Si ritrovò in mezzo al via vai concitato, senza sapere che fare. Ian andò a portare l’orrenda notizia alla moglie e Alex non ebbe il cuore di seguirlo e assistere a tutta la scena. Le bastò scorgere da lontano dama Isabeau che si portava entrambe le mani alla bocca quando suo marito e Michel la raggiunsero e le spiegarono i fatti.
I conti di Ponthieu, Bar e Sancerre erano riuniti in disparte, poco lontano dalla tribuna. Laurent era già andato a cambiarsi e a farsi medicare dopo la mischia, forse aiutato da Nicolas, che non si vedeva da nessuna parte.
Rimasta sola, Alex vagò senza meta tra la gente.
Questa volta nessuno poteva aiutare Marc: nemmeno Ian o Michel o Laurent o tutti gli altri cavalieri e amici. Sarebbe stato solo ad affrontare il conte di Morlhon. Avrebbe rischiato di nuovo la vita.
Alex rabbrividì ricordando l’impressione che le aveva fatto Morlhon la prima volta che l’aveva visto entrare nella lizza del torneo, armato di tutto punto. L’aveva intimorita già allora; adesso, ripensandoci, le sembrò spaventoso e invincibile. Era un campione di torneo, un cavaliere veterano. Benché Marc fosse più alto di lui, Morlhon sembrava altrettanto forte e agile. Di sicuro era più esperto, agguerrito e spietato. Aveva già fatto uccidere degli uomini per i suoi scopi e senz’altro aveva ucciso anche con le sue stesse mani, forse in duello o in guerra. Non avrebbe avuto scrupoli né pietà per il suo nemico, testimone delle sue trame segrete. Se solo ne avesse avuto l’occasione, l’avrebbe massacrato con gioia.
Che posso fare? si ripeté Alex, alternando quel pensiero al senso di colpa. Si sentiva in una trappola senza uscita. Si strinse le braccia così forte da farsi male con le unghie anche attraverso le maniche.
Qualcuno la chiamò. Noelle de Sancerre ed Elodie de Ponthieu la raggiunsero quasi di corsa, entrambe bianche come la cera.
«Abbiamo saputo cos’è successo!» esclamò Noelle. «Mio fratello era agitatissimo. Marc affronterà il giudizio di Dio!»
Elodie aspettava una risposta che la tranquillizzasse, ma Alex non l’aveva.
«Contro il conte di Morlhon!» proseguì Noelle. «È un cavaliere potente, un campione.»
«Ed è un assassino» sussurrò Alex. «Non siamo riusciti a incastrarlo davanti al re e adesso Marc è costretto ad affrontarlo per dimostrare la verità.» La disperazione cresceva insieme alla frustrazione. «E tutto perché non abbiamo potuto esibire le prove. Quello schifoso le ha fatte sparire sotto il nostro naso.»
Un’idea la colpì all’improvviso. Alex guardò il campo dei cavalieri. «Ma forse non le ha ancora fatte sparire dalla sua tenda…»
«Cosa dici?» esclamò Noelle. «Dove vai?!»
Alex si era già allontanata di qualche passo, ma si voltò. «Datemi una mano, devo entrare nella tenda del conte.»
Elodie sbiancò ancora di più. «È una follia!»
«Una ragazza non può entrare da sola nel padiglione di un cavaliere. Men che meno di un cavaliere importante come il conte di Morlhon. Se ti scoprono…» disse Noelle.
«Lo so ma è l’unica speranza per evitare a Marc il giudizio di Dio. Non capite? Se nella tenda trovo le prove che ci servono, Marc non avrà più bisogno di combattere. Ce la possiamo fare, se mi aiutate.»
Elodie scosse la testa. «È una follia» ripeté, con un filo di voce. «Dobbiamo lasciar fare agli uomini, che speranze abbiamo noi? Avvertirò mio padre e mio zio, forse non hanno ancora pensato a quello che Morlhon può nascondere nella sua tenda.»
«Ci avranno pensato, invece, ma con che autorità potrebbero perquisire la tenda di un conte straniero? Inoltre sono troppo in vista, non potrebbero agire di nascosto perché Morlhon farà sicuramente controllare tutte le loro mosse e quelle dei loro aiutanti e degli amici di Marc. Nessuno invece farà caso a noi ragazze. Se voi distraete i servi del conte al momento giusto, io potrò entrare nella tenda a dare un’occhiata.»
«No, non andrai a rischiare anche tu.» Elodie si tirò indietro. «Dirò a mio padre cosa vuoi fare.»
