voi rischiate la clausura e Marc la prigione. O peggio.»

Alex tremò. «Ci sono delle prove» tentò di difendersi in un gemito. Marc le rivolse un’occhiata di incoraggiamento e riconoscenza.

«Questa ricostruzione ha un punto debole: monsieur Sigert era al mio seguito nella notte in cui mi sono diretto a Montriche» disse il re.

«È stato costantemente con voi, sire?» domandò Marc.

Luigi IX si voltò verso il conte di Morlhon. «Mi sono attardato ad assicurarmi che nessuno ci stesse seguendo e che la zona fosse davvero sicura» lo precedette l’uomo, prima di ricevere qualsiasi domanda. «Infatti, vi ho raggiunto con qualche ora di ritardo.»

«Il mio feudo è sempre una zona sicura per il re» intervenne il conte Guillaume, risentito.

Morlhon chinò la testa in segno di scusa. «Eccesso di zelo. Ma trattandosi del re, ho preferito controllare la strada comunque.»

Il conte Guillaume fu costretto ad accettare la spiegazione.

«O avete voluto passare da Arençon per controllare chi avevano preso i vostri scagnozzi o meglio quelli di Doisel?» insinuò invece Marc.

«Modera il tono! Con chi credi di parlare?» lo ammonì il Falco e lui s’irrigidì, mordendosi la lingua prima di dire di peggio.

Lo sguardo del Morlhon lampeggiò. «Voi mi avete visto, forse?»

«Non fingete di non saperlo» ringhiò Marc, ma riuscì a fare soltanto un passo avanti. Suo padre lo afferrò di nuovo e lo trattenne.

«Ripeto: voi mi avete visto in faccia?» domandò Morlhon, con uguale durezza.

«Portavate una maschera.»

«E mi avete riconosciuto anche se non ci eravamo mai visti prima.»

«Ho riconosciuto i vostri occhi poco fa. E in due abbiamo riconosciuto la vostra voce.»

«Avete visto gli occhi di un uomo mascherato in una stanza poco illuminata e siete sicuro di riconoscere lui in me oggi? Avete davvero una vista da falco, allora.»

L’osservazione suscitò altri commenti. Marc capì con rabbia che alcuni stavano dando credito al conte. «Eravate molto vicino, non potevo sbagliarmi» insisté, ma i mormorii non cessarono.

«Dietro una maschera e sotto un mantello non avevate alcuna possibilità di riconoscere chicchessia» sentenziò Sigert de Morlhon. «E io dovrei subire queste accuse assurde?»

Il re taceva, cupo.

«Mio nipote è di certo arrivato a conclusioni affrettate, signore» intervenne il conte Guillaume. «Ha un carattere e una fantasia fin troppo esuberanti, non facili da domare. A sua discolpa posso soltanto dire che ha agito in assoluta buona fede, benché avventatamente, per il bene del re e di questo vi supplico di tener conto.»

Con gli occhi Marc cercò appoggio da suo padre, che lo teneva sempre per il braccio, ma non lo ottenne nemmeno questa volta. La sorpresa alimentò la sua rabbia.

Perché non si fida di me? Eppure possiamo inchiodare quel dannato assassino!

«Sarà meglio allora che vostro nipote ritiri le sue accuse e ammetta di aver commesso un errore» rispose Morlhon a Ponthieu. «Forse potrei ancora perdonarlo, vista la giovane età.»

«Io non ritiro niente. Posso dimostrare come avete manipolato Neige per i vostri scopi.» Marc si liberò della presa di suo padre.

«Adesso basta. Chiedi perdono, finché sei in tempo per ottenerlo» lo ammonì il Falco e col suo tono rivelò di essere molto, molto vicino a perdere la calma che si era imposto fino ad allora.

«Quell’animale era debole. È impazzito per la paura» disse Sigert de Morlhon e Marc non poté resistere a un simile spregio nei confronti di quello che era stato il magnifico destriero del re. «Si sarebbe calmato dopo qualche ora, invece, appena fosse finito l’effetto della droga. Voi però vi siete premurato di ucciderlo per nascondere ogni cosa.»

Re Luigi zittì il Falco con la mano aperta, prima che potesse intervenire ancora a interrompere il figlio.

«Il cavallo non era drogato» disse il conte di Morlhon a Marc.

«C’è la prova: la droga è nel secchio dell’abbeverata.»