Alex le prese le mani. «Non lo farai, se vuoi bene a Marc. Se non vuoi aiutarmi, almeno coprimi. È colpa mia se Marc è in questo guaio e io devo tirarlo fuori a tutti i costi, lo capisci? Non potrei sopportarlo se gli accadesse qualcosa.» La voce le si incrinò sulle ultime parole. «Lo capisci?» ripeté sottovoce, supplicandola con gli occhi. Elodie non protestò più.
«Dobbiamo agire adesso, se vogliamo avere anche solo una minima speranza che non abbiano già eliminato le ultime prove» insisté Alex.
Elodie si arrese, benché avesse ancora tanta paura nello sguardo.
«Grazie» le disse Alex, con riconoscenza.
«Cosa vuoi che facciamo?» domandò Noelle, piano.
Nascosta dietro una tenda, Alex attese finché non fu certa che all’interno del padiglione di Sigert de Morlhon non fosse rimasto nessuno. C’era voluto un bel pezzo, ma alla fine Morlhon aveva tolto l’usbergo e si era allontanato insieme allo scudiero e a un paio di servi. Aveva il viso molto scuro quand’era partito e Alex immaginava che fosse furioso per l’accaduto. Forse andava a informare il resto dei suoi uomini e a dare loro le istruzioni su come comportarsi nelle prossime ore, ma poteva anche essere in attesa di notizie da Doisel o da qualcuno dei suoi sgherri. Di sicuro, stava già progettando le contromosse adeguate dopo l’inaspettato fallimento del suo piano criminale. Comunque fosse, l’importante era che rimanesse lontano abbastanza da consentire una perquisizione almeno rapida della sua tenda.
A guardia, fuori, era rimasto un solo servo, che adesso stava parlando con Noelle. L’uomo non sembrava contento di essere stato disturbato mentre badava alla tenda del suo padrone, ma non osava scacciare la ragazzina dagli abiti aristocratici, per giunta accompagnata da un paggetto. Nonostante l’irritazione, comunque, non sembrava sul chi vive, quindi non sospettava che Noelle fosse un diversivo per un progetto più elaborato.
Chissà cosa aveva inventato lei per attaccare bottone, ma l’idea stava funzionando e Alex si preparò a entrare in azione. Elodie era stata lasciata a fare il palo, troppo spaventata e nervosa per poter essere convincente nel ruolo di esca. Era seminascosta tra alcune tende più in là, si torceva le mani e si guardava intorno. Alex le fece un cenno d’incoraggiamento, poi si assicurò che nessuno la vedesse e lasciò il suo nascondiglio.
Per fortuna, in quel momento non c’era molto movimento nel campo dei cavalieri: tutti gli uomini d’arme erano a togliersi le armature oppure alla tribuna e alla lizza a commentare i fatti del pomeriggio. Gli scudieri si prendevano cura dei cavalli e solo qualche servo appariva e scompariva tra le tende.
Alex raggiunse il padiglione del conte da dietro. Il cuore le martellava in gola, ma l’ansia per Marc sovrastava ogni altra emozione e le dava la forza di andare avanti. Incurante di sporcarsi il vestito, s’inginocchiò a terra e a forza di tirare riuscì a svellere uno dei tanti pioli della tenda. Sollevò la tela abbastanza da crearsi un varco per entrare e strisciò dentro. Arrivò in uno dei due vani in cui era diviso il padiglione di un cavaliere, quello in cui erano riposte le armi, l’usbergo e l’equipaggiamento per combattere.
Si guardò intorno, sapendo di avere pochissimo tempo. Aprì i primi bauli e trovò abiti di ricambio, le cotte d’armi del conte, decorazioni sontuose di stoffa e piume per l’usbergo e il cimiero, un pugnale in un fodero prezioso e persino una certa somma di denaro in monete d’oro dentro un sacchetto di cuoio ricamato. Tutt’intorno le rastrelliere ospitavano lance, spade, mazze, lo scudo blasonato e gli stivali da parata adorni di speroni d’oro.
Niente di utile. Alex imprecò, frustrata. Non le restava che perquisire il resto del padiglione.
Tese l’orecchio per udire eventuali suoni allarmanti provenire dall’esterno e sentì che Noelle continuava a parlare a ruota libera con il servo. Stava andando ancora tutto liscio. Prese coraggio, aprì la cortina che divideva il padiglione in due ed entrò nel cuore vero e proprio della struttura.