Tutti si voltarono verso la staccionata della lizza, verso gli scudieri del re. Gli uomini stavano seguendo la scena da lontano senza capire cosa stesse accadendo. Il secchio dell’acqua era però rovesciato ai loro piedi, rotolato addirittura qualche passo dentro la lizza. Forse qualcuno l’aveva fatto cadere per lo spavento quando il re era stato sbalzato di sella, forse era stato tutto premeditato: in un caso o nell’altro l’acqua era scomparsa, assorbita dalla terra e dalla sabbia. A poca distanza da loro c’era il conestabile di Auxi, con un’espressione impotente. L’uomo scosse la testa quando incrociò lo sguardo del conte Guillaume.

Marc trattenne il fiato: la loro prima prova era scomparsa.

Il conte di Morlhon lo fissava, sempre più spietato. «Continuate a inventare?»

«La droga è anche sulla vostra mazza. Con quella avete ferito Neige per spaventarlo e drogarlo ulteriormente» proseguì Marc.

«Posso aver sfiorato più di un destriero con la mia arma, questo non posso escluderlo. E tuttavia è capitato ad altri nella confusione della mischia, così come è capitato che altri cavalli si imbizzarrissero durante un torneo» replicò l’uomo con l’irritazione di chi sta perdendo tempo a spiegare una cosa ovvia.

Marc notò in quel momento che Morlhon non portava più la mazza né in mano né in cintura.

«Purtroppo si è spezzata nella confusione della lotta. Se volete, possiamo provare a cercarne i pezzi sul campo» gli disse l’uomo, accorgendosi del suo sguardo.

Marc strinse i pugni, eppure non seppe cosa rispondere.

«La vostra caparbietà nell’accusarmi, mi costringe a non accettare più la buona fede come vostra scusante» dichiarò Morlhon. «Vi è capitata una brutta avventura e avete pensato di approfittarne: avete messo insieme una serie di coincidenze per costruirci sopra una favola e infamarmi.»

«Per quale motivo, se non fosse vero?!»

«Ad esempio per ingraziarvi il re, basta e avanza come motivo.»

Marc rimase a bocca aperta. «Come osate?!»

«Potreste essere stato voi stesso a fare qualcosa al cavallo per renderlo pazzo. In fondo conoscete meglio di me quella razza di destrieri, visto che nasce nelle vostre stalle.»

«Badate a ciò che dite, signore» minacciò il Falco, avanzando di un passo, e i suoi compagni di fazione fecero quadrato intorno a lui.

Il conte Guillaume si pose in mezzo. «Non tollero calunnie di questo genere nei confronti di mio nipote, anche se è un ragazzo.»

«Nemmeno io nei miei confronti e non sono più un ragazzo» ribatté Morlhon.

Molti tra i cavalieri si dimostrarono d’accordo con lui.

Marc quasi tremava di rabbia. «La verità verrà a galla, non potrete impedirlo» minacciò. Sigert de Morlhon non gli rispose nemmeno e guardò il re.

«Non avete altro per dimostrare la vostra tesi?» domandò Luigi IX, rompendo il suo tetro silenzio.

Marc faticò a staccare gli occhi da quelli del suo nemico. «Gli altri testimoni sono morti o irreperibili, sire» dovette rispondere.

Il sovrano gli rivolse un’occhiata che era già una sentenza.

«Voi potete accertarvi che non mi sono avvicinato a Neige, se non in vostra presenza. Non gli ho fatto nulla, come potevo prevedere che sarebbe impazzito a meno che non avessi scoperto che qualcuno l’aveva drogato?» tentò di convincerlo Marc. «Non è stato un caso fortuito, io lo sapevo. Sono corso da voi prima che Neige si imbizzarrisse, per questo ho potuto afferrarvi mentre cadevate.»

Il re non mutò la sua espressione grave. «Eravate convinto della vostra ipotesi, di questo ve ne do atto. Avete agito in buona fede. Una fortuna per me, visto che il mio cavallo è impazzito davvero, ma la verità è che non avete alcuna prova per sostenere ciò che dite.»

Marc sentì un peso di piombo calargli sulle spalle. Sigert de Morlhon non mostrò compiacimento alla sentenza del re, ma il suo era solo un comportamento di facciata: nei suoi occhi Marc vide la sicurezza di aver sconfitto il suo accusatore e allo stesso tempo una promessa di vendetta.

Tutt’intorno, il mormorio aumentò tra i presenti.

Marc capì di essere stato davvero molto presuntuoso a credere di poter superare il conte di Morlhon in astuzia. Lui aveva pensato a tutto: l’acqua drogata era stata rovesciata a terra, Neige abbattuto, la mazza persa nel tumulto della mischia. Anche se i valletti l’avessero trovata, sarebbe stata ricoperta di terra e polvere.

Non c’erano altri testimoni: lo speziale era morto, Doisel scomparso… era la parola di due ragazzi contro quella di un futuro parente del re.

Ha vinto lui. Anche se il suo piano è fallito, non posso provare niente.