Il padiglione era arredato come gli altri, con un tavolo, panche, cassepanche e scranni, ma il mobilio rifletteva l’importanza del padrone. Il tavolo aveva i bordi intarsiati; gli schienali degli scranni erano pennellati d’oro sui fregi; le cassepanche erano protette da drappi ricamati. L’elmo del conte era posato sul tavolo e Alex lo sbirciò con un brivido: le feritoie per gli occhi sembravano fissarla.
Facendosi ancora coraggio, si inginocchiò accanto alla prima cassapanca, spostò il drappo e sollevò il coperchio. Trovò vasellame pulito e i piccoli teli di lino con i quali asciugarsi le mani durante i pasti. Nell’angolo a destra, però, c’era anche uno spazio vuoto, con la forma di un oggetto poi rimosso. Alex l’esplorò con la mano e trovò una foglia secca.
Trattenne il fiato. Aveva già toccato foglie simili: avvolgevano le boccette dello speziale perché non si rompessero. Lo spazio vuoto nella cassapanca corrispondeva alle misure dello scrigno di legno in cui le boccette erano custodite: doveva essere stato nascosto lì per tutto il tempo. Morlhon lo aveva aperto e una foglia gli era sfuggita mentre maneggiava le boccette. Adesso però, boccette e scrigno erano scomparsi. Alex sentì svanire anche l’ultimo barlume di speranza.
L’assassino non aveva perso tempo a sbarazzarsi di tutte le prove e una misera foglia non rappresentava certo un pericolo per lui. Nessuno avrebbe mai potuto incastrarlo per così poco.
Schifoso bastardo! lo insultò Alex mentalmente, più e più volte. Adesso sapeva che non poteva fare più nulla per evitare a Marc il giudizio dell’indomani.
Era così affranta che si accorse solo allora che le voci fuori dalla tenda avevano cambiato di tono. Il servo del conte stava per prendere congedo da Noelle, spazientito dai discorsi della ragazza, che invece cercava di convincerlo a rimanere ancora a parlare.
In fretta e furia, Alex gettò la foglia al suo posto, chiuse la cassapanca e si alzò, ma la gonna lunga le avviluppò le gambe e la fece ricadere seduta. Grazie al cielo, riuscì a non fare rumore, si risollevò subito e corse al di là della cortina che divideva il padiglione in due per uscire dallo stesso pertugio dal quale era entrata, ma aveva perso tempo prezioso: sentì il servo entrare alle sue spalle ed esclamare un irato «Chi va là?».
Alex si gettò a terra e sgusciò fuori dalla tenda. Una mano tentò di afferrarla alla caviglia, ma lei la scalciò via e riuscì a sfuggirle all’ultimo istante. Si trovò fuori, a carponi sulla terra nuda, impolverata e con il respiro a mille. Scattò in piedi e fuggì. Il servo del conte era però riuscito a infilarsi nello stesso passaggio subito dopo di lei, la vide e le intimò di fermarsi. Alex non si voltò, mentre scappava tra le tende. Zigzagò più che poté per far perdere le proprie tracce, guardandosi costantemente indietro. Durante il tragitto alcuni servi le lanciarono occhiate sorprese, ma Alex non vi badò, sopraffatta dalla certezza di essere inseguita. Ansante, si fermò per capire in che direzione fosse meglio andare.
Il servo del conte l’agguantò, sbucando da dietro una tenda. «Presa!»
Alex strillò di paura, ma l’uomo la zittì con un ceffone e la trascinò verso la tenda del suo padrone. «Lasciami!» esclamò Alex, con la voce rotta dal dolore che le infiammava la guancia. Lottò in ogni modo per liberarsi, ma l’uomo era troppo più forte di lei e la ridusse all’obbedienza senza troppa fatica, torcendole il braccio fino a farle male. «Sta’ zitta, ladra, o ne prenderai ancora» ringhiò e continuò la sua strada.
Davanti alla tenda del conte non c’era più nessuno. Noelle doveva essere corsa a cercare aiuto non appena le cose si erano messe male. Alex fece in tempo a scorgere Elodie, pallidissima e ancora al posto che le era stato assegnato per fare da palo, poi fu spinta dentro al padiglione. Tentò di protestare e di urlare, ma venne gettata su uno degli scranni di legno e l’urto le tolse il fiato.
Il servo sfilò dalla cintura un pugnale lungo più di una spanna. «Adesso confessa: che cosa cercavi qui dentro?»
Alex si paralizzò davanti allo scintillio della lama. «Non ho fatto niente… lasciami andare!»
«Ne riparleremo quando tornerà il padrone, ormai dovrebbe essere qui.»
Alex si sentì prendere dal panico.
«Nel frattempo, credo che dovrei perquisirti» aggiunse il servo con un sogghigno.
«Non mettermi le mani addosso!» esclamò Alex, ma l’uomo ignorò le sue proteste: la tenne ferma sotto la minaccia del pugnale e la frugò con la mano libera. Le palpò il seno, le cosce, tra le gambe, al di sopra della gonna. Alex serrò le palpebre, mentre si sentiva toccare dappertutto. Si morse le labbra, ormai con le lacrime agli occhi. Il servo l’esplorò con calma, prima di ammettere: «Be’, pare che tu non abbia fatto in tempo a rubare niente».
«Sei un porco!» lo insultò Alex in un singulto.
L’uomo la zittì sventolandole il pugnale sotto il naso. «Un vestitino da dama e un linguaggio da bordello, eh? Bada a come parli, potrei decidere di perquisirti meglio strappandoti di dosso tutta quella stoffa inutile.»
Alex richiuse la bocca e si irrigidì contro lo schienale. Il servo comunque non mise in pratica la sua minaccia e si piazzò tra lo scranno e l’uscita, sempre con il pugnale bene in vista.
Disperata, Alex maledisse la sua idea di venire nella tenda. Con l’istinto che le gridava di aprirsi la strada anche a morsi e a unghiate, cercò una via di fuga, ma non ne aveva fintanto che il suo carceriere armato la sorvegliava da così vicino. Si sarebbe messa a urlare per la frustrazione, se non avesse temuto di essere zittita ancora in qualche modo orribile.
Passarono minuti lunghissimi. D’un tratto, la tenda si riaprì e comparve Sigert de Morlhon, accompagnato da uno dei servi con cui si era allontanato. Alex sentì il cuore accelerare tanto da toglierle il respiro.
Morlhon si fermò sulla soglia. «Che cos’è questa novità, adesso?» domandò, accigliandosi, ma poi, quando gli fu spiegato l’accaduto, fece uscire i suoi uomini con un cenno perentorio della mano per rimanere da solo con la prigioniera. Invece di avvicinarsi subito, andò a ripiegare con calma il suo mantello su una delle cassepanche, ma Alex si sentì comunque un topo stretto in un angolo dal gatto. L’uomo si fermò un istante a guardare la cassapanca nella quale lei aveva frugato e aggiustò il drappo rimesso al suo posto sul coperchio con poca cura. «Voglio una spiegazione» disse infine. Il suo tono era una lama di coltello.
«Ho sbagliato tenda» rispose Alex, ma quando Morlhon si voltò verso di lei, il suo sguardo feroce la inchiodò sullo scranno. «Trova una risposta migliore, ragazza, possibilmente vera.»
Alex deglutì invano, con la bocca asciutta.
«Non dirmi che ti ha mandato il Falco: è troppo intelligente e accorto per un espediente tanto assurdo» continuò Morlhon.
«Lui non c’entra.» Alex sentì che la voce le si strozzava in gola man mano che l’uomo le si avvicinava.
«Allora chi? Qualcuno dei suoi compagni?»
Alex scosse la testa e cercò di ritrarsi. Morlhon ormai la sovrastava con tutta la sua altezza. «Sto perdendo la pazienza» minacciò.
«È stata una mia idea!» esclamò Alex.
«Per aiutare il tuo giovane e intimo amico, eh?» concluse Morlhon con sarcasmo. «Per lui faresti qualsiasi cosa, a quanto pare. Anche venire a ficcare il tuo naso di ladra nel mio stesso padiglione.»
«Non sono una ladra!» si difese Alex, ma ormai faceva sempre più fatica a controllare il tono di voce. Stava diventando stridula.
L’uomo si chinò su di lei, appoggiando una mano allo schienale di legno. «Tu e il pulcino del Falco non avete idea di chi siete venuti a sfidare. Lui lo imparerà domani, quando lo scannerò davanti a suo padre. A punire te penserò subito dopo, puoi starne certa.»
Alex si tirò indietro più che poté. Con le dita artigliò i braccioli dello scranno. Non sapeva più che dire né che pensare, sentiva solo il cuore scoppiare sotto lo sguardo crudele dell’assassino.
Fuori dalla tenda si udirono i toni di una discussione improvvisa. I servi del conte protestarono a gran voce, il padiglione si aprì di colpo e apparve Laurent de Bar, seguito invano da uno dei servi. Il giovane cavaliere aveva la tunica ancora slacciata sulla camicia, come se si fosse vestito in fretta, ma la sua espressione era d’acciaio. La mano stringeva il fodero della spada allacciata in cintura.
Alex provò un violento brivido di sollievo. «Laurent!» invocò.
Sigert de Morlhon si era voltato verso l’ingresso. «Che cos’è questa intrusione?»
«Sono venuto a riportare dama Alexandra alle sue stanze» rispose Laurent. «Non avete nessun diritto di trattenerla contro la sua volontà né di appartarvi da solo con lei e comprometterne l’onore.»
«Questa dama» rispose Morlhon, calcando con spregio sull’ultima parola «si è intrufolata da sola nel mio padiglione per scopi che ancora non ha voluto rivelare. Non mi sembra il comportamento di una donna onorata.»
«Questa è la vostra versione dei fatti, monsieur, perché nessuno l’ha vista entrare da sola qui dentro. Più di un testimone, là fuori, dice invece che il vostro servo ha inseguito una ragazza spaventata e l’ha trascinata nella tenda con la forza» replicò Laurent, freddo. «Alcune dame sono corse da me a denunciare il rapimento, poiché tale è sembrato agli occhi di tutti.»
Gli occhi del conte diventarono due fessure ardenti di collera. «Badate a ciò che dite, prima di accusarmi.»
«Io non vi accuso, vi metto soltanto in guardia dalle maldicenze che potrebbero cominciare a circolare. Credo che sia più saggio metterle subito a tacere, lasciando che madame venga via con me.»
I due si affrontarono in silenzio per un momento. Ciascuno stava valutando le possibilità dell’avversario, ma, a quanto pareva, Laurent aveva il coltello dalla parte del manico. Alex capì che, con il giudizio di Dio pendente sulla testa, per Morlhon era molto più saggio e prudente non attirare altre voci sul suo conto e non provocare uno scandalo per una ragazza. Laurent gli aveva già fatto capire che se ne sarebbe andato o insieme a lei oppure facendo la peggiore pubblicità possibile a quanto accaduto.
«Portate via questa donna e fate in modo che stia lontana da me» disse infine Morlhon. «Dimenticherò di averla vista qui, ma se dovesse ancora intrufolarsi nelle mie stanze private, la tratterò come la peggiore delle ladre.»
«Siate certo che non avrete più occasione di arrivare tanto vicino a lei» replicò Laurent e anche la sua frase suonò come una minaccia.
Sigert de Morlhon gli lanciò un’ultima occhiata feroce, ma poi si fece da parte per consentire ad Alex di andarsene. Appena vide la via di fuga, lei abbandonò di scatto lo scranno e Laurent le indicò di uscire per prima, poi fece un rigido inchino di saluto e la seguì.
Fuori, Alex trovò Nicolas, tenuto a bada dal secondo servo del conte ma teso e pronto a intervenire al primo accenno di pericolo. Anche lui era armato, anche se aveva ancora le mani libere. Le rivolse un’occhiata preoccupata, ma non le disse niente e la lasciò proseguire, aspettando Laurent per guardargli le spalle. L’amico arrivò un attimo dopo e raggiunse Alex. Nicolas li seguì in silenzio.
Alex continuò a camminare in fretta, senza più voltarsi indietro. Adesso le gambe le tremavano e Laurent la prese per un braccio. «Incosciente. Che cosa credevi di fare?» domandò, arrabbiato, quando furono a distanza di sicurezza dalla tenda del conte. «Dama Elodie e Noelle sono corse da me mezze morte di paura.»
Alex faticò persino a rispondere. «La droga… poteva essercene ancora una boccetta nella tenda. Se l’avessi trovata, Marc non sarebbe stato costretto al giudizio domani.»
«E come pensavi di provare che veniva dalla tenda del conte? Saresti corsa a dire al re che l’avevi rubata di persona? E lui ti avrebbe creduto o avrebbe creduto al suo futuro parente, che magari gli avrebbe suggerito che la boccetta l’avevi preparata tu, d’accordo con Marc?»
Alex crollò la testa sul petto.
«Ringrazia il cielo di essertela cavata con così poco e fa’ in modo che nessun altro sappia cos’è successo» la rimproverò Laurent. «Marc e monsieur Jean hanno già troppe preoccupazioni anche senza sapere questo tuo ennesimo colpo di testa.»
Alex si lasciò condurre via. Noelle ed Elodie attendevano al padiglione dei Bar e l’accolsero abbracciandola per lo spavento e il sollievo.